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1. La consapevolezza del divario

La percezione che le condizioni del Mezzogiorno fossero peggiorate durante la Seconda guerra mondiale si diffuse al di là della SVIMEZ. Fu evidente, all’interno della nuova classe politica, che la questione si dovesse porre in termini di coesio- ne e forza, da assicurare ai nuovi assetti istituzionali scaturiti all’indomani del referendum del 2 giugno 1946. Il convinci- mento affiorò nel volume Mezzogiorno impegno d’onore della

DC1, e tale espressione fu più volte ribadita in altre sedi quan-

do ci si soffermò sulle gravi condizioni delle regioni meri- dionali2. Ed era questa l’opinione di James David Zellerbach,

capo della missione ECA in Italia, che nel corso della prima

1 Il Domani d’Italia, Napoli, 1947. Per un inquadramento più ampio delle

vicende di quel periodo cfr. l’introduzione di N. Novacco a Id. (a cura di), Mezzogiorno e partiti politici, Milano, Giuffrè, 1977, pp. 2-69. Per una lettura complessiva della questione meridionale nel dibattito parlamentare dell’Italia repubblicana fino agli inizi degli anni Settanta cfr. P. Bini, Il Mezzogiorno nel Parlamento repubblicano: 1948-1972, 5 voll., Milano, Giuffrè, 1976-1978.

2 G. Tagliacarne, Meridione punto d’onore, in «Il Tempo», 27 febbraio

1950, in «Informazioni SVIMEZ», n. 8-9, 1 marzo 1950, p. 148. L’insigne statistico offrì un quadro preoccupante della situazione del Mezzogiorno: «Non vogliamo entrare a discutere se ed in che misura tale situazione sia dovuta alla natura, agli uomini, agli eventi, alla politica o ai governi, ma il monito che scaturisce dalle statistiche esaminate è chiaro ed imperativo. Se nel programma di Truman la riabilitazione delle aree depresse rappresenta il

conferenza stampa, tenutasi a Roma nel luglio 1948, sollecitò l’importanza della partecipazione dell’Italia all’Organizzazio- ne Europea per la Cooperazione Economica (OECE), perché in quella sede, tra le varie priorità da affrontare, il problema dello sviluppo del Mezzogiorno poteva essere posto con urgenza, nel- la convinzione che si trovasse ascolto e sostegno. In particolare, Zellerbach affermò che le erogazioni finanziarie dirette, da par- te degli USA, sarebbero state utilizzate «per il miglioramento agricolo e generale dell’Italia meridionale»3.

Al di là di questa diffusa consapevolezza e delle dichiara- zioni dai toni a volte altisonanti, nella fase successiva alla guer- ra i primi governi dell’Italia repubblicana stentarono a dare un indirizzo meridionalista alle politiche economiche nazionali. Già in sede di Assemblea costituente, si parlò di Mezzogiorno solo quando fu affrontato il tema dell’ordinamento regionale4.

Ma più in generale con il succedersi dei governi De Gasperi i rappresentanti del nuovo meridionalismo ebbero la sensazione di un progressivo accantonamento della questione. Anzi, in più occasioni, gli intellettuali che avevano a cuore le sorti del Mez- zogiorno ribadirono chiari squilibri a favore dell’area settentrio- nale, come nel caso dell’applicazione della legge del 26 ottobre del 1940, con cui si disciplinavano i danni di guerra: «Le due Italie dovrebbero essere equiparate almeno in questo»5. Ma dal

punto di vista della parificazione strategica nelle due parti del Paese, si rilevava una larga insufficienza: «Il torto dei nostri go- vernanti  –  rilevava Corrado Barbagallo  –  è di immaginare pos- sibile un’identica politica economica pel Nord come pel Sud, o di volerla applicare con egual metro per tutto il Paese»6. Si

quarto punto nel programma, per il governo italiano la riabilitazione del Mez- zogiorno deve costituire il primo punto ed il punto d’onore».

3 Dichiarazioni del Capo della Missione ECA, in «Informazioni SVI-

MEZ», n. 30-31, 30 luglio 1948, p. 419. In seguito, dal 1957 al 1961, Zeller- bach fu ambasciatore degli USA in Italia.

