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- 137 - CAPITOLO QUARTO

LA PARTECIPAZIONE DELL

ITALIA ALL

UNIONE EUROPEA

:

DALLA

‹‹

LEGGE FABBRI

››

ALLA LEGGE N

.11

DEL

2005

Sommario: 1. Considerazioni introduttive. - Sezione Prima: Il quadro normativo di riferimento. - 2. I riferimenti costituzionali. – 3. La prima fase del rapporto tra Stato italiano e ordinamento comunitario:  dall’inizio  fino  all’entrata  in  vigore  dell’Atto  unico  europeo.  – 4. La seconda fase dei rapporti   tra   Stato   italiano   e   ordinamento   comunitario.   La   ‹‹legge   Fabbri››   e   la   creazione   del   Dipartimento per le politiche comunitarie. – 5.  La  legge  n.  86  del  1989  e  l’avvio  della  terza  fase.  – 6. L’ultima  fase  di  sviluppo:  la  legge  n.  11  del  2005.  – Sezione Seconda: La fase ascendente da un punto di vista dinamico. Le interazioni fra gli attori istituzionali. – 7. Gli obblighi di informazione. – 7.1. Gli organi  coinvolti  nell’attività  di  informazione  tra  Governo  e  Parlamento.  – 8. Le osservazioni ed i poteri di indirizzo del Parlamento. – 9. La riserva di esame parlamentare. – 9.1. La riserva parlamentare ed il mandato di arresto europeo. – 10. La partecipazione alla fase ascendente delle Regioni e degli enti locali: brevi cenni. - Sezione Terza: Prospettive di riforma. – 11. I progetti di legge di modifica della legge n. 11 del 2005.

1. Considerazioni introduttive

La disamina appena svolta dei meccanismi operanti a livello europeo evidenzia  l’esistenza  di  un  quadro  di  riferimento  entro  cui  possono  inserirsi  misure   elaborate a livello nazionale, sia nella legislazione (ordinaria e/o costituzionale) che nei regolamenti parlamentari: non vi è dubbio che, se ancora dei miglioramenti

Parte II - La  partecipazione  del  Parlamento  italiano  al  procedimento  legislativo  dell’Unione  europea   nell’evoluzione  della  normativa  e  della  prassi  interna

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sono possibili, il   diritto   dell’Unione europea offre agli ordinamenti nazionali un contesto entro il quale collocare quelle soluzioni tecniche che appaiono maggiormente consone con la struttura costituzionale di riferimento. Occorre, ora, verificare  come  l’ordinamento  italiano  abbia  fatto  uso  di  tale  margine  di  manovra  al   fine di predisporre gli strumenti necessari a creare un migliore raccordo, nella fase ascendente,  tra  il  Governo,  da  una  parte,  ed  il  Parlamento,  dall’altra.

In tale prospettiva, nelle pagine che seguono, si richiamerà, in primo luogo, la   situazione   precedente   l’adozione   della   legge   n.   11   del   2005.   Vale   la   pena   ricordare già in questa sede che, per un lungo periodo, la questione è stata rimessa esclusivamente   all’autonomia   regolamentare   delle   Camere343. Solo dopo circa

trent’anni   di   esperienza   comunitaria   il   legislatore   italiano   si   è   risolto   ad   adottare   misure finalizzate a creare un raccordo tra il Governo ed il Parlamento nella fase ascendente,  dai  contenuti  alquanto  blandi:  l’articolo  9  della  legge  n.  183  del  1987,  la   cosiddetta  ‹‹legge Fabbri››344, obbligava il Governo a comunicare alle Camere ed

alle Regioni i progetti di regolamenti, raccomandazioni (da intendersi quelle emanate dalle istituzioni della CECA345) e direttive, senza peraltro che venisse

specificato un termine per tale adempimento e senza che fosse definito il ruolo che una posizione assunta dalle competenti commissioni parlamentari o dalle Assemblee potesse svolgere nei confronti del Governo (al riguardo, si parlava, infatti,  di  semplici  ‹‹osservazioni››).

