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Pre-costituzionalismo romano: Constitutio e Aequabilitas

1.3 L’evoluzione storica del pre-costituzionalismo

1.3.1 Pre-costituzionalismo antico: tra Politeia e Constitutio

1.3.1.2 Pre-costituzionalismo romano: Constitutio e Aequabilitas

Il costituzionalismo pre-romano ha sviluppato le proprie idee soprattutto durante la fase riconducibile alla "Repubblica", presentate al mondo specialmente grazie ai pensieri analitici di Cicerone, che costituisce una pietra miliare per il pre- costituzionalismo e il costituzionalismo stesso126.

I documenti di questo periodo, in particolare quelli della fase finale della Repubblica Romana, rendono conto della costruzione, per la prima volta nella storia politica del genere umano, di un nuovo sistema politico di pesi e contrappesi stabilito all'interno della struttura stessa dello Stato, che ha portato ad un pensiero che si rivelerà rilevante per il costituzionalismo della modernità.

Peraltro, con le riflessioni di Cicerone si è sviluppata una concezione politica che non solo non era più legata alla mera "disciplina del potere", trattata esemplarmente in Polibio127, ma si basava anche sui risultati di "disciplina sociale", con un reale recupero del concetto di virtù civica, anche se aventi caratteristiche distinte da Aristotele128.

Difatti, la storia politica della Roma repubblicana rivelata da Cicerone si fonda su un momento posteriore alla caduta dell'illusione romana di formare una società giusta ed equilibrata attraverso la compenetrazione di forze generata dalla semplice "disciplina del potere”, dal momento che l’imposizione di questa forma di governo non risolveva, da sola, le questioni etiche e valutative di quella società, che era a rischio di processi degenerativi causati dalle proprie mancanze.

In questa maniera, Cicerone si rivolge agli ideali greci di esigenza di conciliazione pacifica per poter al fine di aggirare i problemi incontrati con gli eccessi

126 Le idee di questo movimento romano si ritrovano esaltate e argomentate in MCILWAIN C.H., cit.,

2010, p. 65 e ss., il quale, pensando alla portata che ebbero sul costituzionalismo, esclamò che: «Più rifletto sulla storia del costituzionalismo e più sono impressionato del significato e dell’importanza della costituzione repubblicana di Roma».

127 FIORAVANTI M., cit., 2013, p. 22. 128 MCILWAIN C.H., cit., 2010, p. 66.

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dell'oligarchia (patrizi) e del popolo (plebei), cercando di stabilire i principi etici necessari che andrebbero a costruire una dimensione del suo pensiero legato alla "disciplina sociale".

La Repubblica di Cicerone è, quindi, sviluppata con l'idea di dare legittimità alla gestione dell’interesse o della res (cosa) publica (pubblica) attraverso le decisioni al popolo. Questi, tuttavia, non potrebbe esercitare il suo potere solo attraverso una dimensione formale di legittimità, in cui qualsiasi deliberazione pubblica può essere ottenuta e deve essere rispettata finché sia il risultato di un processo democratico di formazione della volontà autoritaria di individui. Dovrebbe anche incontrare una forte finalità sostanziale, che riposa nell'idea di sopportare consenso duraturo sul diritto e sulla condivisione degli interessi dei singoli, rivolgendosi al concetto de "l'antica costituzione", ben sviluppato dai greci129.

Con questo, l’idea di Cicerone era di impedire che la tirannia, che per lui consisteva nella divisione del popolo romano, venisse legittimata da uno, da alcuni o da tutti i cittadini romani, in base alla forma di politica di governo.

Affinché la Repubblica fosse, dunque, preservata, era necessario concentrarsi su una forma di governo stabilita dalla constitutio130, responsabile per la concretizzazione del governo ideale, che era basato sul principio della moderazione, strutturandosi nelle idee di stabilità e di aequabilitas131, elemento quest’ultimo necessario per controllare l’estremità politiche.

Le aequabilitas sarebbero un ingrediente così fondamentale della constitutio e della Repubblica Romana poiché porterebbe tutte le persone, e tutta l'élite romana, a riflettere sulle loro virtù e sui loro valori più nobili, in modo da vivere in una

129 Sulla sua repubblica, Cicerone diceva che «è cosa del popolo, e il popolo non è qualsivoglia

agglomerato di uomini riunito in qualunque modo, ma una riunione di gente associata per accordo nell’osservare la giustizia e per la comunione di interessi». Così, CICERONE, De republica, I, XXV.