4 P. Barucci, Ricostruzione, pianificazione, Mezzogiorno, cit., pp. 289-308. 5 P. Costantini, Una legge incompleta, in «Il Mattino d’Italia», 18 novem-

bre 1952, in «Informazioni SVIMEZ», n. 48, 26 novembre 1952, p. 783.

6 La politica governativa e il Mezzogiorno, in «Il Globo», 28 gennaio

giungeva all’amara conclusione secondo cui, nonostante alcune affermazioni propagandistiche, la politica economica governativa continuava a essere ispirata agli interessi del Settentrione7. Ma-

lessere che con il passare degli anni tese ad accrescersi: nel lu- glio 1952, il presidente degli industriali di Napoli Leopoldo De Lieto, durante l’assemblea annuale, si soffermò a lungo sulle ragioni per cui l’industria partenopea ancora non si riprendeva dai danni di guerra, decisamente maggiori rispetto agli impianti del Nord8.

Non si trattava di mere recriminazioni o di affermazioni in- giustificate. Come si è già evidenziato nel primo capitolo, il di- sagio per il ritardo nell’elaborazione di misure a sostegno dello

lo si riportavano vari elementi che giustificavano un’affermazione dai toni così espliciti: «Anzi dal giorno della messa in scena dell’industrializzazione del Mezzogiorno, le cose sono andate ulteriormente peggiorando. I fatti che si possono citare a conferma di questa affermazione, sono molteplici: l’ulti- mo è quello relativo allo stanziamento di 90 miliardi di lire su Fondo ERP per i lavori di ricostruzione ferroviaria, somma che avrebbe dovuto ripartirsi in 70 miliardi per il Nord e in 20 per il Sud. Anche a tacere dell’evidente ingiustificabile sproporzione in rapporto ai danni subiti per la guerra e al nu- mero di disoccupati, occorre far presente che i 70 miliardi per il Nord sono stati impiegati immediatamente, mentre quando si stavano per impiegare i 20 per il Sud, la Missione americana ha posto il fermo allo stanziamento, af- fermando di aver concesso in precedenza solamente l’autorizzazione per 70 miliardi. È accaduto così che il Ministro dei Trasporti, pur non avendo la si- curezza di disporre di tutti i 90 miliardi, ha impegnato l’intera somma sicura esclusivamente per il Nord. Un altro fatto da citare è il complesso dei prov- vedimenti del Ministro dei Lavori Pubblici relativi alla costruzione di case e di opere pubbliche. Con uno dei progetti, destinato a facilitare i mutui agli enti locali, sono state annullate le disposizioni speciali vigenti per la Calabria, la Lucania, la Sicilia, la Sardegna e il Molise, e l’onorevole Porzio ha do- vuto fare sforzi immani affinché questo provvedimento fosse emendato. Con esso infatti, è vero che i comuni meridionali avrebbero potuto ottenere mutui a condizione di favore dalla Cassa Depositi e Prestiti, ma in pratica la Cassa non avrebbe concesso tali mutui dato che i comuni meridionali non possono offrire adeguate garanzie».

7 La politica economica governativa e il Mezzogiorno, in «Informazioni

SVIMEZ», n. 69-70, 4 maggio 1949, p. 912.

8 Riunione dell’Assemblea degli industriali di Napoli, in «Informazioni

SVIMEZ», n. 27-28, 2-9 luglio 1952, p. 474. Una descrizione approfondita sulla condizione dell’apparato produttivo partenopeo è compiuta sempre da L. De Lieto, L’industrializzazione del Mezzogiorno, in «L’Organizzazione in- dustriale», 24 luglio 1952, in «Informazioni SVIMEZ», n. 31-32, 30 luglio-6 agosto 1952, pp. 507-508.

