- 137 - CAPITOLO QUARTO
LA PARTECIPAZIONE DELL
’
ITALIA ALL’
UNIONE EUROPEA:
DALLA‹‹
LEGGE FABBRI››
ALLA LEGGE N.11
DEL2005
Sommario: 1. Considerazioni introduttive. - Sezione Prima: Il quadro normativo di riferimento. - 2. I riferimenti costituzionali. – 3. La prima fase del rapporto tra Stato italiano e ordinamento comunitario: dall’inizio fino all’entrata in vigore dell’Atto unico europeo. – 4. La seconda fase dei rapporti tra Stato italiano e ordinamento comunitario. La ‹‹legge Fabbri›› e la creazione del Dipartimento per le politiche comunitarie. – 5. La legge n. 86 del 1989 e l’avvio della terza fase. – 6. L’ultima fase di sviluppo: la legge n. 11 del 2005. – Sezione Seconda: La fase ascendente da un punto di vista dinamico. Le interazioni fra gli attori istituzionali. – 7. Gli obblighi di informazione. – 7.1. Gli organi coinvolti nell’attività di informazione tra Governo e Parlamento. – 8. Le osservazioni ed i poteri di indirizzo del Parlamento. – 9. La riserva di esame parlamentare. – 9.1. La riserva parlamentare ed il mandato di arresto europeo. – 10. La partecipazione alla fase ascendente delle Regioni e degli enti locali: brevi cenni. - Sezione Terza: Prospettive di riforma. – 11. I progetti di legge di modifica della legge n. 11 del 2005.
1. Considerazioni introduttive
La disamina appena svolta dei meccanismi operanti a livello europeo evidenzia l’esistenza di un quadro di riferimento entro cui possono inserirsi misure elaborate a livello nazionale, sia nella legislazione (ordinaria e/o costituzionale) che nei regolamenti parlamentari: non vi è dubbio che, se ancora dei miglioramenti
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sono possibili, il diritto dell’Unione europea offre agli ordinamenti nazionali un contesto entro il quale collocare quelle soluzioni tecniche che appaiono maggiormente consone con la struttura costituzionale di riferimento. Occorre, ora, verificare come l’ordinamento italiano abbia fatto uso di tale margine di manovra al fine di predisporre gli strumenti necessari a creare un migliore raccordo, nella fase ascendente, tra il Governo, da una parte, ed il Parlamento, dall’altra.
In tale prospettiva, nelle pagine che seguono, si richiamerà, in primo luogo, la situazione precedente l’adozione della legge n. 11 del 2005. Vale la pena ricordare già in questa sede che, per un lungo periodo, la questione è stata rimessa esclusivamente all’autonomia regolamentare delle Camere343. Solo dopo circa
trent’anni di esperienza comunitaria il legislatore italiano si è risolto ad adottare misure finalizzate a creare un raccordo tra il Governo ed il Parlamento nella fase ascendente, dai contenuti alquanto blandi: l’articolo 9 della legge n. 183 del 1987, la cosiddetta ‹‹legge Fabbri››344, obbligava il Governo a comunicare alle Camere ed
alle Regioni i progetti di regolamenti, raccomandazioni (da intendersi quelle emanate dalle istituzioni della CECA345) e direttive, senza peraltro che venisse
specificato un termine per tale adempimento e senza che fosse definito il ruolo che una posizione assunta dalle competenti commissioni parlamentari o dalle Assemblee potesse svolgere nei confronti del Governo (al riguardo, si parlava, infatti, di semplici ‹‹osservazioni››).
343 Per una trattazione delle soluzioni adottate e delle problematiche irrisolte dal punto di
vista dell’esigenza del recupero delle funzioni di compartecipazione e controllo parlamentare, si vedano le puntuali osservazioni di G.GAJA, Per un controllo parlamentare dell’attività normativa
delle Comunità europee, in Politica del diritto, 1973, p. 111 e ss.; ID., Proposta di riforma della
Giunta per gli affari europei del Senato, in Rivista di diritto internazionale (RDI), 1977, p. 398 e
ss.; A.M.CALAMIA,C.MORVIDUCCI, Istituzione di un Ministero per gli affari comunitari?, ivi, p.
