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Questa stessa condizione di mancata autonomia nei movimenti deve aver in qualche modo contribuito all’associazione della cecità con la poesia, la profezia e la musica; lo afferma B. Graziosi nel suo capitolo Blindness, Poverty and Closeness to the Gods:

“Unlike the mute, deaf, or mentally impaired, blind people could not make themselves useful with heavy-duty work, such as ploughing or cleaning, or with most sedentary skills open to others. This is, I think, one

78 Idem. Cfr. anche p. es. Eur. Bacc. 170-364, in cui il dramma viene aperto con l’ingresso di

due vecchi, Cadmo e Tiresia: vecchiaia, cecità e vulnerabilità sono motivo di pietà e ridicolezza per l’apertura del dramma. Nelle tragedie che ci presentano personaggi cechi, la loro anzianità è una regola; le uniche eccezioni che ci pervengono si trovano nell’Ecuba e nel Ciclope di Euripide dove Polimestore e Polifemo vengono accecati, ma non sono vecchi. Per un’analisi della parodia che nel Ciclope di Euripide nasce proprio dall’insistere sull’incertezza dei movimenti di un essere così grande quale era Polifemo, cfr. Bernidaki- Aldous 1990, p. 39.

of the reasons why we do not hear of blind slaves, whereas mute, deaf, lame, and retarded ones are well attested. Blind people must have resorted to begging, and it should be noted that reciting, singing and fortune-telling are activities typically associated with beggars rather than slaves. (…) it is important to bear in mind that, at the level of myth, blindness marks out a person that is at the same time less than and greater than an ordinary mortal, someone who is dependent on the mercy of the others but endowed with exceptional understanding.”79

La cecità rendeva impossibile il corretto svolgimento di qualsiasi impego pratico-manuale, esonerando così le persone cieche dal destino di schiavitù che nella maggior parte dei casi toccava nell’antichità alle persone con disabilità mentali e fisiche. Nell’ Etica Eudemia Aristotele sostiene che le persone cieche abbiano una migliore memoria e quindi una maggiore propensione per la poesia orale (1248b1-3: καὶ ὥσ1ερ οἱ τυφλοὶ 4νη4ονεύουσι 4ᾶλλον ἀ1ολυθέντες τοῦ 1ρὸς τοῖς ὁρω4ένοις, τῷ ἐρρω4ενέστερον εἶναι τὸ 4νη4ονεῦον; “Così come i ciechi ricordano meglio, essendo la loro memoria libera da ciò che concerne il visibile”, trad. di A. Plebe). Con osservazione meno scientifica, la mitologia e l’epica vedevano nell’associazione di cecità e arte poetica la manifestazione di un equilibrio tra bene e male, fortune e sfortune, che gli dei riservavano agli esseri umani. Il pensiero greco, infatti, si fondava sulla profonda convinzione che non esistesse la felicità assoluta per l’uomo: il massimo a cui si potesse aspirare era un’alternanza o un’equilibrata unione di bene e male.80 La figura del poeta o indovino cieco ne sarebbero piena

79 Graziosi 2002, p. 146.

80 Tale pensiero è esplicitato in Hom. Il. 24.527-33 in cui Achille racconta che sul suolo di

casa di Zeus ci sono due giare, una contenente il bene e una il male, il più fortunato degli uomini riceve un po’ dell’una e un po’ dell’altra, mentre gli altri ricevono sfortuna non diluita. Gli scoli a commento della condizione di Demodoco connettono esplicitamente il racconto di Achille con Demodoco: vd. p. es. scholia T, E, ad Odyss. 8.63.

manifestazione, come ben lo spiegano le parole di Omero nell’introdurre l’aedo Demodoco al banchetto dei Feaci (Hom. Od. 8.62-64):

κῆρυξ δ᾽ ἐγγύθεν ἦλθεν ἄγων ἐρίηρον ἀοιδόν,

τὸν 1έρι 4οῦσ᾽ ἐφίλησε, δίδου δ᾽ ἀγαθόν τε κακόν τε: ὀφθαλ4ῶν 4ὲν ἄ4ερσε, δίδου δ᾽ ἡδεῖαν ἀοιδήν.