sviluppo del Sud, oltre ad essere palese, era documentato. E fu un tema che ebbe centralità nel dibattito interno alla SVIMEZ. Nel corso dell’assemblea degli associati del maggio 1949, si evidenziò che su circa 210,5 milioni di dollari, rappresentan- ti l’ammontare delle domande approvate fino al 15 marzo di quell’anno finanziate dal Piano ERP, soltanto 12,7 milioni, cioè il 6%, era stato attribuito a stabilimenti industriali del Mezzo- giorno. Si trattava di una percentuale di gran lunga inferiore alla pur modesta importanza dell’industria meridionale rispetto a quella italiana, pari a circa il 16%9. Sempre in merito ai pre-

stiti ERP, la situazione manifestava ulteriori squilibri: al 31 di- cembre del 1949 l’area settentrionale aveva usufruito di circa il 75% dei mutui, mentre per l’area meridionale, compresa quella insulare, il dato si attestava al 15%10. Si era ormai in presenza

di un percorso i cui esiti erano scontati già prima che terminas- se: «È doloroso dover constatare che alla fine del programma degli aiuti ERP, un ulteriore maggiore distacco si sarà determi- nato tra il potenziale economico del Nord e quello del Sud»11.

I tecnici della SVIMEZ, però, si guardavano bene dal fornire analisi semplicistiche e congiunturali, rifiutandosi di attribuire la situazione del forte squilibrio a coloro che sovraintendevano la distribuzione degli aiuti. La questione era invece più com- plessa:

Né si vede come questa situazione possa essere modificata, per- ché occorre dare atto che le possibilità offerte dai rifornimenti di macchine ERP, sono state portate a larga conoscenza dei ceti interes- sati meridionali da parte delle Autorità competenti, le quali hanno poi dedicato la più benevola attenzione alle scarse domande presentate12.

9 Il problema industriale del Mezzogiorno nel momento attuale, in «Infor-

mazioni SVIMEZ», n. 77-78, 22-29 giugno 1949, p. 1011.

10 A. Signorelli, Dove sono finiti questi miliardi?, in «Roma», 13 marzo

1950, in «Informazioni SVIMEZ», n. 5, 4 febbraio 1948, p. 148.

11 I risultati dell’ERP e l’economia meridionale, in «Informazioni SVI-

MEZ», n. 68, 20 aprile 1949, p. 897. Su questi aspetti cfr. le considerazio- ni di S. Cafiero, La politica meridionalistica negli anni della Repubblica, in «Rivista Economica del Mezzogiorno», n. 2, 1992, pp. 380-381.

12 Il problema industriale del Mezzogiorno nel momento attuale, cit., p.

Si era in presenza di problemi strutturali e preesistenti alla guerra: «È il meccanismo in sé che determina tali effetti nell’e- sistente struttura italiana»; risultava essenziale rimuovere gli inconvenienti oggettivi più volte rilevati e verificati mediante indagini rigorose, con provvedimenti di politica economica in- tegrativi, di portata eccezionale, che rispondessero alle esigenze della struttura produttiva meridionale13. Furono queste prese di

posizione, dai toni espliciti, a dare un carattere pragmatico alle discussioni in corso sul Mezzogiorno.

2. Il dibattito sull’intervento pubblico nel Mezzogiorno A vanificare di molto le attese avevano concorso i primi de- creti sull’industrializzazione delle regioni meridionali, in partico- lare i due provvedimenti del 14 dicembre del 1947, n. 1.419 e n. 1.598, e quello di poco successivo del 5 marzo 1948, n. 121. Scaturiti dalla stretta collaborazione con la SVIMEZ, che concor- se alla loro applicazione mediante l’attività di consultazione svol- ta da Sudindustria, l’agenzia ad essa affiliata, se in una primis- sima fase suscitarono larghe attese, dopo appena qualche tempo si colse la limitatezza dei finanziamenti messi a disposizione14.

La filosofia di fondo che ispirò i decreti fu enunciata dal Mini- stro dell’Industria e Commercio Roberto Tremelloni, secondo cui

13 Ibidem. Si precisava tuttavia che la via maestra dello sviluppo risie-

deva nell’iniziativa privata: «Naturalmente, il nostro presupposto è sempre che l’auspicato sviluppo industriale abbia luogo attraverso la più larga par- tecipazione privata [...]. Non risponde né alla natura delle attività più con- venientemente avviabili nelle province meridionali, né all’attuale situazione generale, immaginare uno sviluppo industriale meridionale affidato preva- lentemente all’iniziativa statale, in sostituzione della manchevole iniziativa privata e che dia luogo alla singolare contrapposizione di un apparato indu- striale settentrionale essenzialmente privato e di uno meridionale sviluppato a opera dello Stato».

