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POWELL & PRESSBURGER

Nel documento 36TFF TORINO FILM FESTIVAL (pagine 41-46)

Le allucinazioni causate da un trauma cranico diventano l'andirivieni incessante tra un paesino sulla costa della Manica e un Aldilà futurista nel quale si svolge un serrato dibattito su affinità e divergenze tra la cultura britannica e quella statunitense (Scala al paradiso); il battibecco in una sauna tra un vecchio generale e un giovane ufficiale sfrontato culmina con un tumultuoso tuffo nell'acqua della piscina e all'indietro nel tempo (Duello a Berlino); un'inquietante fiaba di Andersen, dove le scarpette indemoniate impediscono a una ragazzina di smettere di danzare, fa da sotterraneo filo conduttore delle passioni contrastanti che agitano una giovane étoile (Scarpette rosse); e poi cavalli e tappeti volanti, un Genio della bottiglia e un mago malvagio (Il ladro di Bagdad); seducenti bambole meccaniche, stregoni e venditori di occhi (I racconti di Hoffmann); suore anglicane confuse e tormentate dal calore, la polvere, il vento e la diffusa sensualità di un convento in cima all'Himalaya (Narciso nero); bizzarri giochi a Risiko e a rimpiattino tra nazisti, canadesi e inglesi (49° Parallelo e Volo senza ritorno); e per finire un giovane, tranquillo operatore cinematografico londinese che, con una lama nascosta nella sua macchina da presa, uccide le sue vittime mentre le riprende (Peeping Tom). Questo era il mondo che compariva sullo schermo subito dopo il logo degli Archers: una freccia che colpisce il centro di un bersaglio bianco, rosso e blu, come i colori della bandiera della Gran Bretagna. «Da bambino, negli anni Quaranta, quando vedevo apparire il logo degli Archers sullo schermo sapevo che stavo per provare qualcosa di unico, un'esperienza di tipo molto speciale», ha raccontato Martin Scorsese, uno dei più appassionati ammiratori del loro lavoro insieme con Brian De Palma, Francis Ford Coppola e, in Europa, Bertrand Tavernier, Bernardo Bertolucci, Olvier Assayas.

Gli Archers erano due. Michael Powell ed Emeric Pressburger: un regista visionario e uno scrittore capace di tener dietro, in sceneggiatura, alle sue evoluzioni fantastiche. Un inglese di Canterbury che aveva cominciato a lavorare nel cinema negli anni Trenta, negli studi della Victorine a Nizza, alle dipendenze di un autore hollywoodiano pazzo e fantasioso, Rex Ingram, e un ebreo ungherese che lavorava a Berlino per la Ufa, dove aveva scritto sceneggiature per Siodmak e Ophüls e che, nel 1935, era riparato a Londra, dov'era stato assunto dall'ungherese che allora dominava la produzione britannica, Alexander Korda. Fu Korda ad avere l'intuizione di unire i talenti di Powell e Pressburger, creando così uno dei team non solo più longevi della storia del cinema, ma anche più inventivi, fantasmagorici, eccentrici, capaci come nessun altro di fondere in un tutto unico le arti e i mestieri del cinema. Quando nel 1943, dopo cinque film scritti da Pressburger e diretti da Powell, fondarono la loro compagnia di produzione, appunto gli Archers, alla fine dei titoli di testa del primo film prodotto, Duello a Berlino, inaugurarono questo credit:

“Scritto, prodotto e diretto da Michael Powell e Emeric Pressburger”. Ha raccontato Powell:

«Analizziamolo. "Scritto" veniva per primo, dal momento che, se non avete una buona storia e una buona sceneggiatura, non avete nulla. "Prodotto" era giustamente secondo, perché non si può trasformare una buona sceneggiatura in un buon film senza denaro e competenza tecnica. "Diretto" veniva per ultimo, perché è una tradizione nel cinema che il nome del regista sia l’ultimo dei titoli. Credo che ormai sia chiaro a tutti quanto fui nel giusto, al momento della costituzione degli Archers, nel voler dividere tutto a metà con Emeric, le attribuzioni, i compensi, la sorte. Nessuno lo capì a quel tempo, e nessuno lo capisce adesso. "Avresti potuto scrivere il tuo nome da solo", mi dicono. "Dopo che avevi prodotto e diretto 49°