E venne l’araldo, conducendo l’aedo insigne. Su tutti lo predilesse la Musa, e un bene e un male diede: lo privò della vista, ma gli diede il dolce canto. (trad. di Di Benedetto)

Perché la Musa, fra tutti i mali con i quali poteva controbilanciare il dono della poesia, scelse proprio quello della cecità?81 Oltre alle considerazioni pragmatiche viste prima, si possono aggiungere due importanti elementi: l’essere cieco garantiva al poeta un completo distacco dall’uditorio, il che permetteva sia una migliore performance, sia l’imparzialità fondamentale per la narrazione epica;82 inoltre, la cecità era anche una buona spiegazione alla straordinaria capacità propria dei poeti e dei profeti di vedere oltre i limiti concessi ai comuni esseri mortali. Tali

81 Graziosi 2002, p. 139.

82 Cfr. Graziosi 2002, pp. 1401-141: in Hom. Hod.8. 62ss. il fatto di essere cieco impedisce a

Demodoco di riconoscere fra il proprio uditorio Odisseo, in lacrime, protagonista delle stesse imprese che sta narrando con il proprio canto alla corte dei Feaci. Questo è un bene per il cantore, in quanto, garantendo un distacco da ciò che lo circonda, gli permette di cantare gesta di tempi ed eroi lontani come se egli stesso fosse stato presente o lo avesse udito da qualcun’altro, come afferma Odisseo (Hom. Od. 8.491: ὥς τέ ἤ αὐτος 1αρεὼν ἤ ἄλλου ἀκούσας). A riprova dell’importanza che il distacco dall’uditorio aveva per il successo del canto dell’aedo B. Graziosi invita alla lettura del passo Hom. Od. 1.346-352, in cui il cantore Femio, non cieco, riscontra maggiori difficoltà nel mantenere la giusta distanza dall’uditorio: ha bisogno dell’intervento di Telemaco per poter continuare a cantare “secondo l’impulso della sua mente” (ὅ11ῃ οἱ νόος ὄρνυται) a fronte del sollecito da parte di Penelope di cambiare argomento (ταύτης δ’ἀ1ο1αύε ἀοιδῆς λυγρῆς). B. Graziosi conclude: “it seems that blindness works as a screen which separates bard from audience, a symbol of distance and impartiality to the desires, needs and even identity of his audience. The complementary gift of song, on the other hand, enables the bard to describe remote people and events ‘as if he had been there’.” La Graziosi assume anche che proprio tale imparzialità necessaria al cantore per una buona riuscita del proprio canto e garantita proprio dalla cecità sia la ragione per cui anche Omero è nella tradizione rappresentato preferibilmente cieco: “Homer is impartial, and his blindness can be seen as a symbol of that impartiality”. Infatti, gli studiosi più scettici riguardo alla cecità di Omero sostengono che in verità tale ritratto è stato inventato dagli antichi che hanno modellato la sua immagine su quella di Demodoco.

limiti vengono superati dai poeti per quanto riguarda il passato, mentre dai profeti/indovini per quanto riguarda il futuro: è questa una dote che essi possiedono grazie al loro particolare contatto con gli dei. Le Muse conoscono (οἶδα) tutto, in quanto sono state presenti a ogni vicenda umana del passato, mentre gli uomini sanno i fatti solo per sentito dire, attraverso la fama (κλέος), e possono, quindi, conoscerli nel loro giusto ordine solo grazie alle Muse, invocate affichè condividano il proprio sapere. Si legga a questo proposito l’invocazione alle Muse di Omero al momento di procedere con il catalogo delle navi (Hom. Il. 484-487):

ἔσ1ετε νῦν 4οι Μοῦσαι Ὀλύ41ια δώ4ατ᾽ ἔχουσαι: ὑ4εῖς γὰρ θεαί ἐστε :άρεστέ τε ἴστέ τε :άντα, ἡ4εῖς δὲ κλέος οἶον ἀκούο2εν οὐδέ τι ἴδ2εν: οἵ τινες ἡγε4όνες ∆αναῶν καὶ κοίρανοι ἦσαν.

