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« Ogni rapporto di “egemonia” è necessariamente un rapporto pedagogico e si verifica non solo nell’interno di una nazione, tra le diverse forze che la compongono, ma nell’intero campo internazionale e mondiale, tra complessi di civiltà nazionali e continentali»108.

ANTONIO GRAMSCI, Quaderni del carcere

2.1. Segnali di vita

La dimensione culturale non era contemplata negli accordi istitutivi della Comunità europea: nel Trattato di Roma non ve ne era alcuna traccia. Negli anni compresi tra il 1957 e il 1992, fu invece un ente estraneo al processo d’integrazione europea ad operare in favore di una risignificazione del panorama culturale del Vecchio continente: si trattava del Consiglio d’Europa, organizzazione intergovernativa fondata il 5 maggio del 1949, con sede a Strasburgo109. Tra i suoi obiettivi figuravano la valorizzazione dei diritti umani, della democrazia, dello Stato di diritto, e a tale fine il settore culturale veniva esplicitamente indicato come uno dei maggiori perimetri d’interesse del sodalizio110. Quest’azione pionieristica fu caratterizzata dall’enfasi posta sulla cooperazione culturale come vettore adatto alla diffusione del pensiero federalista su scala continentale.

L’approccio militante alla cultura traspariva in effetti fin dalla prima sessione dell’assemblea consultativa, tenutasi dal 10 agosto al 10 settembre del 1949, nel corso della quale risuonarono aspre condanne dei pregiudizi nazionali e vibranti incoraggiamenti nei confronti degli sforzi di sensibilizzazione europeista rivolti alla popolazione111.

108 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere (vol. II), edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 20144, p. 1331.

109 Tra i membri fondatori figuravano dieci Stati: Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Regno Unito. A distanza di qualche mese sopraggiunse l’adesione di Grecia e Turchia.

110 Si veda l’articolo 1 dello Statuto, disponibile al seguente indirizzo internet:

http://assembly.coe.int/nw/xml/RoP/Statut_CE_2015-FR.pdf [ultima consultazione di data 30.10.2019].

111 Viviane Obaton, La promotion de l'identité culturelle européenne depuis 1946, Institut européen de l'Université de Genève, Genève 1997. Cfr. anche Oriane Calligaro, Quelle(s) culture(s) pour l’Europe ? Les visions contrastées du

Lo strumento privilegiato delle politiche implementate dal Consiglio d’Europa fu la firma di convenzioni tra gli Stati membri, sorta di dichiarazioni d’intenti prive di carattere vincolante112. Nello specifico ambito della cultura, il documento di riferimento fu la Convenzione culturale europea, sottoscritta a Parigi il 19 dicembre 1954. Entrato in vigore nell’aprile del 1955, il documento impegnava ogni Stato contraente a salvaguardare e a incoraggiare lo sviluppo del patrimonio culturale comune dell’Europa, e ad avviare la propria cittadinanza «allo studio delle lingue, della storia e della Civiltà degli altri Paesi»113.

Sulla base di questo atto giuridico plurilaterale, il Consiglio d’Europa avrebbe imbastito le prime politiche culturali aventi come orizzonte di riferimento l’unità del continente, caratterizzate da un ricorso costante all’alta cultura. Tra di esse spiccavano per qualità intrinseca e riscontro nell’opinione pubblica le esposizioni d’arte, organizzate con cadenza annuale in una diversa città d’Europa114, così come la carta d’identità europea, documento concesso a letterati, uomini di scienza e insegnanti, cui venivano erogati dei benefici attinenti la propria formazione (accesso gratuito a musei, facilitazioni per vitto e alloggio in città d’arte eccetera).115 Accanto ad esse, il Consiglio d’Europa profuse le sue energie nel difficile tentativo di coniare simboli adatti a diffondere i primi significanti di un immaginario collettivo europeo. Guardando a questa prospettiva, prese forma l’idea di dotare l’organizzazione di una bandiera ufficiale. Le prime discussioni al riguardo risalivano al 1950: se Richard Coudenhove-Kalergi, già fondatore dell’Unione Paneuropea, proponeva l’adozione del simbolo del proprio sodalizio, il funzionario del Consiglio d’Europa Paul Levy e il direttore dei Musei di Strasburgo Paul Martin optavano invece per una bandiera con croce verde su sfondo bianco, assodato che «le nouveau drapeau répondrait aux buts pratiques que nous soulignons (…): clarté, simplicité, lisibilité et exécution facile»116. Fu la proposta formulata da Salvador de Madariaga ad ottenere il consenso maggiore: l’intellettuale spagnolo suggeriva il ricamo su sfondo blu di alcune stelle d’oro, a rappresentare ciascuna capitale dei Paesi membri del Consiglio d’Europa. Nel dicembre del 1955 giungeva l’approvazione definitiva da parte del Consiglio dei ministri dell’organizzazione, che modificava in parte l’idea di Madariaga, fissando a

Conseil de l’Europe et de l’Union européenne de 1949 à nos jours, in «Politique européenne», n. 56 (2017), pp. 30-53. 31.12.2018].