343 Per una trattazione delle soluzioni adottate e delle problematiche irrisolte dal punto di

vista  dell’esigenza  del   recupero  delle   funzioni  di  compartecipazione   e   controllo  parlamentare,  si   vedano le puntuali osservazioni di G.GAJA, Per  un  controllo  parlamentare  dell’attività  normativa  

delle Comunità europee, in Politica del diritto, 1973, p. 111 e ss.; ID., Proposta di riforma della

Giunta per gli affari europei del Senato, in Rivista di diritto internazionale (RDI), 1977, p. 398 e

ss.; A.M.CALAMIA,C.MORVIDUCCI, Istituzione di un Ministero per gli affari comunitari?, ivi, p.

822 e ss.; C. MORVIDUCCI, Il Parlamento italiano e le Comunità europee, Milano, Giuffrè, 1979,

spec. p. 137 e ss.; ID., La politica comunitaria e il ruolo svolto dalle Commissioni Affari Esteri e

dalla Giunta per gli Affari delle Comunità europee, in Cassese A. (a cura di), Parlamento e

politica estera, Padova, Cedam, 1982, p. 129 e ss.; N.RONZITTI, Elezione a suffragio universale

del Parlamento europeo e controllo democratico del processo di integrazione europea, in Centro

Nazione di Prevenzione e Difesa Sociale (a cura di), Parlamento europeo, forze politiche e diritti

dei cittadini, Milano, Franco Angeli, 1979, p. 29 e ss., spec. p. 54 e ss..

344 Tale  disposizione  verrà  abrogata  dalla  legge  n.  128  del  1998,  c.d.  ‹‹Legge  comunitaria  

1995-1997››,  su  cui infra in nota.

345 Per tale conclusione nonché per una critica alla genericità del dettato normativo, cfr.

A.TIZZANO, Sull’attuazione  della  normativa  comunitaria  in  Italia:  la  legge  183/87, in FI, 1988, I,

Capitolo IV - La  partecipazione  dell’Italia  all’Unione  europea:  dalla  ‹‹legge  fabbri››  alla legge n. 11 del 2005

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Successivamente, la legge n. 400 del 1988 impose al Presidente del Consiglio di fornire alle Camere una tempestiva comunicazione circa i procedimenti normativi in corso nelle Comunità europee e sulle iniziative e posizioni assunte dal Governo nelle specifiche materie346: la logica era quella del

resoconto,  non  certamente  quella  della  ricerca  di  un’intesa  con  il  Parlamento circa le posizioni da assumere a livello europeo.

Vedremo, poi, che la legge n. 86 del 1989, nota ai più come legge La Pergola, cercò di affrontare il problema con maggiori pretese di sistematicità, ma deluse quanto ad efficacia degli strumenti di raccordo così introdotti. Relativamente ai rapporti con il Parlamento, si stabiliva inoltre che il Governo presentasse alle Camere   una   relazione   semestrale   sulla   partecipazione   dell’Italia   al   processo   normativo comunitario, in cui fossero esposti i principi e le linee caratterizzanti della politica italiana  nei  lavori  preparatori  all’emanazione degli atti normativi comunitari ed, in particolare, gli indirizzi del Governo su ciascuna politica comunitaria, sui gruppi di atti normativi riguardanti la stessa materia e su singoli atti normativi che rivestono rilievo di politica generale. Nella prassi, detta relazione è stata presentata senza la dovuta regolarità e per lo più con notevole ritardo, cosicché si è ridotta spesso ad un mero consuntivo, inidoneo a fornire la base per un dibattito volto all’orientamento  dell’attività  governativa.