822 e ss.; C. MORVIDUCCI, Il Parlamento italiano e le Comunità europee, Milano, Giuffrè, 1979,
spec. p. 137 e ss.; ID., La politica comunitaria e il ruolo svolto dalle Commissioni Affari Esteri e
dalla Giunta per gli Affari delle Comunità europee, in Cassese A. (a cura di), Parlamento e
politica estera, Padova, Cedam, 1982, p. 129 e ss.; N.RONZITTI, Elezione a suffragio universale
del Parlamento europeo e controllo democratico del processo di integrazione europea, in Centro
Nazione di Prevenzione e Difesa Sociale (a cura di), Parlamento europeo, forze politiche e diritti
dei cittadini, Milano, Franco Angeli, 1979, p. 29 e ss., spec. p. 54 e ss..
344 Tale disposizione verrà abrogata dalla legge n. 128 del 1998, c.d. ‹‹Legge comunitaria
1995-1997››, su cui infra in nota.
345 Per tale conclusione nonché per una critica alla genericità del dettato normativo, cfr.
A.TIZZANO, Sull’attuazione della normativa comunitaria in Italia: la legge 183/87, in FI, 1988, I,
Capitolo IV - La partecipazione dell’Italia all’Unione europea: dalla ‹‹legge fabbri›› alla legge n. 11 del 2005
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Successivamente, la legge n. 400 del 1988 impose al Presidente del Consiglio di fornire alle Camere una tempestiva comunicazione circa i procedimenti normativi in corso nelle Comunità europee e sulle iniziative e posizioni assunte dal Governo nelle specifiche materie346: la logica era quella del
resoconto, non certamente quella della ricerca di un’intesa con il Parlamento circa le posizioni da assumere a livello europeo.
Vedremo, poi, che la legge n. 86 del 1989, nota ai più come legge La Pergola, cercò di affrontare il problema con maggiori pretese di sistematicità, ma deluse quanto ad efficacia degli strumenti di raccordo così introdotti. Relativamente ai rapporti con il Parlamento, si stabiliva inoltre che il Governo presentasse alle Camere una relazione semestrale sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario, in cui fossero esposti i principi e le linee caratterizzanti della politica italiana nei lavori preparatori all’emanazione degli atti normativi comunitari ed, in particolare, gli indirizzi del Governo su ciascuna politica comunitaria, sui gruppi di atti normativi riguardanti la stessa materia e su singoli atti normativi che rivestono rilievo di politica generale. Nella prassi, detta relazione è stata presentata senza la dovuta regolarità e per lo più con notevole ritardo, cosicché si è ridotta spesso ad un mero consuntivo, inidoneo a fornire la base per un dibattito volto all’orientamento dell’attività governativa.
Maggiormente attente (per lo meno sulla carta) si sono dimostrate le Assemblee parlamentari, dal momento che nello stesso periodo in cui fu approvata la legge La Pergola, il Senato (nel 1988) e la Camera dei deputati (nel 1990) modificarono i propri regolamenti, con l’evidente intenzione di rafforzare il ruolo del Parlamento nella fase preparatoria degli atti comunitari e nella fase della loro esecuzione nell’ordinamento interno347. Gli articoli 142 e 144 del regolamento del
Senato e gli articoli 126 bis e 127 del regolamento della Camera, cosi come novellati, riconoscevano alle commissioni permanenti e, rispettivamente, alla Giunta per gli affari delle Comunità europee e alla Commissione per le politiche comunitarie348 la facoltà di approvare atti di indirizzo destinati al Governo in
346 Cfr. art. 5, co. 3, lett. a), legge 23 agosto 1988, n. 400, recante la ‹‹Disciplina dell’attività di
Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri››, in GU 12 settembre 1988, n. 214.
347 Cfr. V. LIPPOLIS, Il Parlamento nazional-comunitario, in Quaderni costituzionali,
1991, p. 319 e ss., spec. p. 331 e ss..
