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Una possibile lettura del discorso filosofico rortiano: la speranza sociale come resistenza al potere

Giunti a questo punto, vorrei chiudere questo itinerario all'interno della filosofia di Rorty riportando un esempio che l'autore stesso fornisce per giustificare l'esigenza di continuare conservare l'idea di speranza sociale, anche dal punto di vista della pratica filosofica di un ironico liberale come egli, credo di poter affermare, aspira a definirsi. Pur non distogliendo mai lo sguardo dai problemi che incontrano alla fine del XX secolo le democrazie liberali dell'Occidente, Rorty, durante la sua vita, ha speso infatti parte delle sue riflessioni al fine di riabilitare la società in cui ha vissuto, anche di fronte agli occhi del più disincantanto degli intellettuali, come probabilmente anch'egli ha, a volte, avuto la tentazione di considerarsi. Nonostante questa tentazione però, Rorty ha messo in luce i problemi che l'abbandono della nozione di speranza sociale riverserebbe sulla pratica culturale delle società contemporanee. Una delle sue tesi più interessanti al riguardo è che un'intellettuale che abbandonasse la speranza sociale potrebbe prendere le sembianze che George Orwell, nel suo romanzo 1984, attribiusce al membro del partito e torturatore nei confronti del protagonista: O'Brien. Ancora una volta, dunque, Rorty chiama a sé come consigliere morale un romanziere, ma, in questo caso, il ricorso ad un'opera di narrativa per affrontare delle questioni etiche si rivela, a mio modo di vedere, più carico di conseguenze pratiche di quanto non lo fosse ad esempio nel momento in cui il filosofo americano facesse riferimento, come ho mostrato, a Proust. Rorty, infatti, si dichiara in sintonia con la descrizione orwelliana del XX secolo come dell'epoca in cui l'uguaglianza degli uomini è divenuta tecnicamente possibile, ma, nello stesso momento, come di un'era caratterizzata dal ritorno in auge di pratiche violente, quali ad esempio la tortura, che sembravano ormai un retaggio del passato.1 Inoltre, Rorty afferma che il modo in cui Orwell ha

descritto la situazione politica del '900 non ha, purtroppo, ancora trovato eguali, e, inoltre, proprio grazie a tale descrizione, lo scrittore inglese continua inesorabilmente, tramite le sue "scioccaggini di attualità",2 a far tornare al punto di partenza della propria riflessione tutti gli intellettuali liberali

1 Cfr. R. Rorty, Contingency, Irony, and Solidarity, op. cit., p. 193.

che provino ad elaborare un nuovo vocabolario che parli di uguaglianza fra gli uomini. Tuttavia, se tali intellettuali, seppure risultino sconfitti dalla potenza della descrizione orwelliana, hanno comunque il merito di tentare una via verso un pensiero attraverso il quale costruire una nuova e maggiore giustizia sociale, gli intellettuali come O'Brien hanno abbandonato questi nobili propositi. Proprio per quest'ultimo motivo, quindi, O'Brien è così terrorizzante. Infatti, egli è uno di quei personaggi che, come ebbe a dire lo stesso Rorty, possono tranquillamente leggere libri di filosofia al mattino e passare il pomeriggio ad eseguire le piu atroci torture nei confronti dei propri simili. In altre parole, quando un intellettuale il quale abbia beneficiato dell'eredità culturale dell'Illuminismo, che Rorty non ha mai voluto screditare, si trova ad operare in una società tecnocratica, come quella dominata dal Grande Fratello di Orwell, un luogo dove sia quindi caduta ogni etica di tipo solidaristico, il risultato può essere (o sarà necessariamente) agghiacciante. O'Brien e quelli come lui, infatti, potrebbero compiere, secondo Rorty, un processo di "estetizzazione della tortura", in quanto tale attività rimarrebbe l'unica valvola di sfogo intellettuale in un mondo controllato da rigide procedure tecniche inespugnabili. In questo senso, l'autore interpreta infatti la famosa affermazione di O'Brien, contenuta in 1984, secondo la quale il fine della tortura è la tortura stessa.3 Il torturatore membro del socing orwelliano, infatti, non ha