14 F. Dandolo e A. Baldoni, Sudindustria. Prospettive imprenditoriali e

scenari per lo sviluppo del Mezzogiorno (1947-1956), Napoli, Guida, 2007; cfr. anche L. De Rosa, Il Banco di Napoli tra l’occupazione alleata e il se- condo dopoguerra (1943-1949), Napoli, Istituto Banco di Napoli-Fondazione, 2011.

occorreva promuovere ad ampio raggio attività industriali il più possibile «naturali» al Mezzogiorno, per evitare che si costituis- sero «dei doppioni già esistenti in altre regioni»15. Ma, in real-

tà, la limitatezza delle risorse finanziarie non riuscì neppure ad assecondare in modo soddisfacente gli orientamenti già presenti nella fisionomia produttiva meridionale, mentre secondo l’opinio- ne degli esperti si insisteva sull’esigenza di introdurre elementi di sostanziale novità per forzare lo sviluppo. Anche la cosiddetta «Legge del sesto», racchiusa in due decreti legislativi, rispettiva- mente il n. 374 del 14 giugno 1945 e il n. 503 del 15 novembre 1946, con cui si autorizzavano le amministrazioni delle Ferrovie dello Stato e della Marina Militare a riservare agli stabilimenti industriali del Meridione le forniture e le lavorazioni ad essi oc- correnti in misura non inferiore ad un sesto, fu in larga parte di- sattesa16. Questi provvedimenti, comunque, ebbero la capacità di

attirare l’attenzione sulle reali condizioni del Sud:

Anche se non si può tacere la inadeguatezza delle provvidenze sinora disposte, non si può tuttavia negare che da un anno a questa parte si è finalmente usciti dal vago e si è iniziato a fare qualche cosa di concreto per il risollevamento economico del Mezzogiorno17.

Furono questi risultati, nel complesso deludenti, a imprime- re una svolta nella prospettiva di un più robusto intervento pub- blico nell’area meridionale, che peraltro proprio nel 1950 andò rallentando18. D’altronde, sintomo evidente del peggioramento

in corso, fu il sensibile incremento della disoccupazione19. Da

15 L’industrializzazione del Mezzogiorno nel pensiero del Ministro per

l’Industria, in «Informazioni SVIMEZ», n. 7, 18 febbraio 1948, p. 72.

16 Spesso le amministrazioni opponevano resistenza trincerandosi dietro la

dizione dei decreti, che con la espressione «autorizzata a riservare» non pre- scriveva in modo assoluto la riserva del sesto alle imprese del Sud e le la- sciava dunque libere di attuare o meno le provvidenze stabilite nei decreti. La legge del sesto e lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, in «Informazioni SVIMEZ», n. 55, 19 gennaio 1949, p. 727.

17 L’azione del Banco di Napoli per l’industrializzazione, in «Informazioni

SVIMEZ», n. 101-102, 7-14 dicembre 1949, p. 1299.

18 Diminuzione, nel 1950, dei lavori pubblici, cit., pp. 247-248. 19 Occupazione e disoccupazione nel Mezzogiorno, cit., pp. 1320-1321.

qui la spinta affinché si inaugurasse una nuova fase che assicu- rasse rilevanza alla questione dello sviluppo del Mezzogiorno, perché essa sarebbe stata la premessa indispensabile per poter accedere agli aiuti internazionali. Furono elaborate varie ipotesi, realizzate, ancora una volta, dagli uomini del Centro studi della SVIMEZ20. In particolare, suscitarono interesse le posizioni di

Giorgio Ceriani Sebregondi, che dal 1949 aveva iniziato a col- laborare con l’associazione meridionalista. Questi rilevò che il Mezzogiorno, in quanto area depressa, poteva senz’altro trasfor- mare la propria condizione di generale depressione sulla base dell’esperienza degli USA negli anni Trenta, facendo ricorso all’intervento pubblico: «E tale iniziativa deve avere carattere di continuità nel tempo e nello spazio»21. In sostanza, affiorò il

convincimento che la pubblica amministrazione potesse rivestire il ruolo strategico di operatore economico:

Non spaventiamoci delle parole e guardiamo alla sostanza  –  rav- visava Giuseppe Cenzato  –. Il Governo laburista inglese (però su schemi precedentemente elaborati dai governi conservatori) ha ema- nato uno speciale provvedimento legislativo (Distribution of Industry Act) allo scopo di favorire le aree depresse22.