130 La constitutio originalmente significava tutto ciò che fosse, oralmente o per iscritto, stabilito e

decretato dall’imperatore, avvicinandosi più ad un atto determinato che ad un ordinamento complesso di norme. Ed è su questa riflessione, cfr. DOGLIANI M., cit., 2000, p. 111, il quale conclude che «la corrispondenza tra constituere e constitutio è effimera: si affaccia e si conclude sul finire della repubblica, essenzialmente con Cicerone: nel diritto pubblico del principato constitutio è infatti la «decisione» dell’imperatore». Tuttavia, sotto un altro punto di vista, è possibile dire che, da Cicerone in poi, la “consti altro punto ditutio” comincia ad ampliare la sua gamma di significati, naturalmente contestualizzati con la repubblica romana, assumendo il significato di ordinamento politico, nel senso più ampio. In argomento, PANI M., cit., 2010, pp. 4-5; NICOLETTI A., Constitutiones principium, in

Novissimo Digesto Italiano, diretto da A. AZARA e E. EULA, Torino, 1959, IV, p. 295/297 e MCILWAIN C.H., cit., 2010, p. 49.

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CICERONE, De re publica, I, XLV, I, XLVI, II, I. Si veda anche FIORAVANTI M., cit., 2013, p. 23, che sul punto afferma che «il concetto di aequabilitas, che nient’altro è se non la proiezione sul piano politico delle virtù della equità e della moderazione».

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comunità etica, stabile e pacifica, impedendo che la repubblica fosse distrutta dai vizi dei suoi cittadini.

Già, nella dimensione del "disciplina del potere", il sistema romano era diviso in tipi di poteri, che si controllavano tramite il comando "intra" esercitato dallo stesso potere, e del controllo "inter", che era realizzato da altri poteri, stabilendo così una forma fino ad allora innovativa di "pesi e contrappesi" tra gli stessi poteri della repubblica.

Questa separazione fu dai più evidenziata come una forte, se non la principale caratteristica del sistema politico romano, mostrando una forma più complessa di controllo del potere politico, che si realizzava in una dimensione interna alla Repubblica romana stessa, per mezzo di due note istituzioni come il Senato e l’Assemblea popolare.

Tuttavia, come affermato da alcuni132, anche se è stato un contributo innovativo per la storia politica del genere umano, è necessario comprendere che un altro aspetto molto importante venne sviluppato nel sistema politico romano, che ha generato ripercussioni anche nel costituzionalismo di oggi, e che potrebbe essere considerato come il vero grande contributo romano per la storia del rapporto tra politica e diritto. E questo contributo deve essere inizialmente identificato nella stessa composizione del processo di formulazione delle leggi romani.

Viene spesso erroneamente generalizzato il processo di formulazione delle leggi di Roma, affermando che esse fossero solo l'esteriorizzazione di una volontà personale di un governante. Tuttavia, anche ove fosse possibile sostenere questa affermazione in altri periodi della storia romana, non è ragionevole operare un raffronto con la Repubblica romana.

In questa cornice, va in primo luogo detto che tutto il potere dello stato trovava dei limiti nella lex, concetto normativo importante, che avrà un certo impatto sul futuro assetto politico dell'umanità.

Il diritto romano, in tal modo, si affermava soprattutto attraverso leggi che erano state stabilite da atti di volontà dello Stato. Tuttavia, un aspetto che deve essere chiarito è che l'autorità, per la formulazione delle leggi, a differenza di quanto da taluni inteso, deriva dalla volontà del popolo, avendo lo stesso Gaio affermato, nel secolo II, che la lex è «ciò che il popolo romano e ordina e ha stabilito».

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Così, l’intera fonte legittima dell’autorità stette in profonda relazione con la nozione di lex, che a quell’epoca manteneva un serio compromesso tra il popolo e il Senato (potestas in populo, auctoritas in senatu), istituzione responsabile della protezione della repubblica romana133.

Le leggi rappresentavano il grado massimo di obbedienza sociale, costituendo la fonte giuridica e politica per gli altri documenti normativi della Repubblica Romana, i decreti e i plebisciti, che acquisivano lo status di diritto solo quando una legge stessa li definisse tale, come nell'esempio della Lex Hortensia, che qualificò i plebisciti come leggi.