Parallelo, con tutti quegli attori famosi, eri all'apice della professione!". Verissimo, ma chi aveva vinto l'Oscar per 49° Parallelo? Emeric, per il soggetto originale. Poi, sono trascorsi cinque anni di guerra:

cinque anni di battaglie e decisioni, di film, tutti da storie e sceneggiature originali. Come mi sarei sentito nel 1946, alla fine della guerra, se nei credit di Narciso nero avessi letto: "Prodotto e diretto da Michael Powell" e, separato, "Sceneggiatura di Emeric Pressburger"? Sarebbe stata una valutazione giusta dei nostri rispettivi contributi? Naturalmente no. Io posso essere sembrato il partner dominante, ma dove sarei senza l'inventiva, la saggezza e la moderazione di Emeric? La stampa è sempre stata perplessa e incuriosita davanti alla nostra collaborazione, eppure in teatro dove sarebbero Hammerstein senza Rodgers, Beaumont senza Fletcher, e George S. Kaufman senza praticamente tutti?».

La formula, assolutamente unica nella storia del cinema, dura tredici anni (fino al ritiro dal cinema, nel 1966, di Pressburger) e quattordici film, che rappresentano il culmine della poetica del “regista” Michael Powell (con una sola eccezione: quella dello straordinario e famigerato Peeping Tom, che nel 1960 sconvolse l’opinione pubblica e la critica inglesi, a causa del quale Powell ebbe la carriera distrutta). I compiti sono definiti con chiarezza per tutta la durata della collaborazione. Powell lavora alla regia e alla produzione, scatena la propria fantasia e la propria inesauribile curiosità tecnica per i trucchi, è, come si definiva lui stesso, "un grande occhio"; mentre Pressburger è scrittore puro, narratore abilissimo, capace di ribaltare una storia fiacca e di darle vita, di elaborare dialoghi mirabolanti, di concepire una

sceneggiatura come un complesso racconto per metafore e immagini. Insieme hanno creato il nucleo immaginario più eccentrico, coerente e duraturo della storia del cinema inglese, l’unico in grado di competere con quello dei grandi maestri europei e americani sul piano delle suggestioni visive e tematiche e della ricchezza stilistica.

Negli anni della guerra e del dopoguerra, hanno perseguito un ideale di cinema “totale”, sintesi di tutte le arti e di tutte le tecniche, un piacere per gli occhi e per l'intelligenza di spettatori che non hanno paura di lasciarsi trasportare in un mondo limitrofo, riconoscibile tanto quanto quello dei loro sogni e delle loro fantasie. "Affabulazione" è la parola chiave del loro cinema, del successo che hanno avuto con il pubblico, della contemporanea riprovazione critica e della riscoperta della loro opera, a lungo snobbata e dimenticata, da parte dei grandi cineasti americani ed europei degli anni 70 e 80. Chi ama il cinema, chi ama "entrare" nei film, possederli e farsene possedere, e portarli per sempre con sé come testimoni di un mondo che, interiore o esteriore, può essere soltanto un tutt'uno, non può non amare i film degli Archers, che sono disturbanti, nevrotici, entusiasmanti, fantastici e teneri.

(Emanuela Martini)

THE EDGE OF THE WORLD di Michael Powell (Ai confini del mondo, UK, 1937, DCP, 81’)

«Un dramma! Un Epos! Una storia! Con attori mescolati alla gente qualunque». Così Powell descriveva ai suoi collaboratori il film che stavano per girare nell’isola semideserta di Foula: due giovani si fronteggiano per amore della stessa ragazza mentre l’isola viene evacuata. Un dramma a forti tinte travestito da documentario alla Flaherty, considerato il primo film personale dell’autore. Il paesaggio è tempestoso e le calamità naturali agiscono come catalizzatori delle passioni.

THE SPY IN BLACK di Michael Powell (Spia in nero, UK, 1939, 35mm, 82’)

Il produttore Alexander Korda fiuta la possibile alchimia tra Powell e uno sceneggiatore ungherese appena emigrato a Londra, Emeric Pressburger. La storia del comandante di un U-boat tedesco che, durante la Prima guerra mondiale sbarca in un paesino della costa per distruggere le navi da guerra attraccate, diventa un inquietante studio di caratteri. Il fascino del male s’incarna nel protagonista Conrad Veidt, reso ancora più minaccioso dalle geniali scenografie in scala ridotta di Vincent Korda.