Narratemi ora, Muse, che abitate le case d’Olimpo, – Voi siete infatti dee e siete presenti e sapete ogni cosa, Mentre noi soltanto la fama ascoltiamo e nulla sappiamo – Dite chi erano i capi dei Danai e i comandanti. (trad. di G. Cerri)

Nel mondo greco la conoscenza di passato, presente e futuro era, dunque, prerogativa unicamente degli dei. Gli uomini vi potevano avere accesso solo tramite alcune figure speciali ed enigmatiche, dotate di un particolare contatto con il mondo divino: tali figure erano quelle del poeta/cantore e dell’indovino/profeta, e quali erano il più delle volte rappresentate cieche. Si trattava di figure particolarmente onorate e rispettate nella società greca83: a testimonianza di questo si ritorni alla scena del banchetto presso l’isola dei Feaci, quando Demodoco viene invitato a cantare una seconda volta al termine delle gare. Odisseo chiede

83 Bernidaki-Aldous 1990, p. 76: “There is no doubt, therefore, that the blind seer and the

blind poet (like Homer, Thamyris, Demodocus and Stesichorus) occupies a special and high-ranking place in the hierarchy of Greek society.”

all’araldo di dare a Demodoco una parte prelibata del maiale, segno di grande prestigio, e lo elogia così (Hom. Od. 8.478-481):

… καί 4ιν 1ροσ1τύξο4αι ἀχνύ4ενός 1ερ: 1ᾶσι γὰρ ἀνθρώ1οισιν ἐ1ιχθονίοισιν ἀοιδοὶ τι2ῆς ἔ22οροί εἰσι καὶ αἰδοῦς, οὕνεκ᾽ ἄρα σφέας οἴ4ας 4οῦσ᾽ ἐδίδαξε, φίλησε δὲ φῦλον ἀοιδῶν.

… in tal modo lo voglio onorare, benché io sia afflitto. Per gli uomini tutti sulla terra gli aedi

sono partecipi di onore e rispetto, perché ad essi

la Musa insegna le tracce dei canti e ama gli aedi. (trad. di Di Benedetto)

Ciechi, ma cari agli dei, aedi e profeti erano “at once less than, and greater than, a man”, citando la famosa descrizione che R. G. A. Buxton offre dell’indovino Tiresia.84 Nell’Odissea, tali tratti che accomunano e differenziano poeti e profeti sono ben rappresentati da Demodoco e da Tiresia85; quest’ultimo, infatti, costituisce in molti sensi la controparte del primo: “at the level of narrative, the singer describes to Odysseus his past, whereas the seer tells him his future. Both the seer and the bard extend the narrative beyond its limits, telling things they have not learned through sense perception”.86

84 Buxton, 1980 p. 145. vd. anche pp. 29 ss: “Poets and seers stand in an especially close

relationship to the gods. But, precisely for that reason, they blur the distinction between god and man. In order to preserve the distinction intact, special powers possessed by mortals are, in the logic of myth, balanced by special defects.” Cfr. anche Dodds 1951, p. 81.

85 Graziosi 2002, p. 142: “Like the blindness of Demodocus, that of Teiresias is explicitly

linked to the divine gift of superhuman knowledge.”

86 Graziosi 2002, p. 142. In questa sede B. Graziosi commenta il passo Hom. Od. 10. 490-495

in cui per la prima volta Tiresia viene menzionato nell’Odissea, quando Circe anticipa a Odisseo il suo viaggio nell’oltretomba, dove incontrerà Tiresia “il cieco indovino, di cui resta salda la mente; a lui solo anche da morto Persefone concesse mente assennata; gli altri invece sono ombre che svolazzano” (Hom. Od. 493-494: 4άντηος ἀλαοῦ, τοῦ τε φρένες ἔ41εδοί εἰσι:/ τῷ καὶ τεθνηῶτι νόον 1όρε Περσεφόνεια,/οἴῳ 1ε1νῦσθαι, τοὶ δὲ σκιαὶ ἀίσσουσιν). Nel mondo greco la morte era spesso descritta come “perdita della vista”, ma Tiresia, che già in vita non possedeva la vista, non perde dopo la morte la “vista della mente” che in vita lo caratterizzava: “The blind man, in other words, blurs the distinction between life and death: he does not lose his sight at the moment of death, because he did not have it in his first place, while at the same time he retains his insight before and after dying”. Da notare il parallelo: Demodoco è l’unico che non vede Odisseo

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