20 Fu questo un tratto che emerse con chiarezza nella relazione presentata

dal Consiglio di amministrazione della SVIMEZ all’assemblea ordinaria de- gli associati, tenutasi il 24 gennaio 1950: «Queste brevi considerazioni che si sono suggerite dai primi orientamenti assunti dal nostro lavoro negli ultimi mesi, vi dice quanto complessa si profila la nuova fase della vita della SVI- MEZ; essa va infatti dalla elaborazione del più moderno pensiero economico in fatto di economia delle aree depresse, a una opera vasta di progettazione da svolgersi nei campi più vari, dall’esame di importanti aspetti giuridici dei provvedimenti da adottarsi, alle rilevazioni statistiche di una serie estesa di fenomeni significativi dello sviluppo della economia meridionale, e anche na- zionale». Direttive per i programmi regionali di sviluppo economico, in «In- formazioni SVIMEZ», n. 12, 22 marzo 1950, p. 174.

21 G. Ceriani Sebregondi, La Cassa per il Mezzogiorno, in «Cronache

sociali», n. 3, 1950, in «Informazioni SVIMEZ», n. 23, 7 giugno 1950, p. 338. Su Ceriani Sebregondi si veda il recente libro di Giovanni Farese, Lo sviluppo come integrazione. Giorgio Ceriani Sebregondi e l’ingresso dell’I- talia nella cultura internazionale dello sviluppo, Soveria Mannelli, Rubbet- tino, 2017.

22 G. Cenzato, Sul problema industriale del Mezzogiorno, in Contributi

allo studio del problema industriale del Mezzogiorno, Roma, SVIMEZ, 1949, p. 25. Affermazione condivisa da Ceriani Sebregondi: «In sostanza il carattere

Tale funzione, tanto nevralgica, era giustificata per rispon- dere in modo adeguato ai «diritti tassativi del Sud», espressione in quegli anni centrale nel dibattito sul Mezzogiorno:

Chiediamo che, dai cantieri di Taranto al porto di Napoli, dalle zolfatare siciliane alle trogloditiche grotte lucane, dalla Calabria re- centemente scoperta, all’Abruzzo ed al Molise, le necessità di una po- polazione che è la quarta parte dell’intero Paese, ma che all’economia generale partecipa soltanto per il 22%, siano tenute presenti per un doveroso e giusto riconoscimento23.

Queste decise prese di posizione raccoglievano larghi con- sensi anche nell’opposizione, sebbene si manifestassero chiare divergenze sulle modalità di attuazione dell’intervento pubbli- co: «Indubbiamente  –  osservava Giorgio Amendola  –  il Mez- zogiorno ha bisogno di molti lavori pubblici, dalle strade alle sistemazioni montane, dalle scuole agli acquedotti»24. Subito

dopo, però, Amendola sottolineava i rischi nel creare un ente autonomo, che sarebbe potuto divenire «non solo un poderoso strumento di corruzione politica, ma un potente centro di azio- ne per l’asservimento economico del Mezzogiorno ai gruppi monopolistici»25. Tesi che sul fronte della Sinistra furono a più

riprese sottolineate man mano che il progetto di un organismo,

essenziale dell’intervento pubblico nelle aree depresse è che la pubblica am- ministrazione, anziché presentarsi come semplice esecutrice delegata di alcune opere di interesse generale, deve presentarsi come operatore economico». G. Ceriani Sebregondi, La Cassa per il Mezzogiorno, cit., p. 338.

23 Ciò che De Gasperi deve al Mezzogiorno, in «Il Tempo», 18 gennaio

1950, in «Informazioni SVIMEZ», n. 2-3, 11-18 gennaio 1950, p. 39.