112Renaud Denuit, Politique culturelle européenne, Éditions Bruylant, Bruxelles 2016, pp. 17-24.

113 La versione integrale del testo è disponibile al seguente indirizzo internet: https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19540245/200308270000/0.440.1.pdf [ultima consultazione di data 30.10.2019].

114 La prima si tenne a Bruxelles, nel 1954, e venne dedicata all’Europa umanista. L’anno successivo la manifestazione ebbe luogo ad Amsterdam, e fu incentrata sul manierismo, quindi fu il turno di Roma, che ospitò un’esposizione sull’arte nel XVII secolo, tra classicismo e barocco. L’elenco completo delle esposizioni è presente sul sito internet del Consiglio d’Europa, all’indirizzo https://www.coe.int/fr/web/culture-and-heritage/past-exhibitions[ultima consultazione di data 30.10.2019].

115 Viviane Obaton, La promotion de l'identité culturelle européenne depuis 1946, op. cit., p. 90.

116 Paul M. G. Levy et Paul Martin, Un drapeau pour l’Europe, in «Saisons d’Alsace», n. 3 (1950), p. 6.

dodici il numero delle stelle, scelta non aliena da riferimenti alla simbologia cristiana117. Anche la decisione in merito all’inno europeo fu prerogativa dell’ente stanziato a Strasburgo, ma in questo caso il dibattito fu meno acceso, stante l’importanza unanimemente attribuita alla Nona sinfonia di Beethoven118.

Attorno alla metà degli anni Ottanta le istituzioni di Bruxelles sarebbero state tributarie di questi primi accenni di politica culturale europea, adottando l’inno e la bandiera del Consiglio d’Europa.

Tuttavia, fu a partire dal decennio precedente che le autorità comunitarie iniziarono a prendere in considerazione la multiforme dimensione della cultura. I primi impulsi promanarono dal Parlamento europeo, che nel 1973 adottò una risoluzione in favore della salvaguardia del patrimonio culturale europeo, cui seguirono degli stanziamenti specifici destinati al restauro del patrimonio architettonico nei Paesi membri. Nel 1976, un’altra risoluzione dell’assemblea portava alla creazione dell’Orchestra europea dei Giovani, composta da un centinaio di musicisti provenienti dall’intera Comunità119 - cui si aggiunse, nel 1981, la Chamber Orchestra of Europe. Poco a poco l’attivismo coinvolse i vertici della Commissione europea, che fin dal 1973 si erano dotati di una divisione amministrativa specificamente dedicata ai problemi del settore culturale. Il Consiglio Europeo rimaneva invece estraneo a questi primi fermenti, a causa della riluttanza delle compagini statali a delegare poteri in un ambito dalle delicate ricadute sul piano identitario. Indice del graduale riorientamento di Bruxelles, nel 1977 venne pubblicato il primo rapporto sull’azione comunitaria nel settore culturale, che indicava nella libera circolazione dei beni culturali, nella formazione dei lavoratori del settore e nella conservazione del patrimonio architettonico i temi di maggiore interesse, suscettibili di futuro approfondimento120. Si trattava in ogni caso di un documento la cui portata era ridotta dal ricorso a un linguaggio estremamente prudente, come confermato dallo stesso preambolo, là dove si sosteneva:

Per settore culturale deve intendersi l' insieme socio-economico costituito dalle persone e dalle imprese che si dedicano alla produzione e alla distribuzione dei beni culturali e delle prestazioni culturali. Pertanto, l’azione comunitaria nel settore culturale […] mira anzitutto a favorire la cultura attraverso la graduale costituzione di un ambiente economico e di un ambiente sociale più favorevoli. Come il settore culturale non è la cultura, così l'azione comunitaria nel settore culturale non è una politica culturale. […] Lungi dal sovrapporsi al programma proprio del Consiglio d' Europa , l'azione comunitaria nel settore culturale fornisce il punto di partenza per progressi concomitanti121.