348 Il regolamento della Camera è stato ulteriormente modificato nel 1996, al fine di
Parte II - La partecipazione del Parlamento italiano al procedimento legislativo dell’Unione europea nell’evoluzione della normativa e della prassi interna
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relazione alla discussione di progetti di atti comunitari o, più in generale, all’assunzione di iniziative sul piano comunitario.
A fronte di questa cornice normativa, si ebbero nel 1998 due distinti interventi legislativi, a breve distanza l’uno dall’altro, entrambi finalizzati a rafforzare il ruolo del Parlamento nella fase ascendente, senza tuttavia il necessario coordinamento349. Degna di nota è pure la legge comunitaria per il 2000 (legge n. 422/2000350) che abroga le due disposizioni ora ricordate ed inserisce nella legge La Pergola una disciplina unitaria in merito al ruolo del Parlamento e delle Regioni nella fase ascendente351.
Come si dirà, l’ultimo passaggio rilevante che precede la legge n. 11/2005 è rappresentato dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. La legge
Commissione permanente (la XIV). Nel 2003, la Giunta del Senato è stata trasformata nella 14ª Commissione permanente sulle Politiche dell’Unione europea (si vedano gli artt. 22-23 regolamento Senato).
349 Il riferimento è, in primo luogo, all’art. 14 della legge 24 aprile 1998, n. 128,
pubblicata in GU 7 maggio 1998, n. 104, suppl. ord., il cui co. 1 disponeva “i progetti degli atti
normativi e di indirizzo di competenza degli organi dell’Unione europea o delle Comunità europee, nonché gli atti preordinati alla formulazione degli stessi, e le loro modificazioni, sono comunicati, contestualmente alla loro ricezione, alle Camere per l’assegnazione alle Commissioni parlamentari competenti (...), indicando la data presunta per la loro discussione o adozione da parte degli organi predetti”. Quanto al ruolo riconosciuto alle Camere in seguito alla
comunicazione dei documenti sopra menzionati, il co. 2 dell’art. 14 prevede che le Camere si vedono espressamente attribuita la facoltà di adottare atti di indirizzo nei confronti del Governo. Preme ricordare che non si tratta di una novità assoluta, atteso che i regolamenti parlamentari, come sopra evidenziato, già riconoscevano la facoltà di approvare atti di indirizzo destinati al Governo in relazione alla discussione di progetti di atti comunitari. Rileva, poi, la legge 16 giugno 1998, n. 209, pubblicata in GU 6 luglio 1998, n. 155, suppl. ord., di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione del Trattato di Amsterdam, la quale contiene una disposizione di adattamento ordinario (art. 3) che richiede al Governo di assicurare che siano messi a disposizione delle Camere tutti i documenti di consultazione redatti dalla Commissione, le proposte legislative da questa presentate e le proposte relative alle misure da adottare ai sensi del Titolo VI del Trattato UE. La norma aggiunge che le Camere possono formulare osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo “nei termini previsti dalle norme comunitarie”. Perplessità circa l’idoneità della successione di interventi normativi ora ricordati sono espresse da R. ADAM, Il ruolo
dell’Italia nei negoziati relativi all’elaborazione delle convenzioni e degli atti comunitari di
armonizzazione, in AA.VV., L’ordinamento italiano dopo 50 anni di integrazione europea, Atti del
Convegno di Studi di Alghero del 5-6 ottobre 2001, Torino, Giappichelli, 2004, p. 47 e ss. ed, in particolare, p. 60.
350 Legge 29 dicembre 2000, n. 422, in GU 20 gennaio 2001, n. 16, suppl. ord.. 351 Cfr. art. 6 della Legge comunitaria per il 2000.
Capitolo IV - La partecipazione dell’Italia all’Unione europea: dalla ‹‹legge fabbri›› alla legge n. 11 del 2005
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costituzionale n. 3 del 2001352, infatti, ha introdotto nella nostra Carta costituzionale
degli espliciti riferimenti all’Unione europea e al diritto comunitario – segnatamente, agli articoli 117353 e 120354 della Costituzione – favorendo la
352 Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante ‹‹Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione››, pubblicata in GU 24 ottobre 2001, n. 248.
