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POSSIBILI IMPATTI DIRETTI LEGATI ALLE ALTERAZIONI IDROLOGICHE

Stefano Fenoglio* e Tiziano Bo

POSSIBILI IMPATTI DIRETTI LEGATI ALLE ALTERAZIONI IDROLOGICHE

Numerosi modelli idroclimatici predicono che, nel prossimo futuro, si verificherà nei fiumi europei un generale decremento delle portate medie, con l’incre-mento di eventi estremi quali le piene o le secche (Feyen et al., 2012). Zanchettin et al. (2008) riporta-no come negli ultimi decenni la frequenza dei feriporta-no-

feno-meni estremi sia aumentata nel Po, dove i periodi di secca sono divenuti sempre più comuni e prolungati. I recenti mutamenti climatici, sommati all’eccessiva e capillare artificializzazione dei sistemi fluviali e al drastico incremento delle captazioni idriche, hanno fatto sì che numerosi fiumi, naturalmente non inte-ressati dal fenomeno della secca estiva, presentino oramai usualmente questo fenomeno. A questo pro-posito occorre ricordare che la scomparsa dell’acqua dai fiumi nei mesi più caldi è un fenomeno abbastanza usuale in alcune regioni geografiche, tanto che in determinate aree (ad esempio in Nord Africa) si parla comunemente di intermittent streams. In Italia esem-pi di questa tipologia fluviale sono le fiumare calabre, caratterizzate da portate discontinue a seconda delle stagioni e da secche estive che possono generalmente protrarsi da tre a cinque mesi (Cattaneo et al., 2006). In questi ambienti naturalmente intermittenti le comu-nità macrobentoniche mostrano un’elevata resilienza agli eventi di secca (Fonnesu et al., 2005; López-Rodríguez et al., 2009a,b), in quanto le diverse spe-cie hanno evoluto meccanismi per superare i momen-ti di maggiore crimomen-ticità idrica. Purtroppo, l’instaurarsi di periodi di carenza o scomparsa delle acque superfi-ciali in sistemi lotici naturalmente perenni produce un drammatico impatto sulle cenosi macrobentoniche di tali ambienti, che non sono evolutivamente adattate a questo pattern idrologico. Gli organismi dei fiumi perenni del nostro paese hanno infatti caratteristiche che li rendono spesso particolarmente sensibili alle alterazioni idrologiche, tra cui mancanza di stadi quie-scenti, dimensioni medio-grandi, impossibilità di uti-lizzare rifugi quali la fascia iporreica, cicli vitali che possono anche essere relativamente lunghi, disper-sione in parte o in prevalenza acquatica. In questo contesto, il nostro gruppo ha realizzato uno studio nel tratto pedemontano del fiume Po, che risulta interes-sato da secche più o meno prolungate ogni estate (Fenoglio et al., 2007). In questo ambiente sono state analizzate le comunità macrobentoniche di quattro stazioni, distanti tra loro pochi chilometri ma sotto-poste ad una diversa intensità e frequenza dei periodi di secca. Esaminando centinaia di campioni per oltre un anno è risultato evidente come esista una netta relazione tra la durata del periodo di secca e la com-posizione e ricchezza tassonomica delle comunità biologiche. Le stazioni a monte, in cui l’acqua è stata sempre (o quasi sempre) presente, ospitano comuni-tà ben strutturate, mentre la stazione più a valle, in cui l’acqua manca per interi mesi, presenta una comunità povera e banalizzata. La capacità di recupero delle comunità sembra quindi inversamente proporzionale alla durata del periodo in cui l’acqua è assente: con l’intensificarsi delle secche la maggior parte dei taxa

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scompare e le comunità risultano dominate da pochi gruppi estremamente tolleranti e con elevata capacità dispersiva. In generale, gli effetti delle magre e delle secche sulle cenosi biologiche possono essere diretti ed indiretti. Tra i principali effetti diretti ricordiamo la perdita di microhabitat e di connettività tra diversi tratti del fiume, mentre tra gli effetti indiretti il deterioramen-to delle condizioni chimico-fisiche dell’acqua (portate minori significano spesso acque più calde e quindi meno ossigenate), l’alterazione della struttura trofica e l’inasprirsi delle interazioni interspecifiche quali l’au-mento della competizione e della predazione (Gagnon

et al., 2004; Golladay et al., 2004).