CONTRABAND di Michael Powell (Contrabbando, UK, 1940, 35mm, 92’)

Pressburger scrive un soggetto che sfrutta gli elementi del film precedente: ancora un thriller bellico, ancora Veidt nella parte di un ufficiale straniero (questa volta danese, neutrale, “buono”), che sventa un complotto di spie tedesche a Londra. Per la prima volta, la metropoli viene mostrata durante il coprifucoco, l’atmosfera è notturna e misteriosa, l’azione stringata. Entra in scena Alfred Junge, lo scenografo visionario dei film successivi.

THE THIEF OF BAGDAD di Michael Powell (Il ladro di Bagdad, UK, 1940, DCP, 106’)

Powell partecipa alla “fantasia araba” che Korda sta progettando da anni, remake di un successo di Walsh del 1924. In un Technicolor accecante, si snoda la storia dell’amore contrastato di un principe e una principessa, di un ladruncolo, un mago cattivo (Veidt, magnetico e sinistro), un Genio della lampada, un tappeto e un cavallo volanti. Incantesimi, effetti speciali, inseguimenti, duelli: una delle più belle fiabe del cinema di tutti i tempi.

49TH PARALLEL di Michael Powell (Gli invasori - 49° parallelo, UK, 1941, 35mm, 123’)

Un sommergibile tedesco viene affondato nella baia dell’Hudson. I nazisti sopravvissuti attraversano il Canada per raggiungere gli Stati Uniti, ancora neutrali. Bizzarro film di guerra, teso, appassionato, giocato sul sentimento libertario che accomuna tutte le etnie, le culture, le religioni che compongono il melting pot canadese, dai pellerossa agli amish. Grande cast (Laurence Olivier, Leslie Howard, Raymond Massey), prima collaborazione con Anton Walbrook (attore feticcio di P&P), Oscar a Pressburger per la sceneggiatura.

ONE OF OUR AIRCRAFT IS MISSING (Volo senza ritorno, UK, 1942, 35mm, 102’)

«Emeric, con tipica astuzia ungherese, venne fuori con l’idea di ribaltare la storia di 49th Parallel»: sei aviatori della Raf, dopo aver bombardato Stoccarda, sulla via del ritorno sono costretti a paracadutarsi in Olanda, occupata dai tedeschi. Braccati dai nazisti, vengono passati di mano in mano dagli olandesi che, mimetizzandoli tra loro, li aiutano a raggiungere il Mare del Nord e la salvezza. Leggerezza da commedia per un trascinante gioco a rimpiattino.

THE LIFE AND DEATH OF COLONEL BLIMP (Duello a Berlino, UK, 1943, DCP, 163’)

Il primo film degli Archers e il loro primo capolavoro in Technicolor: un ufficiale britannico e uno prussiano si sfidano a duello a Berlino nel 1902, diventano amici e s’innamorano della stessa donna durante la convalescenza, attraversano da nemici la Prima guerra mondiale e si ritrovano, vecchi, in Inghilterra durante la Seconda. Racchiuso in un flashback, il grande, umanissimo affresco di un’epoca e di due diverse sensibilità, amato da Scorsese e Tavernier, con Anton Walbrook, Roger Livesey e Deborah Kerr, che dà corpo alle tre donne della vita di Clive e Theo.

THE VOLUNTEER (Il volontario, UK, 1944, 35mm, 45’)

Cortometraggio finanziato dal Ministero dell’informazione per propagandare l’arruolamento volontario nella Fleet Air Army della Marina: una star della scena britannica, Ralph Richardson, racconta la storia del suo assistente teatrale, che si è arruolato, è stato decorato ed è diventato un eroe di guerra.

A CANTERBURY TALE (Un racconto di Canterbury, UK, 1944, 35mm, 124’).

Un militare americano, un’ausiliaria e un sergente inglesi intrecciano le loro vite e la loro voglia di pace nei dintorni di Canterbury, meta del leggendario pellegrinaggio medievale di Chaucer. Suggestioni magiche, desideri e delusioni quotidiane, e un maniaco che si aggira di notte nel villaggio a inondare di colla i capelli delle ragazze. Iconoclasta e originale, un film misterioso, tra commedia, thriller e war movie, che scandalizzò i censori dell'epoca.