Maggiormente attente (per lo meno sulla carta) si sono dimostrate le Assemblee parlamentari, dal momento che nello stesso periodo in cui fu approvata la legge La Pergola, il Senato (nel 1988) e la Camera dei deputati (nel 1990) modificarono  i  propri  regolamenti,  con  l’evidente intenzione di rafforzare il ruolo del Parlamento nella fase preparatoria degli atti comunitari e nella fase della loro esecuzione  nell’ordinamento interno347. Gli articoli 142 e 144 del regolamento del

Senato e gli articoli 126 bis e 127 del regolamento della Camera, cosi come novellati, riconoscevano alle commissioni permanenti e, rispettivamente, alla Giunta per gli affari delle Comunità europee e alla Commissione per le politiche comunitarie348 la facoltà di approvare atti di indirizzo destinati al Governo in

346 Cfr. art. 5, co. 3, lett. a), legge  23  agosto  1988,  n.  400,  recante  la  ‹‹Disciplina  dell’attività  di  

Governo  e  ordinamento  della  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri››,  in  GU  12  settembre  1988,  n.  214.

347 Cfr. V. LIPPOLIS, Il Parlamento nazional-comunitario, in Quaderni costituzionali,

1991, p. 319 e ss., spec. p. 331 e ss..

348 Il regolamento della Camera è stato ulteriormente modificato nel 1996, al fine di

Parte II - La  partecipazione  del  Parlamento  italiano  al  procedimento  legislativo  dell’Unione  europea   nell’evoluzione  della  normativa  e  della  prassi  interna

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relazione alla discussione di progetti di atti comunitari o, più in generale, all’assunzione di iniziative sul piano comunitario.

A fronte di questa cornice normativa, si ebbero nel 1998 due distinti interventi legislativi,   a   breve   distanza   l’uno   dall’altro, entrambi finalizzati a rafforzare il ruolo del Parlamento nella fase ascendente, senza tuttavia il necessario coordinamento349. Degna di nota è pure la legge comunitaria per il 2000 (legge n. 422/2000350) che abroga le due disposizioni ora ricordate ed inserisce nella legge La Pergola una disciplina unitaria in merito al ruolo del Parlamento e delle Regioni nella fase ascendente351.

Come  si  dirà,  l’ultimo passaggio rilevante che precede la legge n. 11/2005 è rappresentato dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. La legge

Commissione permanente (la XIV). Nel 2003, la Giunta del Senato è stata trasformata nella 14ª Commissione   permanente   sulle   Politiche   dell’Unione   europea   (si   vedano   gli   artt.   22-23 regolamento Senato).

349 Il   riferimento   è,   in   primo   luogo,   all’art.   14   della   legge   24   aprile   1998,   n.   128,  

pubblicata in GU  7  maggio  1998,  n.  104,  suppl.  ord.,  il  cui  co.  1  disponeva  “i progetti degli atti

normativi   e   di   indirizzo   di   competenza   degli   organi   dell’Unione   europea   o   delle   Comunità   europee, nonché gli atti preordinati alla formulazione degli stessi, e le loro modificazioni, sono comunicati,  contestualmente  alla  loro  ricezione,  alle  Camere  per  l’assegnazione  alle  Commissioni   parlamentari competenti (...), indicando la data presunta per la loro discussione o adozione da parte degli organi predetti”.   Quanto   al   ruolo riconosciuto alle Camere in seguito alla

comunicazione   dei   documenti   sopra   menzionati,   il   co.   2   dell’art.   14   prevede   che   le   Camere   si   vedono espressamente attribuita la facoltà di adottare atti di indirizzo nei confronti del Governo. Preme ricordare che non si tratta di una novità assoluta, atteso che i regolamenti parlamentari, come sopra evidenziato, già riconoscevano la facoltà di approvare atti di indirizzo destinati al Governo in relazione alla discussione di progetti di atti comunitari. Rileva, poi, la legge 16 giugno 1998, n. 209, pubblicata in GU 6 luglio 1998, n. 155, suppl. ord., di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione del Trattato di Amsterdam, la quale contiene una disposizione di adattamento ordinario (art. 3) che richiede al Governo di assicurare che siano messi a disposizione delle Camere tutti i documenti di consultazione redatti dalla Commissione, le proposte legislative da questa presentate e le proposte relative alle misure da adottare ai sensi del Titolo VI del Trattato UE. La norma aggiunge che le Camere possono formulare osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo   al   Governo   “nei termini previsti dalle norme comunitarie”.   Perplessità   circa   l’idoneità   della successione di interventi normativi ora ricordati sono espresse da R. ADAM, Il ruolo