È certo che, dopo qualche tempo, a causa dell'aumento del numero di persone che formavano il popolo, il Senato romano passò ad essere consultato al posto delle persone, emettendo i suoi famosi decreti. Tuttavia, deve essere chiarito che questi decreti non avevano – almeno fino a quando una certa legge in questo senso lo dichiarasse – lo status della legge, essere considerati "convenzioni costituzionali", che però rafforzava la massima "potestas in populo, auctoritas in senatu".

Così, almeno nel piano iniziale, sembra che il potere di legiferare e definire il corso della politica nella Repubblica romana fu sempre, almeno in teoria, nelle mani del suo popolo, che, tuttavia, potrebbe deliberatamente estenderla ad un'istituzione pubblica specifica, come nel caso del Senato.

È certo, tuttavia, che ciò che è accaduto era solo un riconoscimento degli effetti della legge da qualsiasi atto compiuto da queste istituzioni, che non gli andavano a cambiare la stessa natura di semplice atto normativo sottomesso ad un controllo di legge134.

Insieme all'idea di identificare la legittimazione popolare nel processo di formulazione di leggi, l'esperienza della Repubblica romana ha prodotto un'analisi del diritto che gli ha dato una forte distinzione.

133 In proposito, si puntualizza che «al potere legislativo partecipavano tutte le componenti istituzionali

in un processo che voleva di proposito essere unitario. Dunque, per quel che riguarda le leggi comiziali, il magistrato presentava le proposte di legge; il popolo nelle assemblee le votava; il Senato fino al 339 e al 287 a.C. (secondo le assemblee: di tutto il popolo o della sola plebe) partecipava con la sua essenziale auctoritas alla procedura legislativa; dopo il 287, abolito il passaggio dalla sua

auctoritas, il Senato ugualmente restava coinvolto nella procedura, per la prassi – seguita fino alla

tarda repubblica – di una presentazione preventiva da parte del magistrato ai patres della sua proposta di legge (rogatio)» Testualmente, PANI M., cit., 2010, p. 53.

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Tuttavia, McIlwain chiarisce che dalla fine del II secolo sarebbe possibile identificare un'equivalenza normativa tra una costituzione imperiale e una legge che, però, non varrebbe per gli atti del Senato. MCILWAIN C.H., cit., 2010, pp. 68-69.

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Come sappiamo, le riflessioni dei romani hanno prodotto una classificazione specifica del diritto, distinguendo tra due principali categorie giuridiche, ius publicum e privatum ius, che hanno grandi ripercussioni sull’attuale sistema in materia di garanzie per i diritti individuali, in particolare per coloro che limitano l'interferenza del potere politico nella vita privata.

Nella dovuta dimensione condivisa all’epoca della Repubblica Romana, il diritto privato era quello che riguardava gli interessi di ogni singolo individuo nella sfera privata, mentre il diritto pubblico riguardava il diritto relazionato al diritto di tutti gli individui insieme, non essendo lo Stato, in un’ottica moderna, l'illustre titolare di diritto pubblico135.

Così, infatti, i diritti e i doveri sono stati definiti e regolamentati in leggi proprie, di diritto pubblico o privato, che hanno cercato di servire gli interessi di tutti gli individui privati - sia che fossero considerati in una dimensione unica che totale - in modo che l'equilibrio e il consenso venissero sempre stabiliti.

I principi generali enunciati in questa esperienza politica e giuridica romana erano, quindi, gli stessi nel diritto pubblico o privato, e sono stati stabiliti per garantire l'indipendenza del singolo, in una concezione privata o pubblica. Di solito erano tuttavia molto più sviluppati nella sfera privata, essendo questo il momento più rilevante nella storia del diritto alla tutela dei diritti di un individuo contro un altro individuo.

E, all'interno di questa concezione, la tutela dei diritti individuali è realizzata inizialmente dagli individui stessi, attraverso accordi privati, in un secondo momento dallo Stato stesso, in quanto i principi fondamentali del diritto romano furono costruiti durante un processo lento e di lunga durata.

E questi principi generali del diritto romano ebbero grande proiezione sulla definizione stessa di diritto nella Repubblica Romana, poiché si trovavano in stretta relazione con la nozione di diritto naturale che, secondo Cicerone, sarebbero antecedenti alle leggi dello Stato, “essendo antiche come la mente di Dio”.

