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LA POLISEMIA DEL TERMINE STRANIERO

Nel documento INCONTRI CON L’ALTRO MONDO (pagine 40-44)

Innanzitutto è doveroso, anche in questo capitolo, fare una breve parentesi lessicale al fine di comprendere appieno cosa si nasconda realmente dietro l’etichetta generica e spesso abusata di “bambino straniero”, una categoria concettuale che vorrebbe fornire in due parole un’etereogeneità di spiegazioni e di vissuti diversi, impossibili da conciliare. Bisogna infatti considerare che ognuno dei 250.000 bambini migranti presenti in Italia si può far rientrare in una delle seguenti sotto-categorie che ampliano e completano il termine “straniero”. Troviamo infatti:

- coloro che arrivano in Italia al seguito di un parente, grazie al ricongiungimento

familiare, per incontrare una figura paterna o materna, che spesso è divenuta quasi un’estraneo/a;

- coloro che si riuniscono in un nucleo familiare, nel periodo dell’adolescenza,

richiudendosi in esso, per proteggersi inconsciamente dalle insidie della nuova società di accoglienza;

- coloro che nati in Italia, al compimento dei 18 anni, diventano cittadini italiani, con

vogliono allontanare, e la società d’accoglienza che altrettanto spesso li rifiuta per la loro apparente diversità;

- coloro che sono stati adottati e hanno perso qualsiasi contatto con il paese di origine,

italiani a tutti gli effetti anche da un punto di vista statistico;

- coloro i quali hanno uno dei genitori che proviene da un paese lontano e diventano

involontariamente l’esempio vivente dell’intercultura e, nei casi positivi, un vero proprio “ponte” tra i popoli;

- coloro che, loro malgrado, provengono da zone di guerra o sfuggono da

persecuzioni e miseria, arrivati nel nostro paese per vie traverse.

In definitiva, il termine “straniero”, come in riferimento agli adulti, oltre ad avere assunto nel linguaggio quotidiano un’accezione fortemente negativa, non riflette ma appiattisce in maniera inadeguata il possibile sradicamento traumatico vissuto dai bambini. E’ per questo motivo che, in altri paesi europei, ci si riferisce ai bambini di nazionalità straniera con il termine enfants migrants, più riferito all’esperienza migratoria, piuttosto che alla diversità nazionale. Anche questo termine viene comunque criticato in quanto porta in sé un rischio elevato di stigmatizzazione sociale, come afferma M. Abdallah Pretceille: “Questa insistenza, ai limiti dell’insolenza, nell’uso del termine “immigrato” non può che portare ad una percezione drammatizzata della scolarizzazione di questi bambini. Essa incide in maniera negativa sulle rappresentazioni che gli insegnanti si fanno degli allievi. L’effetto Pigmalione, ormai ben conosciuto, trova così una nefasta esemplificazione.” 19

Risulta comunque difficile quantificare con stime precise gli alunni provenienti da paesi stranieri, presenti nelle scuole italiane, a causa di una serie di fattori tra loro concatenati:

- la frequente mobilità delle famiglie immigrate

- gli inserimenti dei neo-arrivati, i quali spesso giungono ad anno scolastico già

inoltrato;

- la distribuzione disomogenea dei vari gruppi etnici e la cronica mancanza di una

seria ricerca nazionale sul rapporto scuola-immigrati;

- l’ambiguità della nozione di nazionalità, nella quale mal si ritrovano i bambini

adottati o i bambini stranieri nati in Italia.

Tabella 12: alunni stranieri e luoghi di residenza

(fonte: G. Favaro, Il mondo in classe, dall’accoglienza all’integrazione dei bambini stranieri a scuola, Nicola Milano Editore, Bologna, 2000)

Provincia Totale Nel capoluogo Nazionalità prevalente

1. Milano 7283 67,4 Cinese 2. Roma 3003 75,4 Polacca 3. Torino 2603 70,2 Marocchina 4. Brescia 2503 18,9 Marocchina 5. Firenze 2403 55,8 Cinese 6. Bologna 2040 44,1 Marocchina 7. Vicenza 1956 15,5 Ex-Yugoslavia 8. Verona 1909 24,6 Marocchina 9. Modena 1596 29,0 Marocchina 10. Treviso 1484 10,5 Marocchina

Fondamentale per l’integrazione del ragazzo/a nella nuova dimensione scolastica e il rispetto, nel limite del possibile, della sua età anagrafica, come da circolare ministeriale, e dalla tipologia di inserimento che si desidera attuare, tenendo ben presente che, in base ad una ricerca condotta a Milano dall’ISMU, il 30% dei bambini stranieri inseriti nella scuola elementare vive una situazione di ritardo scolastico, mentre alle medie tale valore si eleva al 56%.

