di ogni uomo di fronte all'acquisto od alla privazione delle suc-cessive unità di ricchezza. Lo psicoscopio consentirebbe, ad esempio, di accertare le seguenti valutazioni avvenute nella nostra piccola società immaginaria:
S C H E M A III. V I V I V I I I I I 10 T . 10 1 5 2 5 20 5 C. 4 7 12 S .
Non si può escludere la possibilità di individui così confor-mati: Tizio, uomo regolato e medio, Caio, eccitabile ai godi-menti solo a partire da un certo punto e facilmente stanco, poi, della immaginata felicità, Sempronio, dai pochi bisogni e privo di sensibilità al vantaggio dell'acquisto di nuove dosi di ricchezza. Coll'aiuto dello psicoscopio, Io stato potrebbe agevolmente re-partire l'imposta monetaria, in guisa da soddisfare ai requisiti dei tre principii del sacrifìcio uguale, minimo o proporzionale. Non rifaccio i calcoli, che si riducono a meri esercizi di aritme-tica elementare.
Poiché le premesse concorrenti del sacrificio uguale o minimo o proporzionale sono tutte e tre, per ragionamento ab absurdo,
assiomatiche:
— se fossero note le curve della utilità della ricchezza per i singoli;
— sarebbe possibile calcolare, per ognuno dei componenti la società, l'imposta che egli dovrebbe pagare soddisfacendo alla condizione che ogni contribuente subisca un sacrificio uguale o proporzionale o la collettività dei contribuenti un sacrificio minimo.
Noi potremmo chiamare razionale l'imposta così costruita, perchè fondata su assiomi (4), su constatazioni di fatto (b) e su deduzioni logicamente ineccepibili da a e da b.
159. — Condizione necessaria per la costruzione di questo tipo di imposta razionale è l'esistenza del sopralodato psicoscopio.
Lo psicoscopio non esiste, nè lo possiamo sostituire con il metodo della confessione auricolare al procuratore alle imposte. Essendo incontrollabile, per la sua indole interna, se non din-nanzi al tribunale di Dio, la confessione dindin-nanzi al tribunale degli uomini non avrebbe alcun valore. È necessario perciò che lo stato sostituisca una sua valutazione a quella dei singoli. M a dovendo lo stato essere imparziale, la sua valutazione non può essere arbitrariamente diversa da uomo a uomo. Lo stato deve necessariamente assumere un uomo medio, fornito di medie or-dinarie comuni reazioni psicologiche di fronte all'acquisto od alla perdita delle successive dosi di ricchezza. Dovrebbe essere ed è di fatto immaginato un qualche schema, del tipo dello schema I, nel quale si faccia 1' ipotesi che la curva della decre-scenza dell'utilità delle successive dosi di ricchezza sia di una data forma e questa sia uniforme per tutti i componenti la società.
Il tipo dell'imposta così costruita è del tutto diverso da quello che sopra fu detto razionale. Restano ferme, è vero, le tre pre-messe assiomatiche della ripartizione dell' imposta a norma del principio del sacrifìcio uguale ovvero minimo ovvero proporzio-nale. Ma, in luogo della conoscenza delle curve effettive della ricchezza per i singoli componenti la società, noi conosciamo una
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curva inventata dal legislatore, una curva che il legislatore sup-pone propria di una astrazione detta uomo medio. C'è chi si contenta e, ragionando filato, giunge a costruire tipi di imposta 1 quali sono presentati al colto pubblico e all'inclita gnarnigione come l'incarnazione della giustizia tributaria. In verità si è com-piuto solo una elegante esercitazione scolastica, forse utile a met-tere in evidenza l'attitudine del discente a scoprire e dello stu-dente ad imparare le proprietà di certe curve dal punto di vista della geometria e del calcolo.
La sostanza economica dell'esercizio, sia detto con sopporta-zione, è zero. Allo stato attuale delle conoscenze, nessuno è riu-scito a varcare il ponte fra le valutazioni individuali, disformi una dall'altra ed inconoscibili, della curva dell'utilità della ric-chezza e la uniforme valutazione statale.