dell’Italia   nei   negoziati   relativi   all’elaborazione   delle   convenzioni   e   degli   atti   comunitari   di  

armonizzazione, in AA.VV., L’ordinamento  italiano  dopo  50  anni  di  integrazione  europea, Atti del

Convegno di Studi di Alghero del 5-6 ottobre 2001, Torino, Giappichelli, 2004, p. 47 e ss. ed, in particolare, p. 60.

350 Legge 29 dicembre 2000, n. 422, in GU 20 gennaio 2001, n. 16, suppl. ord.. 351 Cfr. art. 6 della Legge comunitaria per il 2000.

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costituzionale n. 3 del 2001352, infatti, ha introdotto nella nostra Carta costituzionale

degli espliciti riferimenti all’Unione   europea   e   al   diritto   comunitario   – segnatamente, agli articoli 117353 e 120354 della Costituzione – favorendo la

352 Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante  ‹‹Modifiche  al  titolo  V  della  parte  

seconda  della  Costituzione››,  pubblicata  in  GU  24  ottobre  2001,  n.  248.

353 Con  riferimento  all’art.  117  della  Costituzione  si  segnalano,  in  particolare,  i  commi 1,

2, 3, 5 e 9. In dottrina, sulla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione si rinvia, senza alcuna pretesa di esaustività, a G.BERTI, G.C.DE MARTIN (a cura di), Le autonomie territoriali:

dalla riforma amministrativa alla riforma costituzionale, Milano, Giuffrè, 2001; A.FERRARA (a

cura di), Verso una fase costituente delle Regioni?, Milano, Giuffrè, 2001; A.D’ATENA, L’Italia  

verso il federalismo: taccuini di viaggio, Milano, Giuffrè, 2001;ID., Le Regioni dopo il big bang.

Il viaggio continua, Milano, Giuffrè, 2005; M.OLIVETTI, Nuovi Statuti e forma di governo delle

Regioni, Bologna, Il Mulino, 2002; B.CARAVITA, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V,

Torino, Giappichelli, 2002; V.ANGIOLINI,L.VIOLINI,N.ZANON (a cura di), Le trasformazioni

dello Stato regionale italiano, Milano, Giuffrè, 2002; S. MANGIAMELI, La riforma del

regionalismo italiano, Torino, Giappichelli, 2002; T. GROPPI, M. OLIVETTI (a cura di), La

Repubblica delle autonomie ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, Giappichelli, 2001; S.

GAMBINO, Il   ‘nuovo’   ordinamento regionale, Milano, Giuffrè, 2003; A. ANZON,I poteri delle Regioni dopo la riforma costituzionale, Torino, Giappichelli, 2004; nonché, con specifico

riferimento  all’art.  117,  co.  1,  Cost.,  A.G.SERGES, Art. 117, comma primo, in Bifulco R., Celotto

A., Olivetti M. (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, Torino, Utet, 2006, p. 2213 e ss., R. CALVANO, La Corte costituzionale «fa i conti» per la prima volta con il nuovo art. 117 comma 1

Cost. Una svista o una svolta monista della giurisprudenza costituzionale sulle «questioni

comunitarie»?, in Giurisprudenza costituzionale, 2005, n. 6, p. 4417 e ss.; A. GUAZZAROTTI,

