DARIO TOMASI
FRANCO LA POLLA
L'età dell'occhio. Il cinema e la cultura americana
pp. 276, Lit 2 8 . 0 0 0
Lindau, Torino 1999
L'insieme degli studi e delle ri-flessioni sul cinema, che hanno segnato l'ultimo trentennio, sem-bra essere stato attraversato da tre grandi ondate. Dapprima l'ubria-catura semiologica culminata in quelle analisi del testo contrasse-gnate dall'attenzione maniacale a minimi dettagli che finivano col diventare assai discutibili presup-posti di interpretazioni che, a loro volta, pretendevano essere nuove e originali. Poi il regno della psi-coanalisi dove, vuoi con Freud o con Lacan, un po' meno con Jung, il cinema diventava spesso mero pretesto per discorsi che, nei fatti, poco gli appartenevano - cosa che è valsa anche per mol-ta Feminist Film Theory. Infine l'epoca dello storicismo, che nell'ossessiva, per quanto sacro-santa, ricerca ed esibizione di fon-ti, dafon-ti, indagini microterritoriali finiva col dimenticare che la storia del cinema è pur sempre fatta di film, e come siano questi - coi lo-ro autori - a giustificare e dar sen-so a ogni ricerca.In questa raccolta di saggi, Franco La Polla si muove in un ambito che sembra porsi al riparo dai rischi sopra indicati. Il suo orizzonte teorico pare piuttosto ri-farsi all'universo dei Cultural
Stu-dies americani, alla storia delle
idee, al rapporto col contesto, ai grandi flussi culturali, in una paro-la, e nello specifico, al legame fra il cinema americano e "la cultura del paese che l'ha espresso". Que-sto approccio non esclude però l'attenzione tanto al testo - inteso qui come film - quanto alla sua natura linguistica, per cui, scrive giustamente l'autore, "non esiste vera conoscenza cinematografica senza una precisa conoscenza del linguaggio in cui il cinema si espri-me".
Il libro si divide in tre parti: nel la prima (Autori) ci si sofferma sull'opera di alcuni registi (Capra, Welles, Kazan Corman, Altman, Meyer); nella seconda (Film) sono invece le singole opere a farla da padrone (La via del tabacco, Biade
Runner, La zona morta, Il seme della follia, Forrest Gump, Ami-stad tra gli altri); nella terza (Que-stioni), infine, si esaminano alcuni
problemi di particolare interesse nel rapporto fra cinema e cultura e società americana (la Beat Genera-tion, la comicità ebraica, la fanta-scienza, l'iperrealismo ecc.).
Una volta individuate le coor-dinate generali nell'ambito delle quali si muove il lavoro di La Pol-la, cerchiamo meglio di coglierne le specificità, soffermandoci bre-vemente su tre saggi, uno per ognuna delle tre sezioni del libro, legati fra loro da uno stesso oriz-zonte: quello del fantastico In
Corman e Poe: cronaca di una li-berazione senza seguito La Polla
prende in esame l'insieme dei film che il regista ha realizzato ispirandosi ai racconti dello scrit-tore. È evidente come Corman non abbia cercato di tradurre fe-delmente le pagine di Poe,
intro-ducendovi varianti di storie e struttura, limitandosi a volte a prendere spunto da una situazio-ne, ricorrendo volentieri a quel particolare personaggio ordinario e quotidiano capitato un po' per caso là dove tutto può accadere. Eppure questi film portano con sé qualcosa che è proprio di Poe. Ciò accade perché Corman ha sa-puto coglierne "la visività, il po-tenziale di significazione e d'at-mosfera (...) il senso di una fata-lità che è nelle cose prima che ne-gli eventi". In sostanza Corman, come Poe, "ha molto spesso sot-tolineato l'ambiente a spese dell'azione", affidando ai movi-menti di macchina il compito di
I D E I L I B R I D E L M E S E |
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ni cinquanta che bene mette inluce una nuova rappresentazione del potere e dell'autorità. Di un'autorità in qualche modo coinvolta, ambigua, "sin troppo furba e astuta" da non poter più essere "inquadrata secondo l'usuale modello etico-politico del passato". Il sospetto, va da sé, non può più adesso dirigersi so un invasore esterno, bensì ver-so quella stessa autorità che "un tempo l'alimentava e di conse-guenza verso noi stessi ("Trust no one")". Il tutto come esplicito effetto di quella serie di even-ti che vanno dagli omicidi dei Kennedy, attraverso il Watergate e l'Irangate, sino alla "tragedia sotto forma di farsa" del caso Lewinski, che fanno di X-files un "perfètto prodotto del clima di tensione, sospetto, sfiducia che avvelena vieppiù l'America con-temporanea".
rendere quel "senso dell'incom-benza del luogo che così lucida-mente lo scrittore americano sa-peva creare con le sue parole".