Stringi, stringi, che cosa è quest'ultima? L i convinzione che ogni singolo studioso si è formato intorno a quel che egli crede sia la sensibilità dell'uomo medio rispetto alle dosi successive di ricchezza. Sono sentimenti, sono passioni, sono sogni, sono strumenti di lotta dei poveri contro i ricchi, dei lavoratori contro 1 capitalisti, dei prodighi contro gli avari. Sentimenti, passioni sogni, strumenti di lotte sociali sono oggetto degnissimo di studio per lo storico. Fondare su di essi una teoria della ripar-tizione dell'imposta è per il teorico un fondarla apertamente sul-l'arbitrio.
Il problema dell'imposta si riduce al seguente: quale e l'imposta la quale soddisfa alla condizione di essere dedotta lo-gicamente da quella curva della decrescenza della utilità delle successive dosi della ricchezza che sia posta uniformemente per tutti 1 cittadini dal legislatore? Poiché il legislatore può scegliere ad arbitrio fra un numero indefinito di curve tanto vai dire che il problema comporta infinite soluzioni, ossia è solubile solo quando si parta dalla premessa che è vera quella soluzione la quale sia voluta dal legislatore.
Se le cose stanno così, a che la solenne costruzione derivata dal sommo principio utilitaristico? Questo darsi l'aria di grandi scienziati, spregiatori dei volgari pasticci sentimentali e
costrut-tori di edifici logici derivati con lusso di equazioni da assiomi indiscutibili non è, per caso, polvere negli occhi della buona gente? Guardando in fondo, si vede che la costruzione poggia tutta sulla scelta arbitraria fatta dal legislatore, e per lui dallo studioso, di un criterio qualunque di distribuzione dell'imposta consigliata dal buon cuore, dall'opportunità politica, dalla
preva-lenza di certi sentimenti o di certi interessi.
Non è meglio confessare che la signora scienza non ha nulla a che fare con l'applicazione del sommo principio utilitaristico alla distribuzione della imposta; e che si tratta di mere eserci-tazioni di calcolo più o meno sublime?
Non escludo affatto che con l'andar degli anni — siamo per ora lontanissimi da un qualsiasi avvicinamento alla meta — si possa costruire un qualche strumento il quale indirettamente si avvicini al miracoloso auspicato psicoscopio. Coll'esame di un numero sufficiente di bilanci di famiglia, distinti per classi di reddito, di professione, di origine sociale, di dimora, in rapporto alle variazioni dei prezzi, potrà forse qualche futuro ufficio sta-tistico costruire indici misuratori, soggetti a revisioni continue, delle reazioni psicologiche alle variazioni della ricchezza. Non oso porre le esigenze della fantastica impresa. M i contento di affermare che per ora dentro ai tre principii c e il vuoto assoluto. 160. — Se poi si discorra dei soli due principii, del sacrificio uguale e del sacrificio minimo, che sono anche, come è naturale, quelli maggiormente di moda, alla assurdità già osservata un'altra se ne aggiunge, notissima e distruttrice. Ambi i principi richieggono invero si possa affermare la proposizione: essere un dato sacrificio di Tizio uguale maggiore o minore di un dato sacrificio di Caio o di Sempronio, nell'un caso per potere far sì che il sacrificio dell'uno sia uguale a quello dell'altro e nel se-condo caso perchè la somma dei sacrifici di tutti sia un minimo. Ossia, i due principi richieggono che si possano paragonare 1 dolori ed i piaceri sentiti dall'un uomo ai dolori ed ai piaceri sentiti dall'altro uomo. Htc Rkodus, bis salta. Non esiste il ponte di passaggio dalla coscienza di uno a quella di un altro uomo.
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Tizio, nell'intimo foro della sua coscienza, stima che la 1 unità della ricchezza gli dia una soddisfazione come io e la li come 9. E così fanno Caio e Sempronio (schema primo). Ciò vuole sem-plicemente dire che ognuno dei tre, per conto suo ed, aggiun-gasi, per miracolo, stima la II dose uguale a nove decimi della I. Ma 10 e 9 sono due valutazioni individuali, due numeri astratti che servono a raffrontare, per ognuno, due sensazioni successive. Potrebbero essere 20 e 18, 40 e 36 ed il rapporto rimarrebbe uguale. Il 10 di Tizio è però uguale al 10 di Caio? Nessuno lo sa; e nessuno potrà mai saperlo, sino all'invenzione dello psicoscopio, il quale sia capace di registrare con la medesima unità di misura le reazioni individuali disgiunte e contemporanee di tutti i com-ponenti la società. Perciò 1 due principu del sacrifìcio uguale e minimo sono due giochetti buoni per costringere gli scolari a fare esercizi inutili di sedicente edonimetria tributaria. Mera perdita di tempo, buona per fare venire, in nome della scienza, la pelle d oca ai papaveri dalla testa alta.
