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porrigitur tenuique includit bracchia penna Nec qua perdiderint veterem ratione figuram

scire sinunt tenebrae.

[…]

Una membrana si allarga sulle deboli membra e imprigiona le braccia in esili ali.

E le tenebre non consentono di sapere in che modo abbiano perso il vecchio aspetto.

Di certo, questo è il racconto della metamorfosi delle Miniadi in assoluto più ricco e attento alla descrizione dei vari prodigi; la minuziosa attenzione sensoriale offre una prospettiva davvero vivida della vicenda, quasi “cinematografica”. Ovidio non parla né del sorteggio né della morte di Ippaso ad opera delle tre sorelle, divergendo fortemente tanto da Antonino quanto da Plutarco; inoltre, in questa versione del mito, le donne non raggiungono le altre menadi sui monti ma subiscono la trasmutazione in casa, come punizione divina ad opera di Dioniso (altra differenza rispetto ad Antonino che vede in Ermes l’artefice della metamorfosi).

Plutarco riprende il tema delle Miniadi in

Quaest. Graec

. 38: qui, l’autore di Cheronea si interroga riguardo agli ΨολંειȢ e alle ੗λε૙αι, rispettivamente identificati con i mariti delle Miniadi e con le Miniadi stesse. I primi sarebbero così chiamati a causa del loro abbigliamento miserevole, segno del loro dolore per la pazzia delle tre giovani e per la triste sorte di Ippaso (ΨολંειȢ significa appunto “sordidamente vestiti”); le fanciulle sono dette ੗λε૙αι, ossia ੑλοα઀, rovinose, funeste. La leggenda delle Miniadi «servait d’

aition

à la fête des

Agrionia à Orchomène»62; Plutarco, non toccando il tema metamorfico, descrive questa festa che ha luogo «every other year»63, il cui rito ripropone in chiave mimetica e cultuale la vicenda delle Miniadi: le discendenti di queste ultime, chiamate ancora ੗λε૙αι, simulano una fuga, inseguite dal sacerdote di Dioniso (forse un membro della stessa famiglia delle partecipanti al rito)64 che tiene in mano una spada; se il sacerdote riesce a colpire una donna, per l’intero paese è una catastrofe (in quel caso «the priest […] was permitted – or perhaps required – to kill her»65). Plutarco conclude raccontando un episodio a lui contemporaneo,

quello del sacerdote Zoilo, che, oltrepassando la dimensione puramente mimetica, colpì realmente a morte una delle partecipanti al rito (Plut.

Quaest. Graec

. 38. 299F); la vicenda ebbe tragiche conseguenze non solo per la sfortunata, ma anche per il sacerdote stesso e la città: il primo morì repentinamente e la sua morte fu letta come conseguenza dell’omicidio compiuto, la seconda patì problemi finanziari. Da questo momento in avanti, il sacerdozio sarebbe diventato una carica aperta a tutti e non più prerogativa di un’unica famiglia.66

La storia narrata da Eliano è, di nuovo, leggermente diversa dalle altre prese in analisi (Ael.

Var. hist.

3.42); introduce la vicenda affermando che κα੿ αੂ τ૵ν Βοιωτ૵ν δ੻ ੪Ȣ ਥνθεઆτατα ਥµ੺νησαν κα੿ ਲ τραγ૳δ઀α βοઽ, anche le donne della Beozia, così divinamente ispirate, divennero folli e la tragedia lo celebra: il riferimento è chiaramente alle

Baccanti

euripidee ed è rafforzato dalla successiva allusione al π੺θοȢ commesso ਥν Κιθαιρ૵νι, che rimanda ad Eu.

Bacch

. 1118-36, passo che descrive la tragica fine di Penteo, sbranato dalla madre Agave e dalle altre menadi in preda alla follia dionisiaca. Eliano, come Ovidio, non parla del sorteggio deciso dalle tre sorelle, ma afferma direttamente che τઁν γ੹ρ τોȢ Λευκ઀ππηȢ πα૙δα ਩τι ਖπαλઁν ੕ντα κα੿ νεαρઁν διεσπ੺σαντο οੈα νεβρઁν τોȢ µαν઀αȢ ਕρξ੺µεναι αੂ Μινυ੺δεȢ, le Miniadi, come primo atto di

62 Papathomopoulos 1968, p. 90, n. 1.

63 Schachter 1981, p. 180. Vd. in partic. n. 5, in cui si discute il significato dell’espressione

plutarchea παρૃਥνιαυτóν, sulla quale possiamo stabilire la frequenza di svolgimento della festa

Agrionia: l’ambiguità dell’espressione divide gli studiosi tra coloro che sostengono che la festa abbia avuto luogo ad anni alterni e tra quelli che invece credono fosse annuale.