In questo modo, nel processo di definizione del diritto, un'altra grande caratteristica romana ha bisogno di essere vista nelle attività dei giudici, che mantenevano l’attualità delle leggi per mezzo di giudizi di equità, a dimostrazione del

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Osservazione che si ritrova ben approfondita in MCILWAIN C.H., cit., 2010, p. 69, che crede che la distinzione tra il pubblico e il privato a Roma si ponga in termini di oggetto da proteggere e non in ragione del soggetto, come sostenuto invece dai tedeschi.

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forte patto strutturale-sistemico esistente tra il popolo e i magistrati nella definizione del giusto.

Difatti, i giudici non avevano il potere di fare una nuova legge o di abrogarne alcuna, ma, nel processo di raggiungimento del giusto, se utilizzava l’equitas per interpretare il significato derivante dai comandi legislativi, adeguando i significati del diritto romano per mezzo di leggi naturali e dei costumi, ciò che era impensabile nel paradigma precedente greco. Questo processo interpretativo ha consentito la realizzazione della civitas romana, basata sul giusto equilibrio di diritti, doveri e prerogative.

Pertanto, in sintesi, il pre-costituzionalismo viene sperimentato nella repubblica romana, in particolare captato dal pensiero di Cicerone che costruì un sistema di controllo politico per limitare i poteri conciliando la "disciplina sociale" e la "disciplina del potere" in un rapporto di maggiore complessità sistemica.

La constitutio, o costituzione romana, era la rappresentazione ideologica delle riflessioni sul necessario equilibrio sociale e si basava, principalmente, sulle aequabilitas, rafforzando l’impegno etico e morale dei cittadini romani a costruire una società più giusta e pacifica.

Leggi romane erano diretta emanazione del potere del popolo, che rappresentava l'espressione del controllo reciproco fra le pubbliche istituzioni136. Esse si fondavano su principi generali che erano gli stessi per entrambe le categorie di diritti creati dai Romani, che erano il diritto pubblico e diritto privato.

Nella definizione di diritto, come già ricordato, l'attività dei giudici è stata molto importante in quanto contribuivano a far emergere, attraverso giudizi di equità, il vero senso della legge, in cerca di fonte anche nelle leggi naturali risaltate da Cicerone.

Così, anche senza la nozione corrente di "sovranità" o di "potere costituente", i romani hanno vissuto un momento costituzionale in cui il potere e la tirannia vennero ideologicamente contrastati dalla nozione di controllo e limiti imposti ai governanti.

Il governo delle leggi possedeva un significato piuttosto concreto per i Romani, cosicché hanno visto il sistema di pesi e contrappesi essere meglio sviluppato dalle stesse istituzioni pubbliche romane.

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Sul punto, viene precisato che l'equilibrio delle forze in Roma non si sviluppa nello stesso senso moderno di divisione dei poteri, visto che ancora possiede un asse unitario che, tuttavia, è il risultato di una co-partecipazione equilibrata di istituzioni. Così, PANI M., cit., 2010, p. 58.

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Nonostante l'assenza di una costituzione scritta e rigida, la sistematizzazione giuridica della repubblica romana è stata fondata da procedure democratiche, che si sottomettevano, tuttavia, al pensiero dell'esistenza di leggi naturali preesistenti, espressione della "costituzione dei padri".

Le attività di controllo del potere politico non conferivano ai giudici il potere di dichiarare l'incostituzionalità di una legge. Veniva però permesso, e anche previsto, che i giudici, in base al pensiero del diritto naturale e delle sentenze di equità, potessero esercitare un controllo interpretativo dei un significati delle leggi, aggiornando i precetti normativi sugli col tempo137.

Durante questo processo, i diritti individuali138 dei cittadini romani furono tutelati come mai prima nella storia umana, affermandosi attraverso costrutti politici e giuridici che hanno riconosciuto la forte autonomia di ogni individuo, tanto per la definizione dei loro diritti quanto per quella dei loro doveri.

1.3.1.3 Pre-Costituzionalismo medievale: Potestas Temperata

Il Medioevo è un momento molto particolare nella storia del genere umano. È durato circa 1.000 anni, a partire all’incirca dalla la caduta dell'Impero Romano (sec. V) e terminato nel secolo XV, quando ebbe inizio la formazione degli Stati moderni139.

