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La politica degli impiegh

Nel documento Per un'introduzione a Raffaele Mattioli (pagine 83-85)

2.2 «La raccolta è il mezzo che non va confuso col fine, col credito»

2.5. La politica degli impiegh

La politica degli impieghi è centrale nella visione di Mattioli perché la «banca esiste per fare credito» e «la raccolta è il mezzo che non va confuso con il fine, col credito». E qui si collegano tutti i principali temi di una sana gestione, da quello della natura del credito, a quello della liquidità, a quello del capitale, a quello della finalità del credito e del suo effetto sul sistema. «Noi siamo consci della responsabilità […] di assicurare […] che un incre- mento dei nostri impieghi ordinari […] sia diretto unicamente a finanziare il

3 Calamanti, dopo aver letto il mio intervento e nello specifico la parte qui in esame, mi ha

fatto presente di concordare a pieno con le mie considerazioni, anche per esperienze fatte personalmente, all’epoca, nel campo della formazione bancaria specialistica. Egli ricorda che «i vertici delle banche, fatte le dovute eccezioni, erano in linea generale contrari alla diffu- sione dei titoli presso la clientela perché temevano che questo avrebbe comportato una ridu- zione della raccolta». L’avverbio inspiegabilmente è stato da lui «utilizzato allo scopo di si- gnificare che non vi erano ragioni, né per le banche né per altri soggetti, di ritardare un prov- vedimento indispensabile per l’ammodernamento e per il buon funzionamento del mercato mobiliare e del sistema finanziario. Si è trattato di una grave miopia e di un’incapacità di

processo produttivo […] escludendo in modo assoluto il sostegno di posi- zioni speculative di magazzino, per quanto solide possano essere le garanzie offertaci, ampi i margini di scarto, allettanti le condizioni» (Mattioli, cit. in Calamanti, pp. 211-212).

L’approccio di Mattioli è giustamente definito da Calamanti un approccio da Banca Centrale. Il benessere della banca non può prescindere da quello della solidità e salute delle imprese clienti e del sistema economico nel suo complesso. Queste finalità erano assolutamente anteposte a quella del pro- fitto ritraibile per quanto elevato.

Ma il credito non è unitario: c’è il credito ordinario commerciale, il cre- dito finanziario, il credito mobiliare. E sulla distinzione tra queste tre cate- gorie Mattioli si interroga continuamente, mettendo in luce come ogni tipo di credito abbia regole, esigenze ed effetti diversi: «veniamo al concreto: se la fonte di rimborso è la vendita di prodotti e di servigi, il credito è commer- ciale. Se invece il credito debba essere rimborsato attraverso collocamento sul mercato dei capitali, allora esso è sicuramente credito finanziario, o me- glio mobiliare, anzi è senz’altro il “credito mobiliare”. L’altro resta credito bancario tout court – credito d’esercizio vero e proprio, o credito asseconda- tore dello sviluppo in atto dell’azienda, anticipo e prefinanziamento del così detto autofinanziamento: un credito cioè che trascolora nel “finanziario” in quanto finisca con l’essere “rimborsato” in due-tre esercizi con i profitti dell’azienda, senza che si renda necessario il ricorso ad operazioni di credito “mobiliare”» (Mattioli, cit. in Calamanti p. 234).

A Mattioli non sfugge certo che nella realtà talora queste distinzioni di- ventano incerte e sfuggenti: «La distinzione tra credito ordinario e credito finanziario sembra ovvia e quasi direi assiomatica. Ma, in verità, quando si cerca di definirla, diventa incerta e sfuggente. La radice della difficoltà sta nella tacita presunzione che si possan separare, nell’unità vitale di un’azienda, i fondi presi a prestito per rafforzarne la struttura e quelli desti- nati a unger le ruote della produzione. Una volta entrati nell’azienda, i soldi ottenuti a credito, anche se costano differenti saggi d’interesse, anche se sot- tostanno a diverse condizioni di utilizzo e di rimborso e a specifiche garanzie, hanno una tendenza irresistibile a coagularsi, a confondersi e a ridistribuirsi, nell’interno dell’azienda, verso quegli scopi dove presumibilmente la loro virtù attiva è maggiore e più proficua» (Mattioli, cit. in Calamanti, p. 232).

E, come riprenderemo nel paragrafo successivo, il tema si collega diretta- mente al tema della liquidità e del credito: «la distinzione da farsi non è tra crediti a medio o a breve termine (distinzione del resto ignorata anche dalla legge bancaria), ma tra crediti liquidi e crediti illiquidi o, più brevemente, tra crediti e immobilizzi. Un credito può essere liquido per la banca […] anche se

investito permanentemente nell’azienda beneficiaria. E un immobilizzo […] può nascere dallo sconto della più schietta carta commerciale a sessanta e an- che a trenta giorni. Il criterio distintivo non può essere la durata formale del credito concesso, ma la sua natura e la bontà sostanziale, che vuol dire sicu- rezza di rimborso e proficuità di investimento» (cit. in Calamanti, p. 158).

Mattioli ammette che in una grande banca come la Comit una quota (non elevata, circa 10%) può essere di credito finanziario e quasi mobiliare. Ma con questo Mattioli non vuole certo ritornare alla banca mista o banca d’af- fari da cui era partito negli anni Trenta: «Nell’ambito degli impieghi, gli im- mobilizzatori finanziari e mobiliari nel 1931 avevano progressivamente rag- giunto una quota abnorme: 66% circa; in parallelo i crediti ordinari si erano ridotti ad un modesto 30%» (così Calamanti a p. 133).

Vi sono oggi in Europa banche miste dove queste proporzioni sono an- cora più elevate. Il credito finanziario di una banca ordinaria deve essere un’eccezione limitata, motivata e transitoria. Per questo occorrono gli istituti di credito speciale, come l’IMI; per questo si crea Mediobanca; per questo la Comit è impegnata per un potenziamento del mercato mobiliare. Degli uni e dell’altro Mattioli lamenta l’insufficienza.

Cingano ribadirà con ancora maggiore rigore che la Comit è banca di cre- dito ordinario e tale deve rimanere. Tuttavia conosco alcuni casi di imprese che hanno avuto un grande sviluppo che non lo avrebbero avuto se la Comit degli anni Sessanta non avesse concesso loro un po’ di credito finanziario o di sviluppo.

Nel documento Per un'introduzione a Raffaele Mattioli (pagine 83-85)