I KNOW WHERE I’M GOING! (So dove vado, UK, 1945, DCP, 91’)

In viaggio per raggiungere un’isola dove sposerà (per interesse) un uomo ricchissimo, una ragazza resta bloccata da una tempesta sulle coste della Scozia. E qui comincia a essere attratta dal giovane signorotto locale. Amore e magia nei paesaggi tumultuosi che piacciono a Powell; e un coro di “streghe” celtiche, che con la loro energia irrazionale travolgono il buonsenso piccolo borghese della protagonista.

A MATTER OF LIFE AND DEATH (Scala al paradiso, UK, 1946, DCP, 104’)

Peter, pilota della Raf, viene abbattuto sulla Manica; cadendo, intreccia via radio un dialogo romantico con una sconosciuta ausiliaria americana. Quando si risveglia sulla spiaggia, se la trova davanti. Amore a prima vista, se non fosse che l’Angelo della Morte lo sta cercando per portarlo con sé. Oppure Peter soffre di allucinazioni. Andirivieni tra la Terra (a colori) e l’Aldilà (in b&n), un capolavoro di arguzia, effetti speciali mirabolanti, intelligenza visiva e narrativa.

BLACK NARCISSUS (Narciso nero, UK, 1947, DCP, 101’)

Torbidissimo mélo ambientato in un convento di suore inglesi arrampicato sull’Himalaya, dove divampa il conflitto tra dovere e desiderio, tra l’anima e la carne. Tutte le monache, sotto il soggolo, hanno i capelli rossi: una (Deborah Kerr) regge l’urto dei turbamenti, l’altra (Kathleen Byron) ha gli occhi infuocati e perde il controllo. Visioni mozzafiato ricostruite in studio e un Technicolor “psichico” per un film prima snobbato dalla critica, poi diventato un cult.

THE RED SHOES (Scarpette rosse, UK, 1948, DCP, 134’)

Il film più celebre di P&P, quintessenza della dannazione romantica. Storia di una giovane, flessuosa étoile combattuta tra l’amore domestico per un coetaneo musicista e la dedizione ossessiva alla danza, impersonata dal mefistofelico ideatore di balletti che l’ha scoperta. Moira Shearer e Anton Walbrook dominano il più fiammeggiante dei mélo. Al centro, la sequenza del balletto ispirato alla fiaba di Andersen, modello anche per Un americano a Parigi.

THE SMALL BACK ROOM (I ragazzi del retrobottega, UK, 1949, 35mm, 106’)

Una bottiglia di whisky gigantesca incombe sul minuscolo protagonista: un incubo da alcolista che ricorda quello di Giorni perduti di Wilder. Infatti, P&P distillano da un thriller di Nigel Balchin un noir bellico cupo e malato, ambientato nelle stanzette sul retro dei ricercatori addetti allo studio degli esplosivi, a parte la tesissima sequenza finale sulla spiaggia cosparsa di mine. Troppo moderno per l’epoca, anticipa atmosfere di Le Carré.

THE ELUSIVE PIMPERNEL (L’inafferrabile Primula Rossa, UK, 1950, 35mm, 109’)

Dai libri della baronessa Orczy, la storia della Primula Rossa, il gentiluomo inglese che, fingendosi un dandy smidollato, sottraeva gli aristocratici francesi alla ghigliottina. P&P giocano con tutti gli elementi dell’avventura rocambolesca: fughe, travestimenti, duelli (anche verbali), amori incompresi. David Niven perfetto nel gioco degli equivoci e in quello a moscacieca (scena clou del film, con la mdp che diventa il giocatore bendato).

GONE TO EARTH (La volpe, UK, 1950, 35mm, 110’)

La preda, la volpe, è rientrata nella tana: con questo grido terminano le sanguinose cacce dei nobili britannici. E la terra, il paesaggio verdeggiante squarciato da tutta la gamma dei rossi che segnalano l’emergere dell’erotismo, guida la storia della giovane moglie del mite pastore che diventa l’amante del vorace signore locale. La natura lotta contro la civiltà, il Technicolor divampa sulle splendide location, Jennifer Jones ritrova la selvaggia carnalità della Pearl di Duello al sole.

THE TALES OF HOFFMANN (I racconti di Hoffmann, UK, 1951, DCP, 133’)

I racconti demoniaci di Hoffmann, nella versione musicale di Jacques Offenbach: venditori di occhi, seducenti bambole meccaniche, stregoni che trasformano la cera in diamanti, donne fatali che portano la morte, specchi che rubano l’immagine e maghi che comprano anime. Fantasia gotico-espressionista con picchi di delirio visivo, per la quale P&P ricompongono il magnifico gruppo di artisti di Scarpette rosse, Moira Shearer e Ludmilla Tcherina in testa.