161. — Per conto mio, non ho nessun bisogno di ricorrere all'argomento della pelle d'oca per buttare dalla finestra 1 due principi! derivati dal canone supremo dell'utilitarismo. Basta pie-namente l'argomento razionale del salto logico. Quando un ragio-namento è illogico, non ha senso seguitare a sfaccettarlo, a trarne partito, e a dire che no e che si e che la coscienza politica di qua e la coscienza collettiva di là ecc. ecc.... Non ha senso e basta. Non ha senso dire che il sacrifìcio 10 di Tizio e il sacrifìcio 10 di Caio sono uguali; perchè nessuno al mondo sa in che cosa con-siste quella uguaglianza. Non ha senso dire che il sacrifìcio di Tizio della IV, VII e VIII unità essendo di 5 + 4 + 3 = 1 2 unità (schema secondo) è un minimo per la società dei tre contribuenti e quindi deve essere scelto, perchè nessuno al mondo sa se quel sacrificio sia, per la lodata società dei tre, un minimo o qualcosa di diverso dal minimo. I sacrifici di Tizio, Caio e Sempronio, riferendosi ad essere senzienti diversi, non sono commensurabili e quindi non sono addizionabili. Se siano più o meno grossi, grossi tanto o tant'altro noi non sappiamo e nessuno sa. Non c'è altro
da dire. Se qualcuno ha qualcosa da dire, si faccia avanti e dica il fatto suo in modo chiaro, comprensibile a noi miserabili contri-buenti che prima di pagare consapevolmente — a pagare senza sapere il perchè non c'è bisogno di essere aiutati da professori di scienza delle finanze; basta l'avviso dell'esattore, con le commi-natorie delle multe per ritardato pagamento, pignoramento mo-biliare ed esecuzione forzata immomo-biliare — desideriamo capire le ragioni che ci si raccontano. Coloro che in questa faccenda piana parlano calcolo infinitesimale o infilzano frasi su coscienze politiche, punti di vista superiori collettivi ecc. vivono in un mondo troppo sublimato perchè noi si possa attingere alle loro vette. Per noi uomini ordinari, sino a prova contraria la spiega-zione razionale dei principii dell'uguale e del minimo sacrificio non esiste, ed esiste invece la presunzione del loro nulla logico. 162. — Il principio del sacrificio proporzionale non soffre in-vece di salto logico. Non è illogico dire che Tizio, Caio e Sem-pronio debbano pagare, ciascuno di essi, tanta imposta quanta equivale ad un decimo della propria felicità. Qui non si fanno paragoni somme e sottrazioni. Ognuno dei nostri tre eroi sta esposto, per conto suo, ai colpi dell'imposta. Ognuno dà un de-cimo di se stesso; e poiché ognuno conosce se stesso e per cono-scersi non ha bisogno di conoscere altrui, l'operazione è logica.
Con una piccola riserva, già fatta, che qui ripeto ad nausearti per ficcarla nella testa di coloro che ci scivolano sopra, senza avve-dersi o facendo finta di non avveavve-dersi della portata sua grandis-sima. Ognuno conosce se stesso e può dichiarare quale è la som-ma di imposta che, pagata da lui, gli cagiona un sacrificio o ìn-commodo uguale ad un decimo delia felicità o ìn-commodo procu-ratogli dalla ricchezza da lui posseduta. Dichiarerà ognuno quel che potrebbe?
