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PI-PLCβ1 e prognosi nel tumore mammario

Come già menzionato, per la maggioranza dei pazienti (79%) è stato possibile recuperare le informazioni di follow up e valutare l’evoluzione o meno della malattia alla luce dei risultati dell’analisi della PLCβ1.

Tra questi pazienti, osservati per un periodo mediano di 29 mesi ( range 8 mesi - 126 mesi) dopo l’intervento chirurgico ( per lo più quadrantectomie e mastectomie), solo 6 pazienti hanno avuto progressione di malattia o recidiva e 2 sono deceduti dopo aver progredito. E’ interessante notare che tutti questi 6 pazienti (100%) in FISH presentavano l’amplificazione della PLCβ1. Tuttavia l’unica analisi statistica che è stato possibile condurre, cioè il Log Rank Test, non ha dato risultati significativi, forse a causa dello sbilanciamento delle classi. A causa di questo stesso motivo, ovvero una disomogenea ripartizione degli eventi (tutti gli eventi, cioè progressioni di malattia o recidive, mostravano amplificazione) non è stato possibile neppure effettuare un’ analisi sulle curve di sopravvivenza libera da malattia mediante analisi di Kaplan-Meier.

49 Come la maggioranza delle neoplasie umane, il cancro della mammella presenta aberrazioni nelle vie di trasduzione del segnale che portano ad un aumento dell’attività proliferativa ed angiogenetica, all’inibizione dell’apoptosi e alla metastatizzazione. Nonostante l’identificazione di vari markers biologici, ad oggi non sono stati individuati validi marcatori prognostici né tantomeno è chiaro quali siano le molecole associate con la progressione da lesione in situ a carcinoma invasivo.

Infatti, sebbene l’incidenza dei DCIS stia aumentando, poter predirre il loro reale potenziale maligno rimane ancora un mistero. Ad oggi, solo pochi fattori , come il grado nucleare e la necrosi consentono una classificazione più fine di questa categoria tumorale, ma, sfortunatamente, essa non permette sempre di predire correttamente se il tumore progredirà, diventando invasivo, o recidiverà (Maxhimer et al, 2005).

Per questo motivo nella casistica di tumori mammari considerata abbiamo incluso sia tumori infiltranti, sia tumori ben localizzati all’interno del dotto lattifero.

Lo studio si è focalizzato sull’analisi della via di trasduzione dei fosfoinositidi, la quale gioca un ruolo fondamentale nella trasformazione e progressione tumorale.

Alcuni studi hanno dimostrato una stretta correlazione tra grado di malignità e concentrazione di inositolo 1,4,5 trifosfato (Weber et al, 2005) e messo in evidenza come gli enzimi coinvolti nel pathway dei fosfoinositidi siano in grado di adattarsi al programma proliferativo del tumore, in particolare producendo, in base alle richieste, le forme fosforilate di fosfatidilinositolo e trasformandole prontamente in secondi messaggeri, attraverso un eccesso di fosfolipasi (Weber et al,1999).

Nonostante il ruolo di alcune isoforme della fosfolipasi nel modulare la motilità e l’invasività delle cellule tumorali di mammella sia stata già documentata (Kassis et al, 1999), il ruolo delle differenti isoforme nella trasformazione tumorale e la loro correlazione con fattori prognostici non è stata del tutto esplorata.

L’isoforma al centro della nostra ricerca è stata la PLCβ1.

Gli esperimenti di ibridazione in situ fluorescente, condotti per determinare l’assetto del gene di nostro interesse, hanno messo in evidenza che la maggioranza (83%) dei pazienti in analisi presentava aneusomie del locus 20p12, dove mappa la PLCβ1, ed in particolare il fenomeno più frequentemente osservato era l’amplificazione di tale porzione cromosomica.

Ciò è in linea con quanto osservato in numerosi studi, ovvero l’alta frequenza di tumori con aneuploidie del cromosoma 20 tipicamente riscontrata in questa neoplasia (Persons et

Discussione

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al,1996; Ginestier et al, 2006).

Tuttavia, data l’eterogeneità delle cellule tumorali e la presenza di molteplici oncogeni/oncosoppressori candidati, nel carcinoma sporadico della mammella è molto difficile determinare se uno sbilanciamento cromosomico, riguardante un intero cromosoma o una porzione limitata, influenzi o no lo sviluppo del tumore (Beckmann et al, 1997).

Per rispondere a questo primo quesito è stata verificata l’associazione dell’ amplificazione osservato con due tra i principali parametri clinico-patologici utilizzati per il carcinoma della mammella: lo stato di invasività e l’indice proliferativo.

Data la scarsa differenza nelle percentuali di casi amplificati tra tumori in situ ed infiltranti, a parità di categoria proliferativa, possiamo concludere che lo stato allelico della PLCβ1 sembra essere indipendente dall’invasività della neoplasia.