All’opposta estremità degli eventi idrologici si si-tuano le piene, cioè gli intensi e rapidi aumenti delle portate. Anche in questo caso, il mutamento climati-co e la diffusa alterazione morfo-idrologica del no-stro reticolo fluviale hanno acutizzato la potenza di-struttiva delle piene (Brunetti et al., 2004; Surian e Rinaldi, 2004), facendo diminuire al contempo la capacità di recupero naturale degli ecosistemi acqua-tici. I fenomeni di piena sono caratterizzati dall’ina-sprimento delle dinamiche erosive, dall’aumento del carico trasportato, dall’abrasione dei substrati, dallo stravolgimento del ciclo di sedimentazione e dalla distruzione di molti microhabitat. Le alluvioni attual-mente provocano gravi scompensi nella composi-zione e nella struttura delle cenosi bentoniche, la cui

entità e importanza sono pressoché sconosciute. In alcuni studi condotti sull’alluvione che ha devastato il Piemonte meridionale nel 1994 è emerso come l’effetto delle piene sulle comunità fluviali sia indub-biamente legato alla tipologia, alle dimensioni e al grado di antropizzazione dell’asta fluviale (Battegaz-zore et al., 1997; Ferrari et al., 1998; Fenoglio et

al., 2003).

Possibili impatti indiretti

Il cambiamento climatico globale colpisce indiret-tamente i biota fluviali in quanto provoca una profon-da alterazione nella disponibilità e nella qualità di una risorsa fondamentale come l’acqua dolce. L’estre-mizzazione delle precipitazioni e l’aumento termico, unitamente all’incremento demografico e alla cre-scente antropizzazione del territorio, hanno numerose e potenzialmente pericolose conseguenze; in primo luogo, si registra un aumento nel numero di dighe ed invasi, ritenuti sempre più necessari per gestire la disponibilità idrica per usi irrigui ma anche potabili (Watts et al., 2011). Inoltre, l’alterazione delle preci-pitazioni incrementa gli emungimenti e le captazioni, diminuendo ulteriormente le portate e frammentando sempre più i reticoli idrografici. Infine, le diminuzioni dei volumi d’acqua unitamente alle variazioni termi-che possono far incrementare le alterazioni di tipo chimico-fisico, cioè il cosiddetto inquinamento delle

Fig. 2. Impatti diretti e indiretti del riscaldamento globale sugli ecosistemi fluviali (Ridisegnato da Fenoglio e Bo, 2009). Cambiamento climatico globale

Impatti diretti Impatti indiretti

Incremento termico

Alterazioni idrologiche

Aumento della richiesta per usi antropici Frammentazione sistemi fluviali

Peggioramento della qualità delle acque Facilitazione per specie invasive

Alterazioni fenologiche Migrazioni altitudinali e latitudinali

Riduzione e scomparsa areali specie stenoterme

Diminuzione degli habitat Contrazione areali

acque superficiali (Delpla et al., 2009). Infine, il cambiamento climatico rende le nostre acque interne facilmente colonizzabili da parte di numerose specie aliene, che possono avere effetti nefasti sulle comu-nità autoctone. Gherardi et al. (2007) riportano che oltre cento specie aliene popolano ormai le nostre acque interne, con un tendenza all’incremento nei prossimi anni.

CONCLUSIONI

Esistono numerose evidenze del fatto che il clima della nostra penisola stia rapidamente cambiando, con un marcato incremento delle temperature minime (Bartolini et al., 2008) ed una estremizzazione delle precipitazioni (Brunetti et al., 2004). I sistemi lotici del nostro paese, per la posizione geografica e la presenza di una elevatissima diversità geomorfologi-ca, ospitano una enorme diversità biologica (Tierno de Figueroa et al., 2012). Quali possano essere gli effetti di questo cambiamento sul biota dei sistemi fluviali, ed in particolare sulle entomocenosi di tor-renti e piccoli fiumi, è cosa difficile da definire (Fig. 2). Il cambiamento climatico probabilmente sta

pro-vocando una complessa serie di trasformazioni a livello biologico ed ecologico, selezionando all’inter-no delle comunità taxa che, per le loro caratteristiche ecologiche e biologiche, verranno sfavoriti ed altri che al contrario potranno addirittura essere avvantag-giati (Fig. 3). È molto probabile, in questo contesto, una riduzione della biodiversità complessiva, con la scomparsa dei taxa stenotermi freddi e meno resilien-ti e l’espansione dei taxa più euritermi e tolleranresilien-ti. Considerato il ruolo fondamentale svolto dalle ento-mocenosi nelle reti trofiche fluviali, tutto questo può tradursi in una profonda alterazione funzionale degli ambienti lotici. In questo contesto è auspicabile un incremento delle conoscenze di base sulla biologia e l’autoecologia degli insetti fluviali del nostro paese, purtroppo sinora ancora incomplete e frammentarie.

Fig. 3. Probabile effetto selettivo del cambiamento climatico sulle entomocenosi fluviali in base alle caratteristiche biologiche ed

ecologi-che dei diversi taxa (freccia rivolta in basso= impatto negativo, freccia rivolta in alto= impatto positivo).

Ringraziamenti

Desideriamo ringraziare P. Viaroli per averci invitato a collabo-rare a questo numero di Biologia Ambientale e per i preziosi consigli.

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