353 Con riferimento all’art. 117 della Costituzione si segnalano, in particolare, i commi 1,
2, 3, 5 e 9. In dottrina, sulla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione si rinvia, senza alcuna pretesa di esaustività, a G.BERTI, G.C.DE MARTIN (a cura di), Le autonomie territoriali:
dalla riforma amministrativa alla riforma costituzionale, Milano, Giuffrè, 2001; A.FERRARA (a
cura di), Verso una fase costituente delle Regioni?, Milano, Giuffrè, 2001; A.D’ATENA, L’Italia
verso il federalismo: taccuini di viaggio, Milano, Giuffrè, 2001;ID., Le Regioni dopo il big bang.
Il viaggio continua, Milano, Giuffrè, 2005; M.OLIVETTI, Nuovi Statuti e forma di governo delle
Regioni, Bologna, Il Mulino, 2002; B.CARAVITA, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V,
Torino, Giappichelli, 2002; V.ANGIOLINI,L.VIOLINI,N.ZANON (a cura di), Le trasformazioni
dello Stato regionale italiano, Milano, Giuffrè, 2002; S. MANGIAMELI, La riforma del
regionalismo italiano, Torino, Giappichelli, 2002; T. GROPPI, M. OLIVETTI (a cura di), La
Repubblica delle autonomie ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, Giappichelli, 2001; S.
GAMBINO, Il ‘nuovo’ ordinamento regionale, Milano, Giuffrè, 2003; A. ANZON,I poteri delle Regioni dopo la riforma costituzionale, Torino, Giappichelli, 2004; nonché, con specifico
riferimento all’art. 117, co. 1, Cost., A.G.SERGES, Art. 117, comma primo, in Bifulco R., Celotto
A., Olivetti M. (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, Torino, Utet, 2006, p. 2213 e ss., R. CALVANO, La Corte costituzionale «fa i conti» per la prima volta con il nuovo art. 117 comma 1
Cost. Una svista o una svolta monista della giurisprudenza costituzionale sulle «questioni
comunitarie»?, in Giurisprudenza costituzionale, 2005, n. 6, p. 4417 e ss.; A. GUAZZAROTTI,
Niente di nuovo sul fronte comunitario? La Cassazione in esplorazione del nuovo art. 117, comma
1, Cost., ivi, 2003, p. 467 e ss., E.GHERA, I vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali nei confronti della potestà legislative dello Stato e delle Regioni, in
Modugno F., Carnevale P. (a cura di), Trasformazioni della funzione legislative, Milano, Giuffrè, 2003, p. 47 e ss.; F.SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto interno e
diritto internazionale e comunitario, in DPCE, 2002, n. 3, p. 1355 e ss.; L.TORCHIA, I vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni,
2001, n. 6, p. 1203 e ss.; C.PINELLI, I limiti generali alle potestà legislative statale e regionale e i
rapporti con l’ordinamento internazionale e con l’ordinamento comunitario, in FI, 2001, fasc. V,
col. 194 e ss..
Sull’assenza di una riforma costituzionale che consideri in maniera organica la partecipazione dell’Italia al processo di integrazione comunitaria, si vedano le osservazioni di P. BILANCIA, Regioni ed attuazione del diritto comunitario, in Le istituzioni del federalismo, 2002, n.
1, p. 52, e T.GROPPI, Regioni, Unione europea, obblighi internazionali, in Groppi T., Olivetti M.
(a cura di), La Repubblica delle autonomie, Torino, Giappichelli, 2001, p. 155. Non sono mancate, d’altro canto, proposte di revisione costituzionale che ipotizzavano al riguardo una più incisiva riforma della Costituzione. È opportuno, infatti, ricordare a tal proposito - e senza soffermarci sui tentativi più remoti di riforma costituzionale (tra i quali devono essere, in particolare, ricordati i lavori delle Commissioni bicamerali Bozzi della IX legislatura e De Mita-Iotti dell’XI legislatura con i relativi dibattiti parlamentari; vedi in argomento e per opportuni riferimentiU.ALLEGRETTI,
P. CARETTI, Riforma costituzionale, globalizzazione, “treaty-making power” e partecipazione
Parte II - La partecipazione del Parlamento italiano al procedimento legislativo dell’Unione europea nell’evoluzione della normativa e della prassi interna
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successiva modifica delle procedure e degli strumenti di partecipazione dell’Italia al processo comunitario, attuata con le leggi n. 131 del 2003, cosiddetta ‹‹legge La Loggia››355, e n. 11 del 2005.