Ciò che invece si associa fortemente (p= 0,001) con l’amplificazione genica osservata è l’indice di attività mitotica (MAI), in linea con le osservazioni che indicano una stretta correlazione tra contenuto alterato di DNA ed una rapida proliferazione e/o scarsa differenziazione (Silvestrini et al, 2000).

Tra l’altro, nonostante il ruolo delle fosfolipasi durante il processo mitotico non sia ancora del tutto chiaro, alcuni studi hanno riportato la possibilità che essa sia regolata in un modo “ciclo-specifico” e possa essere coinvolta nella funzionalità del cinetocore e nel mantenimento del fuso mitotico. (Lin et al, 2000)

Al fine di verificare se l’ amplificazione genica osservata avesse dirette implicazioni funzionali nei tumori considerati si è deciso, successivamente, di analizzare l’espressione della PLCβ1 mediante approccio di immunoistochimica.

Un’alterata espressione della proteina in esame, altamente espressa nel tessuto neuronale (Hannan et al, 1998), è stata documentata in alcuni tumori solidi, come il carcinoma del polmone a piccole cellule (SCLC), dove gioca un ruolo importante nella stimolazione della proliferazione da parte di fattori di crescita neuroendocrini (Strassheim et al, 2000). Inoltre, studi sul linee cellulari di epatoma di Morris hanno evidenziato la presenza della PLCβ1 sia nel nucleo che nel citoplasma di tali cellule tumorali, confermando il potenziale ruolo oncogenico di tale enzima (Santi et al, 2003).

Per ciò che concerne il tumore della mammella, il principale studio è stato condotto mediante immunocitochimica su linee cellulari di carcinoma mammario al fine di valutare l’espressione delle varie isoforme di PLC: in esso veniva mostrata una intensa positività alla isoforma β2, correlata con l’invasività tumorale e prognosi avversa, mentre veniva

51 affermato che la PLCβ1 nelle linee cellulari analizzate non era espressa ( Bertagnolo et al, 2006).

Tuttavia i nostri risultati indicano che le cellule neoplastiche esprimono la PLCβ1, con livelli proteici mediamente molto più elevati rispetto al tessuto mammario sano, che invece risulta negativo. La reattività risulta prettamente di membrana e citoplasmatica, mentre a livello nucleare non vi è evidenza di espressione. Ciò farebbe supporre una netta prevalenza dell’isoenzima 1a che, possedendo un dominio NES, si localizza prevalentemente nel citoplasma. Tuttavia ciò viene smentito dagli esperimenti in Real- Time-PCR dai quali emerge che, a livello di messaggero, l’isoforma prevalente è la 1b. La seconda ipotesi è che l’anticorpo utilizzato non sia in grado di riconoscere l’isoforma nucleare 1b e dunque i livelli proteici rilevati siano solo parziali. Ciò spiegherebbe anche la concordanza scarsa tra le metodiche FISH ed IIC: infatti, nonostante le due tecniche individuino fenomeni diversi, in genere, ad uno stato di amplificazione genica si accompagna una iperespressione della proteina. Nel nostro studio invece il 39% dei casi amplificati risultano esprimere la PLCβ1 solo a livelli bassi e questo potrebbe trovare spiegazione nel fatto che l’anticorpo utilizzato individui preferenzialmente l’isoforma 1a. Un’altra possibile spiegazione alla discordanza parziale osservata tra livelli genici e proteici potrebbe essere il fenomeno della polisomia. Infatti molti tumori possono avere uno stato di amplificazione dell’intero cromosoma 20, fenomeno frequentemente riscontrato nei tumori duttali della mammella, ma non mostrare alcun incremento della PLCβ1, in quanto, biologicamente, l’evento cardine dell’amplificazione osservata non è l’aumento del numero di copie del gene d’interesse.

Per far luce sul reale ruolo funzionale di questo enzima sono stati condotti alcuni esperimenti in Real-Time PCR, al fine di quantificare i livelli di messaggero. A causa delle difficoltà nel reperire materiale fresco da stoccare, data la dimensione sempre più ridotta delle lesioni operate, è stato possibile condurre l’analisi solo su un numero ristretto di campioni. Gli esperimenti mostrano che i livelli di mRNA dell’isoenzima 1b sono mediamente più elevati dell’isoenzima 1a, in accordo con quanto osservato anche nei pazienti affetti da sindromi mielodisplastiche (Follo et al, 2006). Non si osservano tuttavia associazioni significative tra l’espressione dei due isoenzimi singolarmente e le categorie proliferative o lo stato di amplificazione del gene.