24 G. Amendola, Lavori pubblici e riforma sociale, in «Giornale d’Italia»,

12 luglio 1950, in «Informazioni SVIMEZ», n. 29, 18 luglio 1950, pp. 462- 463.

25 Ibidem. Per Amendola rimaneva comunque impellente l’esigenza di at-

tuare un vasto programma di lavori pubblici: «Se non si risolve il problema della terra e il problema della produzione di elettricità e dell’incremento indu- striale, non si possono certamente mutare le condizioni generali di miseria in cui si trova il Mezzogiorno con pochi lavori pubblici realizzati nella limitata misura permessa della politica generale economica e finanziaria seguita dal Governo, e nella impossibilità in cui si trovano gli enti locali di contribuire alla loro esecuzione».

svincolato dalla gestione burocratica ordinaria, tese a concretiz- zarsi:

Sarà in tal modo assai facile alle forze monopolistiche e feudali, che sono le maggiori responsabili della disastrosa situazione in cui si trova il Mezzogiorno, di impadronirsi di questo nuovo organismo per farne uno strumento della loro politica26.

Inoltre, forti dubbi si nutrivano sulla capacità di riusci- re a finanziare l’attività della Cassa per le difficoltà in cui si dibatteva la finanza pubblica27. Anche dal fronte laico si solle-

vavano ampie riserve: secondo Giovanni Spadolini, la politica governativa avrebbe potuto assumere le sembianze della bene- ficenza e dell’assistenza nel solco del paternalismo tali da rial- lacciare «storicamente l’onorevole De Gasperi alla tradizione giolittiana»28. Allo stesso modo, serpeggiava una buona dose di

sfiducia a causa delle precedenti misure varate, del tutto inade- guate a risolvere il problema del sottosviluppo: «Dopo tante tri- sti esperienze, non vi è pertanto da stupirsi se le popolazioni meridionali hanno accolto con scetticismo la notizia della istitu- zione della Cassa»29.

Di tutt’altro avviso erano i convincimenti che andarono ma- turando in ambito SVIMEZ, laddove si osservò che proprio la carenza dei capitali fosse il limite più evidente: «Se il finanzia- mento dell’industrializzazione lascia insoddisfatti, la colpa non è della organizzazione bancaria ma della limitatezza dei mezzi a disposizione»30. Si abbozzò una sorta di previsione di massima

26 L. Matteucci, Discorso ai caprai... e agli altri, in «Avanti», 23 giugno

1950, in «Informazioni SVIMEZ», n. 27, 4 luglio 1950, p. 413.

27 L. Matteucci, Il sole d’agosto, in «Avanti», 30 maggio 1950, in «Infor-

mazioni SVIMEZ», n. 23, 7 giugno 1950, pp. 339-340.

28 G. Spadolini, La eredità del Mezzogiorno, in «La Gazzetta del Popolo»,

11 luglio 1950. Per un inquadramento del dibattito che accompagnò la nascita della Cassa cfr. G. Barone, Stato e Mezzogiorno (1943-1960). Il «primo tem- po» dell’intervento straordinario, in Storia dell’Italia repubblicana, Torino, Einaudi, 1994, vol. I, pp. 387-399.

29 A. Signorelli, Dove sono finiti questi miliardi?, cit., p. 148.

30 La industrializzazione e il credito, in «Informazioni SVIMEZ», n. 53-

per stabilire quale sarebbe stato l’ammontare della spesa neces- saria per portare le condizioni del Mezzogiorno al livello medio delle altre regioni d’Italia, ipotizzando la somma di tremila mi- liardi di lire31. Del resto  –  come osservò con lungimiranza Ugo

La Malfa  –  era questo il percorso seguito da vari Paesi:

La Russia continua nel suo sforzo di industrializzare le regioni più arretrate, gli Stati Uniti in quello di risolvere le condizioni del- la Europa e di portare la loro produzione interna a 300 miliardi di dollari, l’Inghilterra nel perseguire un altissimo livello di sicurezza sociale. L’Italia non può porsi altri problemi al di fuori di quello del

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