117 Birte Wassenberg Histoire du Conseil de l'Europe, Editions du Conseil de l’Europe, Strasbourg 2013, pp. 43-44.

118 Cfr. anche Aloïs Larcher, Le drapeau de l'Europe et l'hymne européen, La genèse de deux symboles, Conseil de l'Europe, Strasbourg 1995.

119 Parlamento europeo, Processo verbale della seduta di lunedì 8 marzo 1976, Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, C 79, p. 8.

120 Commissione europea, L’azione comunitaria nel settore culturale, Com 560 (1977) definitivo, 30 novembre 1977.

121 Ivi, pp. 2-3.

L’idea di utilizzare l’azione culturale ai fini delle legittimazione del progetto comunitario, indipendentemente dalle ricadute economiche, traspariva con maggiore nitidezza il 10 marzo del 1981, quando l’allora presidente della Commissione, Gaston Thorn, dichiarò:

Europe's future is, of course, not only a question of economics ... this political community will not be created without a common political will, which could be propagated by the European Parliament. I use the word

“propagated” advisedly since I am not under any illusions: without action by the Member States, without the involvement of the citizens of Europe, without cultural projects or an information policy, these high-flown ambitions will probably be only short-lived122.

Le questioni poste dall’uomo politico lussemburghese non trovavano piena corrispondenza nell’agone politico, prova ne era l’assoluta esiguità dei finanziamenti alla cultura, attestati su percentuali pressoché insignificanti123. Il problema dell’azione culturale venne però rilanciato mediante la fioritura di numerosi rapporti, relazioni, convegni sul tema. Se nel 1982 un secondo rapporto della Commissione confermava nei suoi tratti essenziali la panoramica tracciata nel 1977, evidenziando le perduranti criticità quanto a copertura economica dei progetti culturali124, nel 1983 la Solenne dichiarazione sull’Unione Europea sottolineava per la prima volta il ruolo della cultura come strumento atto a veicolare il comune senso di appartenenza europeo125. Nell’ottobre del 1985 un convegno svoltosi a Madrid (nell’imminenza dell’adesione spagnola alla CEE) poneva all’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità comunitarie l’urgenza di uno «spazio culturale europeo», anche in virtù di un appello sottoscritto da diversi intellettuali di chiara fama126.

Nella prima metà degli anni Ottanta il terreno dell’azione culturale era ormai stato dissodato, e alle parole si accompagnarono le prime iniziative di rilievo. Nel 1984 venne formalizzata la creazione del Consiglio dei ministri alla Cultura, le cui decisioni sarebbero state ancora assunte su base intergovernativa, stante l’assenza di una competenza specifica nel Trattato istitutivo della

122 Citato in Wilhelm Hahn, Report drawn up on behalf of the Committee on Youth, Culture, Education, Information and Sport on radio and television broadcasting in the European Community, Working Documents 1981-82, Document 1-1013/81, 23 February 1982. Il testo è liberamente consultabile al seguente indirizzo internet:

http://aei.pitt.edu/3120/1/3120.pdf [ultima consultazione di data 30.10.2019].

123 Corrispondevano a una quota inferiore allo 0,10 % del bilancio comunitario.

124 European Commission, Stronger Community action in the cultural sector. Communication to Parliament and the Council, COM (82) 590 final, 16 October 1982.

125 European Council, Solemn Declaration on European Union, Stuttgart 19 June 1983, in «Bulletin of the European Communities», n. 6/1983, pp. 24-29.

126 «L’Europe sera culturelle ou ne sera pas, et les cultures qui la composent se confronteront les unes aux autres ou seront réduites à elles-mêmes ou à l’oubli d’elles mêmes», recitava un frammento del Manifeste de Madrid, in Historical Archives of European Union, Fondo Pier Virgilio Dastoli, busta Commission culture et information du Parlement européen, PVD 111. Tra i convenuti, per lo più di matrice ideologica progressista, figuravano scrittori (José Saramago, Antonin Liehm), filosofi (André Glucksmann, Edgar Morin), e politici (Simone Weil, Pier Virgilio Dastoli, Maria Antonietta Macciocchi).

Comunità. Nello stesso anno venivano poste le basi di quella che in futuro sarebbe stata la più popolare manifestazione di massa a sfondo europeo: la Città Europea della Cultura. La genesi dell’idea va attribuita alla ministra greca alla Cultura Melina Merkourī, già esponente dell’opposizione alla dittatura dei Colonnelli, con importanti trascorsi professionali come cantante e attrice. La ministra espose per la prima volta il progetto nel corso di uno dei consigli informali tra ministri, nel 1983: si trattava di una delle prime iniziative comunitarie promosse dalla Grecia, che aveva aderito alla Comunità solo due anni prima. Secondo Merkourī, era necessario rafforzare il consenso europeista, assodato che

Culture is the soul of the society. […] The determining factor of a European identity lies precisely on respecting these diversities with the aim of creating a dialogue between the cultures of Europe. It is time for our voice to be heard as loud as that of the technocrats. Culture, art and creativity are not less important than technology, commerce and the economy127.