bisogno di esercitare della violenza sulle proprie vittime per ottenere da loro delle informazioni utili, o per riprogrammarle in base alle esigenze di un regime autoritario, scopi questi cui solitamente i processi di tortura sono orientati. L'apparato tecnologico di dominio che caratterizza un tale regime è infatti sufficiente a conseguire la perenne vittoria di quest'ultimo nei confronti di ogni opposizione. Le pratiche come la tortura divengono, allora, un divertissement per gli intellettuali come O'Brien. Egli infatti prova godimento, racconta Orwell nel corso della sua narrazione, nello studiare le sue vittime per anni, prima di «mandare in pezzi i loro cervelli» con un metodo di tortura che si conclude con l'estrema umiliazione, nozione sul significato della quale Rorty e Orwell concordano. Essa consiste, propriamente, nella cancellazione di quelle che, ad un soggetto, sembravano costituire le proprie credenze indubitabili, le quali permettevano, fungendo da punti fermi nella sua rete di credenze, di pensare ed agire liberamente, in altre parole di essere razionale ritenendosi tale.

Inoltre, la prospettiva della possibilità del realizzarsi di una figura come quella di O'Brien diventa ancora più inquietante se pensiamo al fatto che, se un tipo di società tecnocratico come quello descritto da Orwell veniva seriamente preso in considerazione da Rorty alla fine degli anni '80, al giorno d'oggi, agli inizi del XXI secolo, una tale prospettiva mi pare assumere un aspetto ancora più realistico. Ma vi è di più, nonostante Rorty non arrivi a considerare O'Brien un ironico nel senso da

lui teorizzato, la figura del torturatore di 1984 si avvicina comunque pericolosamente all'ideale di intellettuale ironico del cui numero il filosofo nota la crescita nelle società contemporanee. A mio modo di vedere, infatti, con buona approssimazione O'Brien può essere equiparato ai pensatori non metafisici (se non antimetafisici). In questo senso, tenderei ad interpretare passi dell'opera di Orwell come quello in cui egli convince Winston, il protagonista di 1984 il quale è la vittima delle torture, del fatto che due più due faccia cinque, in aperta violazione alle leggi matematiche più elementari. Ancora più pertinente alla lettura antimetafisica di O'Brien, mi sembra il fatto che, in un altro momento della narrazione, egli si produca, a un certo punto, tanto in una contraddizione logica, quanto in una contraddizione performativa, più precisamente nel predicare l'uguaglianza di se stesso e Winston ma, nel contempo, affermando anche la loro differenza reciproca, apostrofando quest'ultimo come pazzo e conservando, invece, la ragione per la sua persona. Ad ogni modo, prescindendo dal mio suggerimento di leggere in O'Brien i tratti di un pensatore antimetafisico, sul fatto che egli non possa essere considerato un ironico i dubbi possono essere minori. Egli, infatti, non possiede la caratteristica fondamentale attribuita da Rorty a tutti gli ironici, il fatto cioè di dubitare continuamente del proprio vocabolario decisivo. Questo è possibile poiché O'Brien semplicemente non ha bisogno di dubitare, in quanto è il partito a fornirgli il vocabolario decisivo nel quale muoversi e in cui egli si trova più che a suo agio. Neppure Winston, il torturato, sembra nutrire dei dubbi sul suo vocabolario decisivo, tant'è che il fatto di essere stato costretto da O'Brien a credere all'affermazione che due più due sommati facciano cinque manda completatamente in corto circuito la sua rete coerente di credenze e desideri, facendogli ritenere di essere divenuto un individuo. Questa mancanza di dubbi da parte di Winston, tuttavia, non è il segno che sotto le sue spoglie di torturato si nascondano quelle di un filosofo realista (come forse dietro il suo torturatore non si cela un pensatore antirealista), il quale si rifiuta di accettare il fatto di aver potuto credere ad un'affermazione che violasse apertamente il Vero stato delle cose. Per Rorty, non è utile vedere Winston sotto questa luce. Piuttosto, continua egli, è più utile per noi che siamo dei cittadini delle democrazie occidentali della fine del XX secolo, che abbiamo quindi imparato che cosa sia il potere, considerare Winston come una possibile chiave per resistere alle imposizioni violente nei nostri confronti. Dire infatti, come fa Winston nell'opera orwelliana, che dal fatto che due più due dia come risultato cinque discendono tutte le altre libertà della vita di un individuo, significa, per Rorty, non smettere mai di cercare negli altri l'assenso nei confronti delle proprie asserzioni, non smettere mai di allargare il noi della nostra comunità di liberali contrapposta a quella dei torturatori e dei tiranni in genere. Significa, in ultima analisi, non abbandonare mai la speranza.