In II seme della follia di John Carpenter, La Polla legge la rap-presentazione di quella incapacità di "distinguere tra fantasia e realtà" che è il "sintomo di un par-ticolare momento della nostra sto-ria (...) un dato gnoseologico del-la nostra cultura", e del dominio dei mezzi di comunicazione di massa (nuovi o vecchi che siano). Ma, nel contempo, il film è discus so anche in rapporto alla tradizio-ne dell'horror, e visto, in partico-lare, come una sorta di amalgama di temi e situazioni che sono pro-pri di due maestri del genere qua-li H.P. Lovecraft e Stephen King, il tutto attraverso la storia di "una comunità minata negli stessi rap-porti familiari (un tipico tema kin-ghiano) a causa del dominio di una stirpe di mostri che reclama la restaurazione del proprio potere assoluto sulla terra (Lovecraft)".
Infine è la volta di "X-files":
l'orrore del pensiero tra fanta-scienza e parodia. Tra i diversi
suoi elementi d'interesse possia-mo citare l'analisi comparata del-la serie televisiva di Carter in re-lazione alla fantascienza degli
an-questo lavoro proprio nel tentativo di legare pratica ed estetica dei film trattati al contesto sociale e culturale in cui nascono. Un'opera che arriva in libreria giusto al termi-ne di una stagiotermi-ne in cui la guerra è tornata prepotentemente in pri-mo piano, sia dal punto di vista delia produzione di fiction (con il successo e le candidature al-l'Oscar di Salvate il soldato Ryan, La sottile linea rossa, La vita è bel-la), sia rispetto all'inadeguatezza dell'immagine televisiva nel far comprendere la complessità degli eventi reali. A tale proposito, l'am-pia gamma di esempi portati nelle pagine del libro contribuisce a porre al centro dell'attenzione, al fine di una prospettiva critica che non finisca di avvitarsi nell'auto-compiacimento di se stessa, il pia-cevole ritomo a una saggistica cu-riosa e intelligente, che, una volta analizzate le singole opere e avvi-cinatele sistematicamente, sappia anche cosa fare per non lasciar morire il proprio lavoro, proponen-dosi come ricco serbatoio di ulte-riori approfondimenti su filmogra-fie e singoli film. Dopo anni di pigre critiche autoreferenziali e istanta-nee, prive di prospettiva storica, fa piacere scoprire che qualcuno ha ancora delle cose da dire a propo-sito dei film sul Vietnam e dei suoi sottogeneri, sugli incubi nucleari dell'America, sulle più recenti
N. 11, PAG. 35 incerto nel momento stesso in cui ci si accosta all'oggetto stesso"; la riconoscibilità, cioè, non ha come suo corollario la possibilità di una definizione teorica altrettanto auto-matica. Ecco che allora il progetto di Udine ha privilegiato utilmente gli studi sul cinema dei primi anni, per ripensare ì fondamenti della nozione e dei modelli in questione a partire dalla loro "nascita". Tutta-via, tale prospettiva storica non si limita a, e anzi si discosta da, un'ottica di tipo evoluzionistico, proprio attraverso la costante veri-fica teorica, vale a dire attraverso il tentativo di definizione "astratta" di precise configurazioni sociocultu-rali, linguistico-stilistiche, narrati-vo-semantiche proprie a ciascuno dei contesti indagati. Proprio in questo senso, ai saggi di proposta teorica più generale (come quello di Casetti, teso alla definizione del ge-nere come dispositivo che garanti-sce e regola un "patto comunicati-vo" tra i testi e i loro interlocutori) e di inquadramento più ampio sui pro-cessi derivativi del cinema da altri sistemi comunicativi ed espressivi (Brunetta), si uniscono i percorsi storicamente motivati sui rapporti tra i generi cinematografici primitivi, i sistemi a essi limitrofi (la letteratu-ra, lo spettacolo popolare e le arti fi-gurative), le loro fonti. I numerosi contributi raccolti (Altman, Dagra-da, Jost, Gaudreault, Lagny e molti
ROY MENARINI, MASSIMO MORETTI, ANDREA ALONGE Il cinema di guerra americano pp. 229, Lit 2 4 . 0 0 0
Le Mani, Recco (Ge) 1999
Esistendo, intorno al war movie
classico (quello incrementatosi du-rante il secondo conflitto mondiale e consolidatosi negli anni succes-sivi) una bibliografia critica sconfi-nata, tre appassionati studiosi di cinema americano ed esperti del genere bellico hanno ritenuto im-portante concentrarsi sulla rappre-sentazione hollywoodiana delta guerra dei corso degli ultimi tren-t'anni. La data di partenza è il 1968, anno d'uscita di Berretti ver-di, in cui per la prima volta qualcu-no (gii autori John Wayne e Roy Kellog) metteva esplicitamente in scena il conflitto in corso in Viet-nam, affrontando un tema di scot-tante centralità nella società ameri-cana dell'epoca, letteralmente spaccata in due tra pacifisti e so-stenitori dell'intervento. In un pano-rama editoriale contemporaneo che spesso non sa aggiungere nul-la di veramente nuovo e utile ai te-mi affrontati, ci sembra di poter in-dividuare il merito maggiore di
guerre di Hollywood, tenendo ben presente che il cinema è una pre-cisa espressione della società e della Storia.
UMBERTO M O S C A