Chi suppone di sì, accetta di trasformare il sistema delle im-poste in un sistema di oblazioni volontarie. Il dilemma è pre-ciso: o si crede senza discutere nella verità delle confessioni dei contribuenti ed abbiamo un sistema di oblazioni volontarie; o si discutono e il principio del sacrificio proporzionale va colle gambe
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all'aria. Nessun ministro delle finanze passato presente o futuro ha accettato od accetterà mai il primo corno del dilemma. Sulle oblazioni volontarie nessuno stato vive. Se non si vuole che tutti si facciano piccoli e dolenti e che le entrate dello stato cadano dalle decine di miliardi alle unità di milioni, è necessario discu-tere la confessione del contribuente. Se si discute, si sostituisce all'apprezzamento individuale dei commodi ed incommodi, che è il solo leale, un apprezzamento medio statale, irreale e privo di significato. Bisogna che lo stato dica: suppongo che i cittadini 11011 abbiano la sensibilità che hanno in effetto per le successive dosi della ricchezza; ma lina sensibilità media, da me configu-rata. La prima dose di ricchezza avrà per essi tutti I indice di utilità 10 o 100; la seconda 9 o 99, la terza 8 o 98 e cosi via. E poi porterò via ad essi quel tanto di ricchezza che dia luogo ad un prelievo di utilità che sia un decimo dell' utilità quale fu da me calcolata. Ben so che l'utilità da me calcolata non è quella che 1 contribuenti sentono; che il decimo da essi immaginato non è il decimo; ma come fare, se gli uomini non confessano il vero? 163. — Come fare? Piantarla lì con tutti questi ghirigori di pseudo-ragionamenti con cui, volendo persuadere gli uomini a lasciarsi portar via tot lire, ci si sente l'obbligo di imbrogliar loro la testa con parole solenni di utilità, sacrificio, uguaglianza, proporzionalità. Gratta gratta e sotto c'è il vuoto.
C'è il retore che vuole epater le bourgeois e farlo restare a bocca aperta.
164. — Per ora il vile borghese ha ragione di restare terroriz-zato dalle illazioni che dai principi utilitaristici si possono rica-vare. Se, come ragionano gli utilitaristi,
a) scopo della legislazione è la massima felicità del numero massimo possibile dei componenti la collettività;
b) se la utilità delle dosi successive di ricchezza è decre-scente;
c) se si deve supporre, per ragioni di minimo arbitrio, che-la scache-la delche-la decrescenza è decrescente in modo uniforme per
t u t t i : IO, 9 , 8 , 7 , 6 , 5 , 4 , 3 , 2 , 1 , . . . . ;
d) se l'indice di utilità apposto dai componenti la
collet-tività alle successive dosi di ricchezza consente di far paragoni fra uomo e uomo,
è logicamente incontestabile che lo stato deve portar via a chi le possiede le dosi di ricchezza le quali hanno una utilità più bassa per darle a chi, ricevendole, ne ricava una utilità maggiore; e che il processo deve continuare fino a che l'utilità marginale della ricchezza sia uguale per tutti. A questo punto non con-viene seguitare perchè, se la utilità marginale è per tutti 6, a togliere ancora una dose a Tizio gli si fa perdere 6, laddove a darla a Caio gli si fa guadagnare solo 5.
Non importa qui discutere se la premessa a sia accettabile; e con quali riserve — specie sul punto d'inizio della decrescenza — possa accettarsi la b. Il punto decisivo è che la c è un'ipotesi intieramente disforme dalla realtà (la scala della decrescenza non è uniforme bensì variabile e variabile secondo regole non cono-sciute o conocono-sciute in modo così imperfetto da non consentire alcuna misurazione), e che la d non ha senso (il piacere o do-lore di Tizio è un affar suo individuale non paragonabile al pia-cere o dolore di Caio).
Il vile borghese può fare a meno di farsi venire la pelle d'oca; chè la teoria utilitaristica dell'imposta è, per ora, una vecchia baracca crollante.
Chi vivrà vedrà se qualcuno riuscirà a cavarne qualche co-strutto.
165. — Per ora il costrutto migliore che se ne può cavare è negativo: bisogna farla finita con principii che si danno l'aria di guardare tutto il mondo dall'alto in basso, come se tutto ciò che non si avvicina alla loro « sommità » sia vile empirismo, roba superata, vecchiume rancido. Abbasso la boria dell'imposta personale progressiva globale totale complessiva eccetera eccetera! La progressività la personalità la globalità la totalità la com-plessività sono derivazioni teoriche dai « sommi » principii utili-taristici. Senza di questi non se ne può dare una spiegazione
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razionale; epperciò al par di questi sono, oltreché orrende parole 111 lingua italiana, roba qualunque, che vale nè più ne- meno, forse meno che più degli opposti canoni della proporzionalità, della realtà, della particolarità. Meri spedienti da usarsi con la cautela e il fiuto dell'uomo di stato il quale deve tener conto di mille e mille circostanze contingenti non teorizzabili. Natu-ralmente, l'uomo di stato invocando quei canoni farà appello alle grandi parole, ai sommi principu e farà bene, chè si tratta di convincere i restii a pagare. Ma noi, che siamo semplici stu-diosi, non possiamo lasciarci imporre dalle parole piene di vuoto e dobbiamo assumerle per quel che sono: roba qualunque, buona o cattiva a seconda dell'uso che se ne fa.