Attualmente, l'età media è generalmente vista come un momento di grande vuoto e buio, che ha generato poco, o nessuna, evoluzione politica, economica e sociale140. A ben vedere, in realtà, oltre questa osservazione, di solito è condivisa da gran parte degli studiosi, è possibile verificare la nascita di un grande pratica politica,

137 In merito allo sviluppo costituzionale di Roma, si veda PANI M., cit., 2010, p. 58, il quale sostiene

che «la carica costituzionalista dell’idea pare notevolmente accresciuta, in quanto la costituzione mista qui è vista direttamente indirizzata alla tutela dei diritti (partecipazione, libertà, equità di fronte alla legge), pur in una gerarchia di rango, rispondendo a un’istanza superiore che viene dalla natura e alla quale le leggi stesse, vedremo, dovranno essere conformate».

138 Sebbene le strutture sistematico-normative non siano equivalenti tra la repubblica romana e la

modernità, e anche se si denotano le differenze tra i contenuti semantici dei diritti individuali tra queste due realtà, sarebbe erroneo affermare che gli stessi non vennero tutelati nell’esperienza romana come mai prima nella storia dell’umanità, anche se con caratteristiche diverse come quella dell’oggettivazione e del vincolo comunitario. Sul punto, si v. RIDOLA P., cit., 2006, pp. 20-28.

139 In questo senso, per tutti TABACCO G., MERLO G., Medioevo (V-XV secolo), Bologna, Il Mulino,

1989.

140 Tutto questo per non parlare, come fanno taluni, che affermano che ciò che la società media generò

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dovuta ad una particolare forma di pensare e vivere questo momento, che avrà un impatto non solo questo momento storico, ma anche il costituzionalismo stesso.

Pertanto, per comprendere le profonde cicatrici lasciate dal Medioevo nella storia del pre-costituzionalismo e del costituzionalismo è quindi necessario prestare attenzione a due movimenti ben distinti che si verificarono in questo periodo: in primo luogo, quella che fa riferimento alla concentrazione di forze politiche da parte della chiesa e dell'impero; e la seconda, quella che si occupa della costruzione di una costituzione mista sulla base di accordi concreti tra le classi politiche, che hanno creato l’importante figura della potestas temperata.

Come detto, questo primo movimento è tradizionalmente condiviso dagli studiosi, mediante il quale si rafforza un pensiero del medioevo come una grande teocrazia, in cui le autorità legittime sarebbero quelle indicate da Dio e in cui i valori e le decisioni avrebbero una dimensione universale, guidata da un potere divino, a carattere completamente gerarchico che sarebbe il responsabile di stabilire una sorta di sistema di politico e giuridico verticalizzato.

Da questo punto di vista, il medioevo sarebbe un momento storico in cui l'umanità dovrebbe concentrare le proprie forze nell’affermazione e manutenzione di questo ordinamento dato o stabilito dall’autorità divina, nell’ottica di un orientamento politico che è stato definito da alcuni "potere discendente"141.

A differenza degli antichi, allora, che svilupparono i loro sistemi politici e giuridici sulla base della partecipazione concreta e democratica della società, attraverso il concetto di "potere ascendente", il medioevo è perciò caratterizzato dalla presenza di un ordinamento di concentrazione soggettiva divina e unica di potere, che ha fatto sì che taluni vedessero in tale momento una “eclissi della costituzione"142.

Una conclusione logica che si avrebbe da questo movimento sarebbe, allora, quella che un movimento qualsiasi che si fosse perseguito per instituire una costituzione o una legge fondamentale fondata sulla ragione non sarebbe necessario, dal momento che l’equilibrio politico-sociale della comunità sarebbe formato da ordini divini.

141 La distinzione tra potere ascendente e potere discendente si ritrova elaborata, per la prima volta, in

una forma più interessante e complessa, in ULLMANN W., The individual and society in the midle ages, Baltimore, 1966; trad. it. Individuo e società nel medievo, Roma-Bari, Laterza, 1983. La stessa distinzione si ritrova elaborata anche in DOGLIANI M., Introduzione al diritto costituzionale, Bologna, Il Mulino, 2000.

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Tuttavia, vi è un altro movimento forte che costituì l'età media e che viene normalmente non considerato dalla corrente tradizionale. Questo movimento va a rafforzare l'idea dell'esistenza di una vera e propria costituzione medievale, che non è stata scritta, ma che era senz’altro dotata di caratteristiche proprie e sufficienti che la differenziano dal vecchio pre-costituzionalismo e dallo stesso costituzionalismo.

In questo senso, ciò che si dovrebbe sempre tenere a mente quando si analizza

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