norme in materia internazionale nella Costituzione italiana, in Riforme costituzionali. Prospettiva europea e prospettiva internazionale, IV Convegno SIDI, Salerno, 29-30 aprile 1999, Napoli,
Editoriale Scientifica, 2000, p. 129 e ss. e spec. p. 131 e ss.; G.ZICCARDI CAPALDO, I rapporti tra
diritto interno e diritto internazionale: i cocci della Commissione bicamerale e le prospettive di riforma, ivi, p. 159 e ss. e spec. p. 160 e ss.) — le vicende della Commissione parlamentare per le
riforme costituzionali, istituita, nella XIII legislatura, con legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1, e presieduta da M. D’Alema, che costituisce l’immediato antecedente della riforma poi completata nel 2001. Il relativo progetto definitivo, trasmesso al Parlamento il 4 novembre 1997, prevedeva, per quanto riguarda l’ordinamento comunitario, l’introduzione, nella Costituzione italiana, di un nuovo titolo VI (artt. 114-116) dedicato alla ‹‹Partecipazione dell’Italia all’Unione Europea››. Tale progetto definitivo, peraltro, escludeva quella disposizione (art. B), proposta nell’articolato presentato dal relatore ad hoc D’Amico, che puntava a dare un’esplicita copertura costituzionale al principio dell’effetto diretto e del primato del diritto comunitario. Quest’ultima disposizione, infatti, risultò soppressa già nel primo progetto di legge costituzionale del 30 giugno 1997. Comunque, com’è noto, l’intero progetto di riforma costituzionale predisposto dalla Commissione bicamerale della XIII legislatura è rimasto allo stadio, appunto, di progetto. In argomento e per ulteriori riferimenti, cfr. C. CURTI GIALDINO, Unione europea e trattati
internazionali nelle riforme costituzionali della Bicamerale, Milano, Giuffrè, 1998, p. 23 e ss.; ID.,
Il progetto di revisione costituzionale sui temi attinenti all’Unione Europea nei lavori della
Bicamerale, in Riforme costituzionali, cit., p. 27 e ss.; R.MICCÙ, La partecipazione dell’Italia
all’Unione europea (artt. 114, 115 e 116), in Atripaldi V., Bifulco R. (a cura di), La Commissione parlamentare per le riforme costituzionali della XIII legislatura, Torino, Giappichelli, 1998, p.
697 e ss.. Si vedano, infine, i vari testi preparatori, il progetto di legge costituzionale approvato il 30 giugno 1997 e quello - risultante dalle decisioni della Commissione sugli emendamenti - trasmesso al Parlamento il 4 novembre 1997, tutti consultabili on line sul sito istituzionale della Camera dei deputati al seguente indirizzo ‹‹www.camera.it››.
354 Cfr. art. 120 della Costituzione, ai sensi del quale: “1. La Regione non può istituire
dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale. 2. Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”. In dottrina, si rinvia,
ex multis, a F.BELLETTI,Commento all’art. 5 della Costituzione, in Bartole S., Bin R. (a cura di),
Commentario breve alla Costituzione, Padova, Cedam, 2008, pp. 1089-1098, nonché alla
bibliografia ed alla giurisprudenza ivi richiamata.
355 Pubblicata in GU 10 giugno 2003, n. 132. La promulgazione dell’indicata legge di
Capitolo IV - La partecipazione dell’Italia all’Unione europea: dalla ‹‹legge fabbri›› alla legge n. 11 del 2005
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Delineato, in tal modo, il quadro normativo di riferimento356, si procederà
con l’esame degli strumenti e delle modalità di partecipazione del Parlamento italiano al processo normativo dell’Unione europea357, considerando la relativa disciplina legislativa contenuta essenzialmente nella legge n. 11 del 2005 nonché le sue possibili prospettive di riforma per passare nel prosieguo – e, segnatamente, nel
Capitolo Quinto di questa parte - all’analisi delle previsioni contenute nei
regolamenti parlamentari e delle prassi invalse nei lavori delle Camere.
