(Segue FONTANA). Siamo inoltre al paradosso di un Governo che, nel frattempo, assume provvedimenti che si muovono in netta antitesi, ri-spetto ai proclami sull’autonomia e sul federalismo che sbandierate sul territorio: l’impianto fortemente centralistico di alcune norme; l’abolizione per il 90 cento del principale cespite di autonomia impositiva locale; il varo in questi giorni di misure in deroga che rappresentano involuzioni gravi e che stanno accentuando il malcontento e moltiplicando confusione e contraddizioni (malcontento che la Lega sta cavalcando con stupefacente disinvoltura nei nostri territori nonostante i suoi rappresentanti a Roma ne abbiano condiviso l’approvazione), e ancora, la debolezza sul tema della lotta all’evasione fiscale, obiettivo che invece dovrebbe essere prioritario considerato che il federalismo fiscale e` legato alla ricomposizione della base imponibile, oggi pesantemente erosa dal sommerso e dall’illegalita`.
In tutto questo, diventa ancor piu` cogente la modalita` con cui affron-tiamo la grave e drammatica crisi in atto. Nessuno infatti puo` pensare che una crisi di queste dimensioni lasci inalterato un quadro politico istituzio-nale, sociale e culturale. Dalle risposte che diamo, non solo economiche, dipendera` la qualita` del futuro del nostro Paese, perche´ si puo` uscire da questa crisi o piu` uniti o piu` divisi. La crisi determina dei fenomeni che possono minare le stesse caratteristiche di come ci si riconosce nella
comunita` nazionale e questo rischia di essere tanto piu` vero in un Paese dove si registrano squilibri cosı` evidenti nelle condizioni sociali di reddito, di servizi e di occupazione, di infrastrutturazione materiale e immateriale, di mobilita` sociale. E non si tratta solo di disparita` tra Nord e Sud, ma anche all’interno degli stessi singoli territori tra chi e` piu` debole e chi e`
piu` forte. I segnali in questo periodo non mi paiono certo rassicuranti, se, per esempio, guardiamo alla crescente accentuazione di rivendicazioni corporative e territoriali che da piu` parti stanno emergendo.
Ma io credo che se lo scopo di ogni sistema istituzionale ben strut-turato sia quello di realizzare la soddisfazione o realizzazione migliore possibile dei diritti dei cittadini, delle donne e degli uomini che vivono, lavorano e producono in un Paese e della loro qualita` di vita, se riteniamo che il modello federale sia particolarmente adatto a governare la moder-nita` e la complessita` delle societa` di oggi, porre come obiettivo la compe-tizione, in un Paese in cui le basi di partenza sono cosı` radicalmente di-verse, rischia di aggravare ulteriormente le disparita` e di infilarci su una via di non ritorno. La competizione, se vuole essere sana, presuppone pari opportunita` di partenza. E questo deve rimanere il nostro primo e principale obiettivo per poter garantire quel modello inclusivo, solidale, responsabile e virtuoso, che e` l’elemento portante della nostra Carta costi-tuzionale.
Signora Presidente, mi auguro che nel corso della discussione in Aula possano essere presi comunque in debita considerazione gli emendamenti che il Gruppo del PD ha presentato, volti a colmare quelle lacune ancora a mio parere presenti, e ben evidenziate dal senatore Vitali. Si tratta di la-cune per noi strutturali, la risposta alle quali determinera` il nostro atteg-giamento di voto finale. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).
PRESIDENTE. E` iscritta a parlare la senatrice Colli. Ne ha facolta`.
COLLI (PdL). Signora Presidente, oggi un cittadino lombardo paga 15.700 euro di tasse l’anno e riceve 13.000 euro in servizi; trattiene quindi l’83 per cento di quanto paga al fisco. Un impiegato di Mestre versa 12.929 euro all’Agenzia delle entrate e ne riceve indietro 10.147; l’82 per cento. A Catanzaro un insegnante versa 6.960 euro e ottiene dallo Stato 10.588 euro, il 151 per cento. La Sicilia riceve il 152 per cento di quanto versa, la Valle d’Aosta il 135 per cento e la Campania si accon-tenta del solo 126 per cento.