166. — Direi, data la voga che dal 1870 in poi hanno preso le parole di progressività personalità globalità complessività tota-lità, occorre piuttosto aver l'occhio fisso ai malanni che ne pos-sono derivare che non all'uso eventualmente buono che se ne può fare.
Dove è il limite all'operare logico del principio del minimo di sacrificio? Se prudenza e buon senso non soccorrono, il limite si tocca solo quando si sono livellate le fortune. Se Tizio ha 100 e Caio 50, Caio, utilitarista, conoscitore per istinto della teoria della decrescenza dei gradi di utilità della ricchezza, rifiuta di pagare sinché Tizio non è stato spogliato di tutto il supero oltre 1 50 posseduti da lui. Forsechè le unità fra 51 e 100 non hanno, tutte, una utilità progressivamente minore di quella posseduta dalle unità fra 1 e 50? Paghi dunque Tizio fino a livellarsi a lui, chè il sacnficio sociale sarà il minimo. Paghi anche se lo stato non ha urgenza di entrate, perchè il togliere unità a Tizio cagiona a costui un danno minore del vantaggio che avrebbe Caio ncevendole. Una società, in cui ognuno dei due ha 75 unità, gode di una massa totale di felicità maggiore di quella in cui l'uno ha 100 e l'altro 50.
C'è un solo piccolo inconveniente all' operare del congegno. Chi obbliga Tizio a produrre 100 quando sa che il supero oltre 75 gli verrà inesorabilmente portato via dalla logica del principio
del sacrificio minimo? Conseguenza necessaria del principio è togliere lo stimolo a produrre ricchezza oltre la media che si prevede destinata a rimanere in possesso del produttore. Se l'im-posta livellatrice riduce 1 redditi di 100 a 75 e porta quelli di 50 a 75, Tizio produce solo più 75 e Caio resta con 1 suoi 50, perchè 1 25 destinati a lui sono sfumati.
M a il virus infernale del principio del sacrificio minimo non ha finito di agire. Se 1 due posseggono 75 e 50 unità, conviene, a massimizzare la felicità collettiva, togliere 12.50 a Tizio e darli a Caio, cosichè ognuno abbia 62.50. M a Tizio riduce allora nuovamente la produzione a 62.50, chè sarebbe a lui inutile produrre di più. E così via distribuendo e riducendo giunge, per differenze sempre più piccole, il momento in cui amendue producono le stesse 50 unità. In quel punto, Caio, il quale si era illuso di rigettare tutta l'imposta su Tizio, si avvede che la deve pagare anch'egli nella stessa misura. Non forse ha egli la stessa ricchezza?
167. — A l punto critico si giunge presto se l'imposta livel-latrice si applica ai redditi di lavoro, perchè il lavoratore manuale ed intellettuale subito capisce la inutilità di continuare a lavo-rare quando il frutto ulteriore della sua fatica sia avocato dal-l'imposta allo stato. M a vi si giunge ugualmente per 1 redditi di capitale. Solo il volgo crede che 1 denari bisogni prenderli dove ci sono. Residuo bruto di brute credenze adoratrici dell'oro. Tutto il capitale, terre case macchine strade ponti ferrovie, muore se continuamente non lo si rinnova. Tutto il capitale del mondo è nuovo. Anche San Pietro di Roma si ricrea di ora in ora. Se non lo si ricreasse sarebbe da gran tempo un mucchio di rovine. Supporre che un qualunque capitale concreto duri in media vent'anni è probabilmente ipotesi dettata da accesa otti-mistica fantasia. Ci deve essere qualcuno che ricrea il capitale. Se non è lo stato, se cioè non viviamo in una organizzazione comunistica in cui la funzione del produrre risparmio è un uf-ficio pubblico — ma allora è anche inutile discorrere di imposte