Niente di nuovo sul fronte comunitario? La Cassazione in esplorazione del nuovo art. 117, comma

1, Cost., ivi, 2003, p. 467 e ss., E.GHERA, I  vincoli  derivanti  dall’ordinamento  comunitario  e  dagli  

obblighi internazionali nei confronti della potestà legislative dello Stato e delle Regioni, in

Modugno F., Carnevale P. (a cura di), Trasformazioni della funzione legislative, Milano, Giuffrè, 2003, p. 47 e ss.; F.SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e

diritto internazionale e comunitario, in DPCE, 2002, n. 3, p. 1355 e ss.; L.TORCHIA, I vincoli

derivanti   dall’ordinamento   comunitario   nel   nuovo   Titolo   V della Costituzione, in Le Regioni,

2001, n. 6, p. 1203 e ss.; C.PINELLI, I limiti generali alle potestà legislative statale e regionale e i

rapporti  con  l’ordinamento  internazionale  e  con  l’ordinamento  comunitario, in FI, 2001, fasc. V,

col. 194 e ss..

Sull’assenza   di   una   riforma   costituzionale   che   consideri   in   maniera   organica   la   partecipazione  dell’Italia  al  processo  di  integrazione  comunitaria,  si  vedano  le  osservazioni  di   P. BILANCIA, Regioni ed attuazione del diritto comunitario, in Le istituzioni del federalismo, 2002, n.

1, p. 52, e T.GROPPI, Regioni, Unione europea, obblighi internazionali, in Groppi T., Olivetti M.

(a cura di), La Repubblica delle autonomie, Torino, Giappichelli, 2001, p. 155. Non sono mancate, d’altro   canto,   proposte   di   revisione costituzionale che ipotizzavano al riguardo una più incisiva riforma della Costituzione. È opportuno, infatti, ricordare a tal proposito - e senza soffermarci sui tentativi più remoti di riforma costituzionale (tra i quali devono essere, in particolare, ricordati i lavori delle Commissioni bicamerali Bozzi della IX legislatura e De Mita-Iotti  dell’XI  legislatura   con i relativi dibattiti parlamentari; vedi in argomento e per opportuni riferimentiU.ALLEGRETTI,

P. CARETTI, Riforma costituzionale, globalizzazione,   “treaty-making power”   e   partecipazione  

Parte II - La  partecipazione  del  Parlamento  italiano  al  procedimento  legislativo  dell’Unione  europea   nell’evoluzione  della  normativa  e  della  prassi  interna

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successiva  modifica  delle  procedure  e  degli  strumenti  di  partecipazione  dell’Italia  al   processo comunitario, attuata con le leggi n. 131  del  2003,  cosiddetta  ‹‹legge  La   Loggia››355, e n. 11 del 2005.

norme in materia internazionale nella Costituzione italiana, in Riforme costituzionali. Prospettiva europea e prospettiva internazionale, IV Convegno SIDI, Salerno, 29-30 aprile 1999, Napoli,

Editoriale Scientifica, 2000, p. 129 e ss. e spec. p. 131 e ss.; G.ZICCARDI CAPALDO, I rapporti tra

diritto interno e diritto internazionale: i cocci della Commissione bicamerale e le prospettive di riforma, ivi, p. 159 e ss. e spec. p. 160 e ss.) — le vicende della Commissione parlamentare per le