Come se non bastassero queste cifre, abbiamo appena concesso 140 milioni di euro a Catania e ben mezzo miliardo di euro a Roma; per inve-stimenti, per nuove metropolitane o nuove strade? Assolutamente no, per ripianare i loro debiti.
Possiamo puntare il dito contro amministratori locali e responsabili ma temo che troveremmo ampie responsabilita` in entrambi gli schiera-menti e soprattutto mancheremmo il dato strutturale, il cuore del pro-blema. Grazie alla riforma costituzionale del 2001, le Regioni devono farsi carico di un numero consistente di funzioni, senza poter riscuotere tasse
ed amministrare il gettito. In sostanza, gli enti locali spendono e poi lo Stato passa a saldare il conto. Non sono solo i cittadini della Sicilia o della Campania a risanare i rispettivi deficit sanitari, ma tutti gli italiani e sono stati i soldi dei lombardi, dei piemontesi o dei veneti a tenere ac-cesi i lampioni a Catania e ad evitare il fallimento della capitale.
Ebbene, il sistema non funziona, perche´, per la quantita` di fondi che sono stati distribuiti al Sud, dalla Cassa per il Mezzogiorno ai fondi strut-turali europei, la Sicilia dovrebbe essere la Silicon valley del Mediterra-neo, la Campania il paradiso dei turisti e la Calabria dovrebbe avere un tasso di disoccupazione irrisorio. Cosı` naturalmente non e`, e stanziare ul-teriori fondi non cambiera` la situazione. La Regione Lombardia spende per la sanita` 1.695 euro a cittadino, una cifra non molto diversa dai 1.654 euro spesi in Campania o dai 1.639 euro spesi in Sicilia e addirittura meno dei 1.900 euro spesi in Molise. Le cifre sono piuttosto vicine, i ri-sultati che si conseguono con queste somme mi sembrano invece piuttosto distanti. (Brusı`o).
Colleghi ma vogliamo fare un dibattito cosı`...
PRESIDENTE. Colleghi, gia` non siamo in moltissimi.
Prego, senatrice Colli, prosegua pure.
COLLI (PdL). Le cifre sono piuttosto vicine e i risultati che si con-seguono con queste somme mi sembrano invece piuttosto distanti. L’e-sempio della sanita` non e` citato a caso: l’83 per cento dei 110 miliardi di euro spesi dalle Regioni ordinarie ogni anno e` infatti assorbito dalla spesa sanitaria. Quindi, se non si mette mano a questo specifico settore sara` impossibile qualsiasi contenimento della spesa pubblica.
Il disegno di legge sul federalismo che stiamo discutendo in questa Aula tenta di risolvere il problema, stravolgendo il rapporto tra Stato e Re-gioni. Abbandonando il criterio della spesa storica, lo Stato non avra` piu`
l’onere di rimborsare le Regioni in base a quanto hanno speso fino al-l’anno scorso, ma garantira` solo il finanziamento integrale di sanita`, istru-zione e assistenza sulla base dei costi standard, ovvero sulla base di quanto spende per quello stesso servizio una Regione virtuosa. Una TAC costera` la stessa cifra in Molise e in Veneto; un intervento di appen-dicite non potra` costare in Sicilia quattro volte piu` di quanto costi in un ospedale piemontese.
Se la Regione virtuosa da prendere come riferimento per i costi stan-dard fosse la Lombardia, lo Stato risparmierebbe quattro miliardi e mezzo all’anno (abbastanza per abbassare consistentemente l’IRPEF di tutti gli italiani).
L’entrata in vigore del federalismo fiscale comportera` una diminu-zione dei servizi offerti nelle Regioni piu` deboli? Non credo. Credo invece che mettera` gli amministratori locali nella condizione di dovere garantire servizi piu` efficienti senza contrarre debiti infiniti da far pagare al Go-verno e costringera` i Governatori che vogliono assumere 14.000 forestali
a spiegare ai propri cittadini che questa spesa e` piu` utile della costruzione di nuovi asili.