Con la nuova autonomia scolastica, i singoli istituti comprensivi si trovano a poter scegliere la modalità di inserimento preferita per ogni singolo alunno, senza necessariamente dover seguire dispositivi rigidi e predefiniti. Si apre quindi anche in Italia il dibattito tra i fautori delle classi di “accoglienza linguistica”, (dette oltralpe, di “initiation” o “adaptation”), le quali prevedono un’ulteriore iscrizione pedagogica specifica per l’apprendimento della seconda lingua, in parallelo con la normale iscrizione burocratica e i teorici del cosiddetto “bagno linguistico”. Nel primo caso si rischia di ghettizzare (anche se le classi speciali sono transitorie ed in seguito il nuovo venuto viene inserito in una normale classe) gli stranieri, fin dall’inizio, in classi separate, evitando così il naturale contatto con i bambini autoctoni, fonte inesauribile di curiosità e conoscenza, insegnando però, in maniera intensiva, la lingua del luogo; nel secondo caso il ragazzo viene immerso fin dal primo giorno in mezzo agli altri compagni, indipendentemente dal

suo livello di italiano, basando l’apprendimento del nuovo codice linguistico tramite il contatto con gli altri, con tutti i pro e i contro del caso. La soluzione apparentemente più opportuna sembra trovarsi a metà strada fra le modalità sopraccitate: bisogna cercare di combinarne al meglio vantaggi e inconvenienti, tenendo ben presente il background culturale e sociale del bambino migrante. Secondo la Favaro, la fase di accoglienza deve quindi possedere due obbiettivi primari da una parte l’acquisizione di base della comunicazione orale e della lettura, dall’altra , quello di aiutare i bambini venuti da lontano a “imparare” la nuova scuola.20

Volendo dividere i ragazzi/e stranieri in classi di età si possono definire i seguenti quattro macrogruppi, ben definiti e presenti sul suolo italiano:

1. i bambini/e fra zero e sei anni (quindi nati in Italia o arrivati in tenera età), i quali

nella scuola dell’infanzia vivono il delicato passaggio dall’ambiente familiare all’ambiente scolastico, con i conseguenti nuovi comportamenti e abitudini da acquisire; la scuola dell’infanzia assume di conseguenza il compito di rendere più dolce il passaggio tra le due situazioni;

2. i bambini fra sei e otto anni, appena arrivati in Italia o affidati precedentemente alle

cure dei famigliari e che non hanno quindi frequentato la scuola dell’infanzia, la loro necessità primaria è quella di apprendere i rudimenti della nuova lingua (normalmente un sostegno linguistico è più che sufficiente);

3. i bambini fra nove e undici anni, per i quali influisce estremamente la padronanza o

meno di una lingua neolatina e il livello di scolarità pregresso, pena il ritardo scolastico, comunque accettabile, di un anno; era uso comune fino a poco tempo fa, e spesso lo è tuttora, quello di inserire bambini di dieci anni, addirittura in classi di prima elementare, calando il soggetto in una condizione infantilizzante, in un clima psicologico non favorevole né per l’apprendimento, né per lo sviluppo generale dell’identità;

4. i pre-adolescenti, rappresentano il gruppo più problematico, in quanto hanno già

assimilato una prima lingua, con tutti i suoi schemi mentali e trovano perciò maggiori difficoltà nell’apprendere l’italiano, per quanto possano riconoscerne un’oggettiva utilità per la comunicazione; ai semplici problemi di adattamento, vissuti in maniera più adulta, rispetto alle classi di età precedenti, si sommano le

20 G. Favaro, Il mondo in classe, dall’accoglienza all’integrazione dei bambini stranieri a scuola, Nicola Milano Editore, Bologna, 2000

difficoltà dell’adolescenza, in un mix sfavorevole, che può riuscire a spiegare l’alto tasso di insuccesso degli stranieri alle scuole medie.

2.4 L’ETEROGENEITA’ DELLE COMUNITA’ STRANIERE: COME

Nel documento INCONTRI CON L’ALTRO MONDO (pagine 40-44)