riforme costituzionali, istituita, nella XIII legislatura, con legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1,   e   presieduta   da   M.   D’Alema,   che   costituisce   l’immediato   antecedente   della   riforma   poi   completata nel 2001. Il relativo progetto definitivo, trasmesso al Parlamento il 4 novembre 1997, prevedeva,   per   quanto   riguarda   l’ordinamento   comunitario,   l’introduzione,   nella   Costituzione   italiana, di un nuovo titolo VI (artt. 114-116)  dedicato  alla  ‹‹Partecipazione  dell’Italia  all’Unione   Europea››.   Tale   progetto   definitivo,   peraltro,   escludeva   quella   disposizione   (art.   B),   proposta   nell’articolato  presentato  dal  relatore  ad hoc D’Amico,  che puntava  a  dare  un’esplicita  copertura   costituzionale   al  principio  dell’effetto  diretto  e   del   primato  del   diritto  comunitario.  Quest’ultima   disposizione, infatti, risultò soppressa già nel primo progetto di legge costituzionale del 30 giugno 1997. Comunque,   com’è   noto,   l’intero   progetto   di   riforma   costituzionale   predisposto   dalla   Commissione bicamerale della XIII legislatura è rimasto allo stadio, appunto, di progetto. In argomento e per ulteriori riferimenti, cfr. C. CURTI GIALDINO, Unione europea e trattati

internazionali nelle riforme costituzionali della Bicamerale, Milano, Giuffrè, 1998, p. 23 e ss.; ID.,

Il   progetto   di   revisione   costituzionale   sui   temi   attinenti   all’Unione   Europea   nei   lavori   della  

Bicamerale, in Riforme costituzionali, cit., p. 27 e ss.; R.MICCÙ, La   partecipazione   dell’Italia  

all’Unione  europea  (artt.  114,  115  e  116), in Atripaldi V., Bifulco R. (a cura di), La Commissione parlamentare per le riforme costituzionali della XIII legislatura, Torino, Giappichelli, 1998, p.

697 e ss.. Si vedano, infine, i vari testi preparatori, il progetto di legge costituzionale approvato il 30 giugno 1997 e quello - risultante dalle decisioni della Commissione sugli emendamenti - trasmesso al Parlamento il 4 novembre 1997, tutti consultabili on line sul sito istituzionale della Camera  dei  deputati  al  seguente  indirizzo  ‹‹www.camera.it››.

354 Cfr.   art.   120   della   Costituzione,   ai   sensi   del   quale:   “1. La Regione non può istituire

dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare  l’esercizio  del  diritto  al  lavoro  in  qualunque  parte  del  territorio  nazionale.  2.  Il  Governo   può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di  pericolo  grave  per  l’incolumità  e  la  sicurezza  pubblica,  ovvero  quando  lo  richiedono  la  tutela   dell’unità   giuridica   o   dell’unità   economica   e   in   particolare   la   tutela   dei   livelli   essenziali   delle   prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.  In  dottrina,  si  rinvia,  

ex multis, a F.BELLETTI,Commento  all’art.  5  della  Costituzione, in Bartole S., Bin R. (a cura di),

Commentario breve alla Costituzione, Padova, Cedam, 2008, pp. 1089-1098, nonché alla

bibliografia ed alla giurisprudenza ivi richiamata.

355 Pubblicata   in   GU   10   giugno   2003,   n.   132.   La   promulgazione   dell’indicata   legge   di  

Capitolo IV - La  partecipazione  dell’Italia  all’Unione  europea:  dalla  ‹‹legge  fabbri››  alla legge n. 11 del 2005

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Delineato, in tal modo, il quadro normativo di riferimento356, si procederà

con   l’esame   degli   strumenti   e   delle   modalità   di   partecipazione   del   Parlamento   italiano   al   processo   normativo   dell’Unione europea357, considerando la relativa disciplina legislativa contenuta essenzialmente nella legge n. 11 del 2005 nonché le sue possibili prospettive di riforma per passare nel prosieguo – e, segnatamente, nel

Capitolo Quinto di questa parte - all’analisi   delle previsioni contenute nei

regolamenti parlamentari e delle prassi invalse nei lavori delle Camere.