Grazie al significativo appoggio del ministro francese Jack Lang, il progetto venne confermato il 13 giugno del 1985, con una risoluzione del Consiglio dei Ministri europei responsabili degli Affari culturali, che ne chiariva scopi e contenuti128:

La manifestazione dovrebbe rendere accessibile al pubblico europeo aspetti particolari della cultura della città, della regione o del paese interessato. Essa potrebbe anche permettere l'organizzazione, nella città designata, di vari contributi culturali da parte di altri Stati membri, questi contributi profitterebbero in primo luogo agli abitanti della regione interessata. Tra questi due poli, si potrà dare risalto ad un'ampia varietà di aspetti particolari e di temi connessi suscettibili di valorizzare la città in questione ed, eventualmente, di sottolineare l'occasione speciale all'origine della scelta129.

La scelta del luogo, a cadenza annuale, sarebbe avvenuta a rotazione tra i Paesi membri, per decisione intergovernativa: le autorità europee non vi erano coinvolte, così come solo una minima quota dei finanziamenti proveniva dal bilancio comunitario. Furono due città d’arte, Atene (1985) e Firenze (1986), a inaugurare la manifestazione, che negli anni immediatamente successivi sarebbe stata organizzata in grandi capitali, come Amsterdam, Berlino Ovest e Parigi. La nomina di Glasgow, nel 1990, segnò un punto di svolta, tanto sul piano simbolico (si fece strada la

127 Cit. in Jürgen Mittag, The changing concept of the European Capitals of Culture: between the endorsement of European identity and city advertising, in Kiran Klaus Patel (ed.), The Cultural Politics of Europe. European capitals of culture and European Union since the 1980s, op. cit., p. 42.

128 Consiglio dei ministri, Risoluzione dei ministri responsabili degli affari culturali, riuniti in sede di Consiglio, del 13 giugno 1985, relativa all'organizzazione annuale della manifestazione «Città europea della cultura», Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, C 153 del 22 giugno 1985, p. 2.

129 Ibidem.

denominazione di Capitale al posto di Città europea della Cultura) quanto a livello organizzativo130: ben al di là della episodica esposizione culturale, per la prima volta il titolo veniva utilizzato come volano teso a rigenerare un tessuto urbano degradato. Come si vedrà nel prosieguo della ricerca, fu proprio il successo ottenuto dall’edizione britannica a fungere da esempio e termine di paragone per le città che nel corso degli anni Novanta avrebbero ospitato la manifestazione, Madrid compresa.

Figura 2.1. Bilancio delle Città europee della Cultura. Fonte: Beatriz Garcia, Tamsin Cox, European capitals of culture: success strategies and long-term effects. Study, European Parliament, 2013.

Nel panorama complessivo definitosi nel 1985, impreziosito dalla celebrazione del primo giorno europeo131, rientrava inoltre il funzionamento più dinamico della Commissione, presieduta da Jacques Delors a partire dal 6 gennaio di quell’anno: sotto il profilo che qui interessa, basti pensare all’istituzione, nel suo seno, di un portafoglio che assieme ad altri ambiti, dall’informazione all’audiovisivo, comprendeva anche la cultura (primo commissario l’italiano Carlo Ripa Di Meana);

a questa disposizione fece seguito nel 1986 l’incorporazione della divisione cultura nella Direzione generale X (Informazione, comunicazione e cultura), competente su «azione culturale e politica audiovisiva». Nel 1987, la fase di studio venne arricchita dal rapporto stilato per conto della Commissione da Antonio Ca’ Zorzi, incentrato sull’analisi dei criteri d’intervento culturale e sui

130 John Myerscough, European Cities of Culture and Cultural Months. Full Report, Unanbridged Version, op. cit.., pp. 111-133; Jürgen Mittag, The changing concept of the European Capitals of Culture, op. cit., pp. 43-45;

131 Conosciuto in futuro come “la Festa dell’Europa”, l’avvenimento era stato fissato al 9 maggio di ogni anno, in ricordo della Dichiarazione Schuman del 1950, considerata il decisivo punto di partenza del processo di costruzione europea.