OH... ROSALINDA!! (UK, 1955, 35mm, 101’)

Ancora un film musicale, girato nello spazio di un palcoscenico diviso in vari ambienti. Adattata da Il pipistrello di Johann Strauss, riambientata nella Vienna occupata del secondo dopoguerra, una bizzarra opera buffa nella quale russi, americani e inglesi s’inseguono, s’imbrogliano, chiacchierano, cantano e ballano tra una stanza e l’altra. Li guida il maestro di cerimonie e trucchi austriaco Anton Walbrook, che in frac e pipistrello ordisce beffe e inganni.

THE BATTLE OF THE RIVER PLATE (La battaglia di Rio della Plata, UK, 1956, 35mm, 119’).

Ritorno al war movie, in Technicolor e VistaVision: le peripezie della corazzata tedesca Graf Spee che, all’inizio della Seconda guerra mondiale, opera come nave corsara nell’Oceano Atlantico, fino a quando non viene attaccata da tre incrociatori britannici. Centrato su un ideale di cavalleria ormai scomparso, un ritratto di ufficiale gentiluomo (il comandante tedesco, interpretato da Peter Finch) e una spettacolare battaglia navale.

ILL MET BY MOONLIGHT (Colpo di mano a Creta, UK, 1957, 35mm, 104’)

Ancora guerra, ma di Resistenza, a Creta, dove due ufficiali britannici e un gruppo di partigiani rapiscono il generale tedesco comandante dell’isola. Basato su una storia vera, l’ultimo film firmato da P&P è un audace gioco a rimpiattino, dove ci si confronta in astuzia e coraggio attraverso tutta l’isola. Domina Dirk Bogarde, nella parte dell’eccentrico capitano Leigh-Fermor, emulo di Byron che legge Alice nel paese delle meraviglie.

PEEPING TOM di Michael Powell (L’occhio che uccide, UK, 1960, DCP, 101’)

Il capolavoro maledetto, tanto estremo da stroncare la carriera di Powell: un giovane operatore, tra un set e l’altro, gira il suo film, sul fascino dello sguardo e della morte. Opera seminale, un canto angosciante sull’ossessione del riprendere e del guardare, cult istantaneo in Francia, poi in tutto il mondo.

Carl Bohem è il silenzioso, inquietante protagonista, Moira Shearer la comparsa che balla l'ennesima danza di morte, Powell il padre scienziato negli home movies.

THEY’RE A WEIRD MOB di Michael Powell (Sono strana gente, Australia/UK, 1966, 35mm, 112’)

Un giornalista italiano va a Sidney per lavorare nel giornale del cugino e si trova coinvolto in una bancarotta: uno stralunato, vorticoso Walter Chiari in una commedia strampalata fatta di mescolanze linguistiche e quotidiane disavventure. Powell va in Australia e, come il suo protagonista, affronta il paese nuovo con gli occhi curiosi e insaziabili di un emigrante. Pochi registi hanno usato tanto bene la duttilità linguistica e mimica di Chiari.

AGE OF CONSENT di Michael Powell (L’età del consenso, Australia, 1969, 35mm, 103’)

Da New York, un pittore in crisi torna in Australia per ritrovare l’ispirazione: mare, natura, spiaggia e una giovane ninfa disinibita della quale s’innamora. James Mason e la giovane Helen Mirren in un canto

luminoso e sensuale che evoca sotterraneamente la Tempesta di Shakespeare (che Powell non riuscì mai a realizzare). Indimenticabile il corpo nudo della donna fatto di sabbia sulla spiaggia.

THE BOY WHO TURNED YELLOW di Michael Powell (Il ragazzo che diventò giallo, UK, 1972, 35mm, 55’) Un bambino sogna di essere diventato giallo e di viaggiare sulle onde elettromagnetiche guidato da Nick (Electronic), un personaggio uscito dal televisore. Piccola fiaba fantascientifica per ragazzi realizzata per la tv, su una storia (di Pressburger) che anticipa molti spunti dell’immaginario hollywoodiano successivo.

Nel documento 36TFF TORINO FILM FESTIVAL (pagine 41-46)

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