Ciò che invece emerge, nonostante la casistica vada ampliata, è l’associazione statisticamente significativa tra amplificazione ed iperespressione del messaggero della PLCβ1, inteso come somma dell’espressione delle due isoforme insieme.

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52 Per verificare ulteriormente che lo stato di amplificazione genica del locus 20p12 fosse dovuto ad un reale ruolo della PLCβ1, sono stati quantificati i livelli di trascritto di un altro gene, localizzato poco distante (20p13): la CDC25, isoforma B. Il ruolo di questo potenziale oncogene nel tumore della mammella, specialmente nelle fasi iniziali della progressione, è ben documentato (Ito et al, 2004; Ma et al,2001). I nostri dati (dati non mostrati) indicano, tuttavia, che non vi sono differenze di espressione della CDC25 nei tumori con o senza amplificazione della PLCβ1, a supporto della tesi che vede la PLCβ1 come uno dei mediatori chiave dell’aggressività nei tumori della mammella.

Tale tesi viene avvalorata anche dai risultati che mostrano l’associazione dell’amplificazione del locus 20p12 con altri parametri clinico patologici importanti per questa neoplasia.

Ad esempio, tra i migliori predittori di outcome clinico ed indicatori di scelta terapeutica vi sono, oltre allo stato proliferativo, il grado tumorale e lo stato dei recettori ormonali. I risultati ottenuti evidenziano che la percentuale di cellule con l’amplificazione della PLCβ1 è via via maggiore all’aumentare del grado del tumore considerato (p= 0,032) e, viceversa è inferiore per quei casi che mostrano positività ai recettori per estrogeni e progesterone (ER p= 0,051; PgR p= 0,07). Se si considera poi la classe dei tumori di tipo luminale, ovvero tutti i tumori positivi per i recettori ormonali e senza l’amplificazione di HER2, l’associazione con l’ amplificazione diventa statisticamente ancora più significativa (p=0,027), con percentuali di tumori amplificati molto maggiori nei tumori negativi per i recettori ormonali.

Tutti questi dati insieme supportano l’ipotesi che la PLCβ1 sia un parametro in stretta relazione con l’aggressività della malattia.

A confermare ciò vi sono anche i dati di storia clinica dei pazienti.

Infatti, nonostante i dati di follow-up non fossero disponibili per tutti i pazienti e non tutti siano stati seguiti per un tempo sufficientemente lungo, i nostri risultati indicano che tutti gli eventi occorsi, ovvero i casi che hanno recidivato o con progressione di malattia, mostravano amplificazione nel locus in esame.

Tali considerazioni sono in apparente contrasto con quanto individuato in studi su sindromi mielodisplastiche, nelle quali delezioni monoalleliche a carico del gene della PLCβ1 sembrano associarsi ad un decorso clinico peggiore (Lo Vasco et al , 2004, Lo Vasco et al, 2006).

Tuttavia, in questi pazienti affetti da MDS ad alto rischio con delezione della PLCβ1 è stata osservata una attivazione delle vie di segnalazione Akt-dipendente, con conseguente

53 sbilanciamento tra proliferazione ed apoptosi (Follo et al, 2008).

Non avendo affrontato nel nostro studio l’analisi di quest’ultima via di segnalazione, possiamo supporre che nel tumore della mammella gli stessi effetti sull’evoluzione della malattia siano raggiunti attraverso meccanismi diversi ed interazione tra pathways differenti.

In particolare è noto che le vie di segnalazione lipidica intranucleare, di cui la PLC β1 è la principale protagonista, rivestono un ruolo importante nei processi di proliferazione e differenziamento cellulare che sono strettamente correlati alla trasformazione neoplastica (Martelli et al, 2005). Infatti, tale enzima, in risposta ad uno stimolo mitogenico innescato da IGF1R, può influenzare l’espressione della ciclina D3 ed agire quindi sulla progressione lungo la fase G1 del ciclo cellulare. Tra l’altro, nel caso specifico della mammella, diversi studi hanno mostrato come proprio la ciclina D3 abbia un ruolo importante nella tumorigenesi e sia responsabile dell’attivazione di pathway oncogenici distinti da quelli indotti dalla ciclina D1 (Wong et al, 2001; Murray et al, 2006)

Data l’importanza del crosstalk tra diverse vie di segnalazione tipicamente riscontrato nel carcinoma della mammella (Osborne et al, 2005), la PLC β1 potrebbe giocare un ruolo nel mantenimento del loop a feedback positivo responsabile della sopravvivenza e proliferazione cellulare del carcinoma della mammella.

Dunque, nonostante siano risultati preliminari, i nostri dati suggeriscono che la PLC β potrebbe essere un marcatore di aggressività da considerare per poter raggiungere una attività terapeutica ottimale ed avere informazioni sulla prognosi del paziente.

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