Prima di fare ciò, è possibile però, sin da ora, evidenziare, sulla base delle brevi considerazioni sopra svolte, quelle che sono le caratteristiche principali del modello italiano di scrutinio parlamentare e che ci consentono di qualificarlo come di tipo ‹‹preventivo››, perché focalizzato, essenzialmente, sulla fase iniziale delle procedure di carattere legislativo358. L’intensità del controllo del Parlamento
affari costituzionali del Senato della Repubblica, avviata il 17 ottobre 2001 e conclusasi il 26 giugno 2002. I relativi lavori si possono reperire on line sul sito istituzionale del Senato al seguente indirizzo ‹‹www.senato.it››. In dottrina, per più ampie considerazioni, si vedano, in particolare, G.FALCON (a cura di), Stato, regioni ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n. 131,
Bologna, Il Mulino, 2003; AA.VV., Legge “La Loggia”, Rimini, Maggioli, 2003; e, infine, P.
CAVALERI, E. LAMARQUE (a cura di), L’attuazione del nuovo Titolo V, Parte seconda, della
Costituzione, Torino, Giappichelli, 2004.
356 Cfr., segnatamente, parr. da 2 a 6 di questo capitolo.
357 Ciò sebbene non si escluda che anche strumenti quali la legge comunitaria annuale, per
quanto afferenti alla fase discendente, rappresentino comunque un «banco di prova›› per misurare i rapporti di forza tra Legislativo ed Esecutivo. Così, A.DONÀ, L’europeizzazione del sistema di
governo: il caso della legge comunitaria, in FabbriniS.(a cura di),L’europeizzazione dell’Italia:
l’impatto dell’Unione europea sulle istituzioni e le politiche italiane, Bari, Laterza, 2003, pp. 34-
54, spec. p. 39. Peraltro, deve ricordarsi che la distinzione tra fase ascendente (quale momento di formazione della decisione europea per confluenza delle posizioni nazionali) e fase discendente (ovvero di esecuzione-attuazione da un punto di vista meramente interno del diritto europeo) è prevalentemente italiana, essendo assai poco utilizzata da parte della dottrina straniera. Il motivo discende dal fatto che negli altri Stati membri da sempre si considerano strettamente connessi il momento di assunzione della decisione con quello della sua attuazione, valutando il primo come strumentale alla buona riuscita del secondo: si tratta di un continuum che mal si concilia con l’esistenza di rigide distinzioni. Così C.FASONE, Gli effetti del Trattato di Lisbona sulla funzione
di controllo parlamentare, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2011, pp. 353-391,
spec. pp. 355-356, la quale aggiunge, altresì, in proposito: “Non è da escludere (…) che l’esistenza
di una forma mentis alquanto diffusa in Italia, che tende a dissociare le due fasi investendo tutte le energie su quella discendente, sia da annoverare tra le cause delle note difficoltà nazionali a dare attuazione nei tempi e con le modalità richiesti al diritto europeo”.
358 Cfr. M.CARTABIA, I parlamenti nazionali nell’architettura costituzionale europea:
che cosa resta in caso di mancata ratifica?, in L’integrazione dei sistemi costituzionali europeo e nazionali: atti del XX Convegno annuale, cit., p. 118 e ss..
Parte II - La partecipazione del Parlamento italiano al procedimento legislativo dell’Unione europea nell’evoluzione della normativa e della prassi interna
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assume, peraltro, la forma dell’indirizzo politico e non, invece, quella più stringente del mandato a negoziare, di cui l’esperienza danese è la massima espressione359.
2. I riferimenti costituzionali
É noto che, per lungo tempo, la legge fondamentale della Repubblica non contenesse una norma specifica concernente l’ancoraggio costituzionale dell’Italia alle Comunità europee e che la giurisprudenza abbia individuato la relativa