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smentiscono l’ipotesi per cui a cambiamenti di una certa caratteristica della popolazione corrispondano automatici aggiustamenti della stessa caratteristica nelle élites.

3. “Tertium non datur”? Le altre possibili spiegazioni

A prescindere dalla analisi descrittiva (i cui risultati comparati sono contenuti nelle Conclusioni), nella tesi sono state assunte due possibili spiegazioni per il

cambiamento dei parlamentari: che questo sia frutto del cambiamento del sistema dei partiti, ovvero del cambiamento di alcune caratteristiche delle elettori. Questo modello di cambiamento non tiene conto di alcuni altri fattori, alcuni dei quali potrebbero essere molto decisivi.

Un primo elemento degno di nota è il voto degli elettori: infatti, è innegabile che certi partiti preferiscano un certo tipo di candidati, puntando maggiormente ad esempio sulla giovane età, o sulla scarsa esperienza, o su un certo livello di studio, mentre altri privilegiano fattori differenti, quali una particolare professione, oppure un’elevata esperienza politica e/o partitica. Chiaramente, la vittoria di un partito piuttosto che di un altro, può determinare dei cambiamenti nella composizione parlamentare. Tuttavia, la letteratura recente concorda nel rilevare che, ad eccezione dei nuovi partiti populisti ed antisistema, tendenzialmente c’è una convergenza fra le caratteristiche dei candidati dei diversi partiti.

Un altro elemento di cui tener conto in un’analisi più comprensiva riguarda le determinanti del voto degli elettori, e il tentativo dei partiti di intercettarle: ad esempio, nel momento in cui i partiti dovessero ritenere (a torto o a ragione) che l’elettorato chiede una maggior presenza di donne fra i candidati, probabilmente questi non avrebbero grandi remore nel riposizionarsi, pur di riuscire ad intercettare maggior consenso. Oggi, con la presenza di clevages diversi e decisamente meno marcati rispetto

a quelli descritti da Lipset e Rokkan [1967], con la scomparsa dei grandi partiti ideologici, è difficile che un partito rifiuti di candidare qualcuno in virtù della sua professione, del suo titolo di studio, della sua età, e così via, se questo cambiamento permetta di raccogliere più voti. Quello che bisognerebbe capire è quanto siano gli elettori a “costringere” i partiti a cambiare le caratteristiche dei candidati, o quanto invece siano i partiti che “fiutando l’aria”, modifichino la composizione delle loro liste nel tentativo di ottenere più consensi. Questa, tuttavia, non è un’operazione facile: infatti, realisticamente il processo potrebbe essere bidirezionale, i partiti potrebbero autonomamente voler intercettare una domanda che secondo loro cambia, anche se non ce n’è un’indicazione manifesta, e gli elettori potrebbero tentare di influenzare i partiti, per fargli cambiare la loro offerta. Non è questa la sede per una dettagliata analisi empirica per verificare questa nuova ipotesi; un’analisi che, per essere sensata,

meriterebbe di essere effettuata su un ampio campione, sia in termini di Stati e di tempo, sia di variabili analizzate. Sebbene, dunque, ci sia un certo grado di incertezza circa il rapporto partiti-elettori nella fase di formazione delle candidature, si può comunque legittimamente sostenere che anche in questo caso i partiti si muovono come descritto dalla teoria delle élites: sono infatti loro, in ultima istanza, a decidere di cambiare, e se cambiano lo fanno sempre nei limiti di certe soglie; inoltre, gli elettori non riescono, nel rispetto dei principi e delle regole democratiche, a modificare drasticamente le

caratteristiche dei parlamentari, e alla fine possono soltanto scegliere se “accontentarsi” dei cambiamenti proposti, oppure disertare le urne. Il rischio, come evidenziava Pareto, è che quando le richieste insoddisfatte degli elettori superino una certa soglia, si rompa il precedente sistema delle élites, anche in maniera violenta e rivoluzionaria: tuttavia, il risultato sarà un altro sistema d’élites. Si prenda il caso della XVII legislatura italiana: fra gli elettori c’era un notevole grado di insoddisfazione per l’attuale classe politica, e il

M5S, sia come programma politico sia come candidati, è riuscito ad intercettare una parte significative di queste richieste. Questo, tuttavia, non significa che la comparsa dei grillini confuti la teoria delle élites: semplicemente, i partiti esistenti non sono riusciti a cambiare al punto da tener fuori il M5S. Visto al suo interno, però, anche il M5S ha un comportamento da élite: ed infatti, prima i suoi candidati e poi i suoi eletti, non si sono imposti casualmente, ma sono invece emersi in virtù del possesso di certe particolari caratteristiche. In estrema sintesi, se Tizio è oggi Deputato del M5S, non lo è per motivi casuali e sregolati, ma lo deve a certe particolari caratteristiche che, all’interno della sua “organizzazione”, lo hanno portato ad emergere. Molto interessante sarà vedere alle prossime elezioni se e come evolveranno i parlamentari pentastellati.

Un ultimo elemento degno di nota riguarda le caratteristiche dei sistemi istituzionali ed elettorali. Infatti, cambiando le previsioni legislative relative a chi può candidarsi, oppure modificando il sistema elettorale, necessariamente si finisce per influire sia sulla trasformazione dei voti in seggi, ma anche (probabilmente in maniera meno vistosa) sulle caratteristiche di chi occuperà quei seggi. Per fare un esempio “scolastico”, se le leggi elettorali prevedessero che solo i nati e residenti in una certa circoscrizione o collegio possano essere candidati in questa, chiaramente la territorialità degli eletti sarebbe automaticamente e forzatamente fissata al 100%. In questo lavoro si è tenuto conto di questi fattori, ma solo nella parte descrittiva: sono invece assenti dal modello empirico utilizzato.

L’auspicio è quello di poter creare in futuro un modello che riesca ad inglobare più variabili relative al cambiamento delle élites parlamentari, così da esaminare più ipotesi.

CONCLUSIONI: LE RECENTI TENDENZE DELLE ÉLITES

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