64 Vd. Schachter 1981, p. 180, in partic. n. 6. 65 Schachter 1981, p. 180.

follia, sbranarono il figlioletto ancora infante di Leucippe, come fosse un cerbiatto; quindi tentarono di unirsi alle altre menadi, ma - peculiarità di Eliano - αੂ δ੻ ਥδ઀ωκον α੝τ੹Ȣ δι੹ τઁ ਙγοȢ, quelle le respinsero a causa della loro colpa. Allora le tre sorelle si trasformarono (non si specifica ad opera di quale dio) in volatili, una εੁȢ κορઆνην (in cornacchia; cfr. Anton. Lib. 10: β઄ξα, gufo) , una εੁȢ νυκτερ઀δα, in nottola, l’ultima εੁȢ γλα૨κα, in civetta.

È interessante notare come questi racconti, pur svolgendo il medesimo tema di fondo, divergano anche in punti centrali, come il racconto della metamorfosi, non preso in considerazione da Plutarco, concentrato evidentemente sulla spiegazioni delle origini della festa Agrionia, e il momento del sorteggio, tralasciato tanto da Ovidio quanto da Eliano. Questo diverso modo di trattare il mito delle Miniadi non può che condurci a un quesito centrale nella nostra trattazione: in che modo Corinna svilppò il mito delle Miniadi? Quanto, in special modo da Antonino Liberale, unico tra le fonti analizzate a citare Corinna, possiamo conoscere del componimento corinniano? Data la mancanza di riscontri nei pochi frammenti di Corinna superstiti, la questione deve restare aperta: Page afferma giustamente «there’s no way of determining how much, if any, of all this was to be found in Corinna»67; del resto, anche per

PMG

656, il mito di Metioche e Menippe, egli era arrivato alla stessa infelice conclusione.68 In effetti, almeno a livello contenutistico, non si può liberare il problema dal suo inscindibile velo di indeterminatezza, anche a causa di una caratteristica ormai riconosciuta nella nuova e consolidata immagine della poetessa: la sua poetica si rivela avere una portata fortemente innovativa; così, ad esempio, Burzacchini spiega, per

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654, la predilezione di Corinna per Citerone, tradizionalmente messo al secondo posto rispetto al privilegiato Elicona69; così Villarrubia Medina, ancora per

PMG

67 Page 1953, p. 38.

68 «There is no evidence to show how far, if at all, the stories in Antoninus and Ovid

resembled that in Corinna» (Page 1953, p. 34).

69 Vd. Burzacchini 1990, pp. 31-35 che spiega la scelta di Corinna relazionandola agli

interessi del pubblico: l’esaltazione di Citerone, piuttosto che quella di Elicona, poteva risultare particolarmente gradita ai Plateesi, data la stretta connessione tra la città e la montagna. La preferenza accordata a Citerone è sorprendente perché se Elicona è sede privilegiata delle Muse fin da Esiodo (Th. 1 ss.; Op. 658), Citerone è invece solitamente presentato come negativo (vd. ad es. Eur. Ba. 1384; Ps. Plut. De fluv. 2.3).

654, proporrebbe di vedere l’eliminazione, da parte di Corinna, dello scontro mortale tra i due fratelli, affermando che «o bien Corina se apoyó en una versión distinta de la leyenda, o bien elaboró su proprio relato»70; così, Collins evidenzia la forza innovativa di alcuni elementi mitici nei poemi corinniani, come l’altrimenti ignota connessione di Orione con il santuario beotico di Apollo Ptoio (

PMG

654, col. iii. 32-41)71.

Un ulteriore problema si rivela la valutazione delle citazioni di Antonino Liberale: da un lato, infatti, esse si limitano ad affermare che tanto Nicandro quanto Corinna, in punti diversi delle loro opere, hanno trattato i due temi metamorfici sopra analizzati (e, quindi, non consentono di sapere quanto del suo riassunto egli abbia potuto attingere dai due autori); dall’altro, la tradizionale valutazione dell’attendibilità delle postille antoniniane sembra essere piuttosto negativa. Esse, infatti, oltre a non essere ritenute credibili in merito alle fonti riportate, spesso non vengono nemmeno attribuite ad Antonino; così, nel 1886 Oder, parlando dei

testium indiculi in margine codicis Palatini ad singulas

fabulas ascripti

, ossia dei brevi commenti nel margine del codice Palatino aggiunti ad ogni narrazione, disse con evidente sicurezza che

illa autem

testimonia non ipsi Liberali, sicut viri docti ad unum omnes olim putaverunt, sed