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Capitolo IX I limiti ratione personae delle intercettazioni

4. Il Presidente della Repubblica

Secondo la previsione dell’articolo 90 Cost., il Capo dello Stato non è

responsabile giuridicamente per gli atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni, fatta eccezione per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. L’alto tradimento viene identificato come la collusione con Stati esteri, mentre per attentato alla Costituzione si intendono quelle violazioni in grado di stravolgere le norme e sovvertire lo Stato. Al di fuori di queste due ipotesi, il Presidente non potrà essere perseguito, neppure dopo che sia cessato il suo mandato.

Le intercettazioni, secondo l’art. 7 della legge n. 219 del 1989 di attuazione della norma costituzionale, sono possibili nei confronti del Presidente della Repubblica contro il quale si proceda per i reati di attentato alla Costituzione ed alto tradimento, dopo che la

499 Ibidem.

500 Enciclopedia Giuridica Treccani. 501 Corte Cost., 21 aprile 2005, n. 163.

153 Corte costituzionale abbia deciso la sospensione dalla carica; spetterà al comitato, formatosi nel procedimento di messa in stato d’accusa del Presidente, disporre le captazioni.

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, il presidente del comitato può disporre le intercettazioni, riferendone immediatamente al comitato che dovrà convalidarle entro dieci giorni dalla loro adozione. In caso di mancata convalida, le stesse si intendono revocate e divengono prive di ogni effetto.

I provvedimenti deliberati dal comitato sono sottoscritti dal presidente e da un segretario e verranno eseguiti dalla polizia giudiziaria.

Recentemente una intercettazione indiretta di una conversazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha acceso il dibattito sull’esistenza o meno di uno

status di inviolabilità del Capo dello Stato e delle sue comunicazioni.

Il Presidente della Repubblica è stato intercettato casualmente durante captazioni effettuate sull’utenza telefonica di un esponente politico, disposte nell’ambito di un procedimento penale presso la Procura di Palermo. Quest’ultima ha ritenuto irrilevanti le comunicazioni ai fini del procedimento penale e ne ha disposto la distruzione, con autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, sentite le parti secondo le formalità di legge.

Secondo il Presidente della Repubblica, invece le suddette intercettazioni dovevano ritenersi vietate dall’immunità prevista dall’art. 90 Cost. e dall'art. 7 l. n. 219 del 1989.

Il Presidente della Repubblica ha presentato ricorso alla Corte costituzionale per contestare l’avvenuto ascolto dei contenuti delle intercettazioni e la valutazione delle stesse ai fini del procedimento: il ricorrente, sollevando il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ha chiesto la distruzione della documentazione ai sensi dell’art. 271 c.p.p., trattandosi di intercettazioni “fuori dai casi consentiti dalla legge”.

Il ricorrente fa derivare l’impossibilità di porre limiti alla propria libertà di comunicazione dall’interpretazione sistematica dell’art. 7 l. n. 219 del 1989 volta ad attuare l’art. 90 Cost,; esso vieta la possibilità di intercettare il Presidente, se non dopo la sospensione dalla carica, per alto tradimento e attentato alla Costituzione: ciò comporta anche il divieto delle intercettazioni “casuali” e l’immediata distruzione ex art. 271 c.p.p., senza previo deposito degli atti.

154 La Procura di Palermo ha sollevato eccezione di inammissibilità del ricorso «per

impossibilità giuridica del petitum», poiché non rientra tra i poteri della Procura quello

di procedere alla distruzione delle conversazioni; ha sottolineato inoltre l’inesistenza di una norma costituzionale che vieti l’uso processuale di colloqui del Capo dello Stato, captati occasionalmente.

La Corte - con la sentenza n. 1 del 15 gennaio 2013 - ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzioni, stabilendo il divieto di intercettazione nei confronti del Presidente, nonché il divieto di utilizzazione dei contenuti di captazioni fortuite (503). Ha inoltre precisato che non spettava alla Procura della Repubblica giudicare la rilevanza delle conversazioni del Presidente intercettate né «omettere di chiedere al giudice la

distruzione immediata della documentazione ex art. 271 comma 3 del c.p.p» (504). Al fine di dirimere il conflitto la Corte ha posto le basi per definire le attribuzioni del Presidente, precisando che bisogna considerare in maniera sistematica i principi costituzionali che collocano la figura del Capo dello Stato al di sopra di tutte le parti politiche (505). Le comunicazioni del Presidente sono intangibili perché la sua figura si

differenzia da quella degli altri organi costituzionali con funzioni politiche, i cui membri, godono di immunità che possono essere rimosse al verificarsi di alcune condizioni. La diversità consiste nel fatto che l’immunità del parlamentare tende a salvaguardare esclusivamente la sua riservatezza, mentre quella del Presidente protegge lo svolgimento di tutte le sue funzioni istituzionali (506).

Secondo un’esegesi, il ruolo istituzionalmente ricoperto e l’alto valore delle funzioni svolte provocano un divieto assoluto di intercettazione delle conversazioni del Presidente della Repubblica, con conseguente obbligo di distruzione immediata di siffatte registrazioni, ancorché casualmente effettuate, secondo quanto previsto dall’art. 271 co. 3 c.p.p. (507).

La Corte costituzionale, ribadendo la responsabilità penale del Capo dello Stato per i reati commessi al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni (508), ha dichiarato che

503 F. Paiola, “La riservatezza assoluta delle comunicazioni del Capo dello Stato”, in Diritto penale e

processo, 2013, p. 679.

504 Corte Cost, 15 gennaio 2013, n. 1. 505 Ibidem.

506 Ibidem.

507 G. Conso,V. Grevi, “Compendio di procedura penale”, VII ed., Cedam, Padova, 2014, p. 404., G. M.

Baccari, “Conflitto del Capo dello Stato – Procura di Palermo: la Consulta delinea il potere di filtro del

p.m”., in Diritto penale e processo, n.6, 2013, p. 66.

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«la ricerca della prova per eventuali reati extrafunzionali del Presidente della Repubblica deve avvenire con mezzi diversi che non arrechino danno alla sua sfera di comunicazione» (509).

La Corte ha accolto la richiesta del ricorrente secondo la quale la documentazione non può essere depositata, né per valutarne la rilevanza né ai fini della distruzione ex art. 269 c.p.p.; ha dichiarato inutilizzabili le captazioni de quibus, le quali devono essere immediatamente distrutte, su richiesta del pubblico ministero e su disposizione del giudice secondo le previsioni del comma 3 dell’art. 271 c.p.p.

Suddetto articolo non esclude, ma nemmeno impone la fissazione di un’udienza camerale “partecipata”, in quanto esistono due diverse tipologie di inutilizzabilità: in caso di “vizi procedurali” si seguirà la procedura camerale, nel contraddittorio tra le parti, senza necessità di assicurare una riservatezza sul contenuto dei colloqui; in caso di “vizi sostanziali” la distruzione spetterà esclusivamente al giudice, su richiesta del pubblico ministero, poiché l’accesso delle altri parti del giudizio potrebbe comportare una divulgazione dei contenuti del colloquio. La Consulta ha scelto quest’ultima modalità di distruzione che coinvolge soggetti non intercettabili in funzione del loro ruolo, in quanto vi è la necessità di «una protezione “assoluta” del colloquio per la qualità degli

interlocutori» (510).

Dalla sentenza della Corte costituzionale emerge, per quanto concerne la sfera comunicativa del Capo dello Stato, un’intangibilità che mal si concilia con lo spirito di una democrazia parlamentare.

5. Sottoposizione a intercettazioni telefoniche dei ministri e del Presidente

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