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Capitolo IX: Resistenza all’ambiente spaziale

IX.1: Premesse teoriche

L’evoluzione tecnologica dei dispositivi elettronici ha portato, durante gli ultimi decenni, ad una progressiva riduzione delle dimensioni fisiche dei componenti e all’utilizzo di tecnologie costruttive sempre più raffinate, che arrivano ad operare su scale dell’ordine dei nanometri.

Se da una parte questa tendenza ha portato alla creazione di dispositivi sempre più potenti, dai consumi sempre più ridotti e dalle maggiori prestazioni, dall’altra li ha resi sempre più vulnerabili ad agenti esterni quali le radiazioni. Anche se questo è un problema che non coinvolge le applicazioni terrestri, salvo quelle specifiche per ambienti speciali o militari, nel momento in cui si voglia utilizzare una componentistica di tipo commerciale per applicazioni spaziali è necessario tenerne conto.

Il motivo per cui i mosfet, che rappresentano la struttura di base di qualunque dispositivo digitale, sono così sensibili alle radiazioni ha origine nella loro stessa struttura.

Figura IX.1: Struttura fisica di un MOSFET

In un mosfet, sia di tipo P che di tipo N, la regolazione della corrente che lo attraversa avviene tramite il campo elettrico che si instaura tra il gate e il substrato. Quando viene applicata una differenza di potenziale tra gate e source, si genera un campo elettrico che accumula cariche al di sotto del gate stesso, generando un canale che permette lo scorrimento di corrente tra source e drain. Non esiste quindi un contatto elettrico diretto tra il terminale di controllo e gli altri due terminali, come avviene invece nei BJT, e se da un lato questa caratteristica è la fonte dei vantaggi del MOSFET, dall’altro lato è anche la causa della delicatezza.

L’isolamento del gate, infatti, è formato da un sottile strato d’ossido di silicio che, in condizioni normali, garantisce una resistenza praticamente infinita. Qualunque danno a questo strato, tuttavia, può mettere in contatto elettrico il gate con il substrato, comportando una degradazione o un malfunzionamento del dispositivo o, nei casi più gravi, un cortocircuito. Anche un danno alla struttura cristallina del substrato può impedire la formazione del canale di portatori di carica che permette al MOSFET di funzionare, mentre l’accumulo di carica all’interno del substrato può portare all’accensione indesiderata e a malfunzionamenti casuali.

A causa dell’interazione con radiazioni ionizzanti, si possono quindi distinguere i seguenti tipi di eventi:

- SEU: Singe Event Upset, si tratta del cambiamento di stato o di un transiente indotto dall’impatto di una particella energetica o di raggi cosmici in un dispositivo. Si tratta di eventi da cui il dispositivo si può riprendere, per esempio con un reset o semplicemente con l’esaurimento della carica apportata dalla particella, e che causano un malfunzionamento casuale e isolato del dispositivo;

- SED: Single Event Disturb, un momentaneo disturbo dell’informazione salvata in una memoria;

- SET: Single Event Transient, un transitorio di corrente causato dal passaggio di una particella carica attraverso il dispositivo e che può propagarsi attraverso le porte logiche portando ad un errore nel valore di uscita;

- SHE: Single Hard Error, un caso speciale di SEU in cui il cambiamento dello stato del dispositivo diventa permanente, come nel caso di un bit di memoria bloccato ad un valore specifico;

- SEL: Single Event Latchup, una condizione che causa una perdita di funzionalità del dispositivo a causa di un evento indotto da un transitorio di corrente elevato. Un SEL può causare o meno un danno permanente, ma in ogni caso richiede un reset hardware del dispositivo perchè ritorni al funzionamento nominale;

- SEB: Single Event Burnout, una evento potenzialmente distruttivo che può causare la rottura del componente a causa del passaggio di elevata corrente;

- SEGR: Single Event Gate Rupture, un evento indotto dal passaggio di un singolo ione all’interno di un MOSFET che comporta la creazione di un percorso conduttivo sull’ossido tra il gate e il substrato.

Questo tipo di eventi non sono gli unici effetti delle radiazioni sui componenti elettronici. I BJT, per esempio, sono immuni a tutti i Single Event elencati, ma presentano un calo del guadagno quando vengono colpiti da particelle cariche. In generale, tutti i componenti tendono a subire cambiamenti di valore e delle loro caratteristiche durante l’esposizione all’ambiente spaziale e per questo, durante le fasi di preparazione di una missione, si calcola la dose totale assorbita durante la vita utile del dispositivo e, in base a questa, si calcolano i requisiti per la resistenza a radiazioni.

Se banalmente la radiazione assorbita dipende dalla posizione del veicolo rispetto al sole, ci sono alcuni dettagli a riguardo meno immediati da tenere in considerazione: innanzitutto il passaggio attraverso le fasce di Van Allen rappresenta una fase molto critica per qualunque dispositivo elettronico. Se è vero che per una missione interplanetaria il passaggio attraverso questa zona di spazio può rappresentare una una tantum e non influisce seriamente sulla dose totale accumulata durante la missione nel suo complesso, per apparati che rimangano in orbita terrestre, a seconda dell’inclinazione dell’orbita stessa, possono rappresentare un problema: le fasce di Van Allen, infatti, si avvicinano molto alla terra in corrispondenza dei poli magnetici e, di conseguenza, un veicolo con orbita polare si troverebbe ad attraversarle molte volte nel corso della sua vita utile.

Figura IX.3: Le fasce di Van Allen

rappresenta una schermatura che diminuisce la dose totale di radiazioni assorbita. Per questo motivo, si utilizza il concetto di schermatura sferica di alluminio equivalente, che quantifica con una grandezza omogenea la schermatura attorno ad un oggetto.

Nell’esempio riportato in figura IX.4, che mostra il caso specifico di uno strumento per la sonda ExoMars, si nota l’andamento della radiazione assorbita durante il viaggio e l’orbita attorno a Marte nel periodo di due anni in funzione della schermatura sferica equivalente.

Figura IX.4: Requisiti di resistenza delle radiazioni per la missione ExoMars (dall’IRD della missione)

Di conseguenza, per un dispositivo che fosse protetto da uno spessore equivalente di 4mm di alluminio, sarebbe necessaria una certificazione di almeno 10kRad per poter giungere al termine della vita utile della missione senza subire danni o variazioni rilevanti nelle prestazioni a causa delle radiazioni.

Nelle missioni a basso costo questo tipo di dispositivi sono innaccessibili, poiché comporterebbero costi di almeno un ordine di grandezza superiori a quelli di dispositivi commerciali. Come detto, la maggior parte dei problemi derivanti dalle radiazioni derivano dall’interazione a livello fisico tra particelle cariche e struttura del componente e, di conseguenza, non sono eliminabili una volta che il dispositivo sia stato prodotto. Alcuni studi, tuttavia, suggeriscono la possibilità di affrontare

questo problema non tanto eliminandolo, quanto affrontandolo con opportune tecniche costruttive e software. Nel paragrafo successivo si descriveranno gli studi reperiti in letteratura a riguardo.