corrispettivi finanziamenti nei vari Paesi membri della Comunità132. La relazione venne pubblicata nel 1987; nello stesso periodo la Commissione rendeva di dominio pubblico la sua terza comunicazione inerente l’attività culturale. Abbandonati i toni cauti che avevano contraddistinto i rapporti degli anni precedenti, il documento rivendicava per la prima volta l’assoluta centralità della cultura come fondamento dell’unione europea133. Tra le aree di interesse indicate dalla relazione, spiccava l’importanza attribuita al settore audiovisivo, la cui trattazione veniva enfatizzata tramite il ricorso a un linguaggio particolarmente assertivo:

If no concerted action is taken at European level, spontaneous integration will not occur quickly enough. And the resulting delay would leave the European market, the richest in the world, open to invasion by nonEuropean concerns capable of meeting the demand for hundreds of satellite channels and cable networks, squeezing out the European industry in the process. The resulting decline of the audiovisual industry in Europe would probably be irreversible. Politicians and people in the industry already recognize that frontiers are now of little significance.

There is a general awareness that the invasion of American and Japanese programmes represents a threat to Europe's cultural independence134.

Di lì a qualche anno, fu proprio nell’audiovisivo che venne convogliato un importante flusso di finanziamenti comunitari. Istituito nel 1990 e posto sotto la diretta responsabilità della Commissione, il programma MEDIA, acronimo di Mesures pour le Développement de l’industrie audiovisuelle, era finalizzato al sostegno della produzione audiovisiva e della distribuzione dei prodotti a livello intraeuropeo135. Destinato a protrarsi per cinque anni, con un bilancio di ottantaquattro milioni di ECU, il programma sarebbe poi stato prorogato, come si vedrà in seguito136.

Nello stesso torno di tempo, il mondo della comunicazione audiovisiva stava assistendo agli albori di un’esperienza del tutto inedita: il suo nome era Euronews, e la sua storia affondava le radici nei primi anni Ottanta.

132 Antonio Ca’ Zorzi, Administration et financement publics de la culture dans la Communauté européenne, rapport pour la Commission des Communautés européennes, Office des publications offici elles des Communautés européennes, Luxembourg 1987.

133 European Commission, A fresh boost for culture in the European Community, COM (1987) 603 final, 14 December 1987, Bulletin of the European Communities, Supplement 4/87.

134 Ivi, p. 13.

135 Consiglio dell’UE, Decisione 90/685/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1990, concernente l’attuazione di un programma d’azione volto a promuovere l’industria audiovisiva europea (MEDIA) (1991-1995), Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, L380 del 31 novembre 1990, p. 37.

136 European commission, Commission communication on evaluation of the action programme to promote the development of the European audiovisual industry (MEDIA 1991-1995) accompanied by guideline remarks, COM (1993), 364 final, 23 July 1993.

2.2. Euronews, visioni d’Europa

Nel 1982 il Parlamento europeo presentava una Relazione sull’emissione radiofonica e televisiva nella Comunità europea137. Redatto da un gruppo di lavoro facente capo al politico (e teologo) tedesco Wilhelm Hahn, il documento poneva l’accento sull’importanza del mezzo televisivo quale veicolo adatto a rafforzare l’integrazione continentale. Sulla falsariga di una mozione parlamentare elaborata due anni prima, il rapporto prendeva le mosse dalla valorizzazione di una novità tecnologica, il satellite ad uso commerciale, che nell’immediato futuro avrebbe permesso di estendere in maniera significativa l’area di copertura del segnale televisivo. L’irrompere della nuova tecnologia, si spiegava, avrebbe assestato un poderoso urto ai confini presidiati dalle reti televisive nazionali, dando libero corso a una nuova stagione comunicativa, guidata da emittenti in grado di raggiungere vaste aree geografiche, precedentemente inaccessibili. Da tale premessa, non priva di venature deterministiche138, veniva dedotta l’opportunità di sviluppare una programmazione televisiva europea, la cui ragione d’essere si ricollegava a precise considerazioni d’ordine strategico:

Information is a decisive, perhaps the most decisive factor in European unification. It is essentially true that: (a) European unification will only be achieved if Europeans want it. Europeans will only want it if there is such a thing as a European identity. A European identity will only develop if Europeans are adequately informed. At present, information via the mass media is controlled at national level. The vast majority of journalists do not

“think European” because their reporting role is defined in national or regional terms. Hence the predominance of negative reporting. Therefore, if European unification is to be encouraged, Europe must penetrate the media.

The logical consequence of this analysis is that a new dimension must be added to European unification to

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