Prima di fare ciò, è possibile però, sin da ora, evidenziare, sulla base delle brevi considerazioni sopra svolte, quelle che sono le caratteristiche principali del modello italiano di scrutinio parlamentare e che ci consentono di qualificarlo come di   tipo   ‹‹preventivo››,   perché   focalizzato,   essenzialmente,   sulla   fase   iniziale   delle   procedure di carattere legislativo358.   L’intensità   del   controllo   del   Parlamento

affari costituzionali del Senato della Repubblica, avviata il 17 ottobre 2001 e conclusasi il 26 giugno 2002. I relativi lavori si possono reperire on line sul sito istituzionale del Senato al seguente indirizzo   ‹‹www.senato.it››.   In   dottrina,   per   più   ampie   considerazioni,   si   vedano,   in   particolare, G.FALCON (a cura di), Stato, regioni ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n. 131,

Bologna, Il Mulino, 2003; AA.VV., Legge   “La   Loggia”, Rimini, Maggioli, 2003; e, infine, P.

CAVALERI, E. LAMARQUE (a cura di), L’attuazione   del   nuovo   Titolo   V,   Parte   seconda,   della  

Costituzione, Torino, Giappichelli, 2004.

356 Cfr., segnatamente, parr. da 2 a 6 di questo capitolo.

357 Ciò sebbene non si escluda che anche strumenti quali la legge comunitaria annuale, per

quanto  afferenti  alla  fase  discendente,  rappresentino  comunque  un  «banco  di  prova››  per  misurare  i   rapporti di forza tra Legislativo ed Esecutivo. Così, A.DONÀ, L’europeizzazione   del   sistema   di  

governo: il caso della legge comunitaria, in FabbriniS.(a cura di),L’europeizzazione  dell’Italia:  

l’impatto  dell’Unione  europea  sulle  istituzioni  e  le  politiche  italiane, Bari, Laterza, 2003, pp. 34-

54, spec. p. 39. Peraltro, deve ricordarsi che la distinzione tra fase ascendente (quale momento di formazione della decisione europea per confluenza delle posizioni nazionali) e fase discendente (ovvero di esecuzione-attuazione da un punto di vista meramente interno del diritto europeo) è prevalentemente italiana, essendo assai poco utilizzata da parte della dottrina straniera. Il motivo discende dal fatto che negli altri Stati membri da sempre si considerano strettamente connessi il momento di assunzione della decisione con quello della sua attuazione, valutando il primo come strumentale alla buona riuscita del secondo: si tratta di un continuum che mal si concilia con l’esistenza  di  rigide  distinzioni.  Così  C.FASONE, Gli effetti del Trattato di Lisbona sulla funzione

di controllo parlamentare, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2011, pp. 353-391,

spec. pp. 355-356,  la  quale  aggiunge,  altresì,  in  proposito:  “Non  è  da  escludere  (…)  che  l’esistenza  

di una forma mentis alquanto diffusa in Italia, che tende a dissociare le due fasi investendo tutte le energie su quella discendente, sia da annoverare tra le cause delle note difficoltà nazionali a dare attuazione nei tempi e con le modalità richiesti al diritto europeo”.

358 Cfr. M.CARTABIA, I   parlamenti   nazionali   nell’architettura   costituzionale   europea:  

che cosa resta in caso di mancata ratifica?, in L’integrazione  dei  sistemi  costituzionali  europeo  e   nazionali: atti del XX Convegno annuale, cit., p. 118 e ss..

Parte II - La  partecipazione  del  Parlamento  italiano  al  procedimento  legislativo  dell’Unione  europea   nell’evoluzione  della  normativa  e  della  prassi  interna

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assume,  peraltro,  la  forma  dell’indirizzo  politico  e  non,  invece,  quella  più  stringente   del  mandato  a  negoziare,  di  cui  l’esperienza  danese  è  la  massima  espressione359.

2. I riferimenti costituzionali

É noto che, per lungo tempo, la legge fondamentale della Repubblica non contenesse una  norma  specifica  concernente  l’ancoraggio  costituzionale  dell’Italia alle Comunità europee e che la giurisprudenza abbia individuato la relativa

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