Certo, aspettarsi una simile rivoluzione dal testo che stiamo discu-tendo e` forse eccessivo. Il disegno di legge e` una delega e i tempi di at-tuazione saranno naturalmente lunghi. Non si riforma con l’accetta dalla mattina alla sera. L’importante, signor Ministro, e` che la riforma non si dilunghi tra riunioni e concertazioni perdendo il suo forte impatto. Gia`
nel 2000 si e` tentato di superare il concetto di spesa storica ma, diluendo l’aggiustamento nell’arco di 60 anni, e` stato impossibile osservare qual-siasi tipo di beneficio.
Spero che la determinazione di questa maggioranza e il momento particolarmente delicato convinceranno molti a ritirare veti e mugugni e a partecipare con orgoglio ad un cambiamento storico del nostro Paese.
(Applausi dai Gruppi PdL e LNP).
PRESIDENTE. E` iscritto a parlare il senatore Mascitelli. Ne ha fa-colta`.
MASCITELLI (IdV). Signora Presidente, credo che nessuno in que-st’Aula pensi che il nostro Paese, come qualsiasi altra moderna e com-plessa societa` contemporanea, possa essere governato come un sistema centralizzato. D’altronde, la formulazione di un ordinamento degli enti lo-cali e del loro finanziamento e` un problema aperto in Italia, come in Eu-ropa, ormai da decenni. Anche se ciascuno di noi puo` dare un diverso si-gnificato ai principi dell’articolo 119 della nostra Costituzione, che parla di autonomia finanziaria degli enti locali, la questione richiede un grande attenzione.
Essa richiede una grande attenzione se ravvisiamo il rischio che la riforma federale possa prendere, nel breve termine, l’indirizzo di una ten-denza che somma problemi nuovi a problemi vecchi o che diventi, come detto piu` volte in quest’Aula, di difficile comprensione se si e` messi nella condizione di parlare, come stiamo facendo oggi, di federalismo fiscale in termini approssimativi nelle grandezze e confuso negli strumenti.
Prima di tutto, invece, per noi il problema e` di un’esatta qualifica-zione delle competenze, delle prerogative, dei poteri, di previsione di spese autonome e del loro imprescindibile coordinamento con quelle dello Stato: in una parola, paletti rigidi per tenere insieme solidarieta` e respon-sabilita`.
Senza pregiudiziali ideologiche o tecniche (per questo motivo questa mattina non abbiamo posto la questione pregiudiziale), ma solo con una volonta` positiva e propositiva, riteniamo sia fondamentale prima di fare delle scelte – come ricordato anche dal relatore dell’opposizione – di-sporre di una base di dati condivisi sulle entrate, sulle uscite, sui flussi, sul debito e sulle dinamiche aggregate: e tutto questo allo stato dei fatti manca, tant’e` che si rinvia la questione ad una relazione tardiva, tra un anno, concernente un’ipotesi di quadro finanziario.
Certo, il testo e` stato molto cambiato dall’inizio della discussione presso le Commissioni riunite. Si e` passati da un federalismo «ognuno per se´», modello lombardo, ad un disegno di legge che almeno nelle in-tenzioni dovra` garantire la copertura dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali sul territorio, anche se molti di noi sanno che fine hanno fatto i livelli essenziali nel settore della sanita`.
Ma poiche´ nonostante tutto per il momento e` presente solo uno schema di princı`pi, mancando i numeri che solo i decreti delegati di attua-zione potranno riempire, resta per il Paese un problema di fondo rappre-sentato dalle risorse economiche, dai soldi. Bisognera` capire quali cifre corrispondono ai princı`pi enunciati, verificare punto per punto le risorse e i servizi per i cittadini in tutto il Paese. E in questo senso la crisi eco-nomica e la recessione che attraversa il Paese non aiuta affatto, anzi com-plica e rende sempre piu` fragile la solidarieta` tra i territori, tra Nord e Sud, e non crea certo un ambiente favorevole all’attuazione del federali-smo, perche´ ci saranno meno risorse per attenuare e attutire il passaggio dal vecchio al nuovo regime.
In Spagna (lo dico dal momento che questa mattina si e` fatto riferi-mento anche ai processi federali avviati in altri Paesi europei) la decentra-lizzazione e` stata un successo negli anni della crescita e dei fondi europei;
ora, con la crisi economica internazionale, a chiedere piu` autonomia fi-scale sono rimaste solo le regioni piu` ricche.
Malgrado, quindi, la complessita` di questo quadro, di cui ci rendiamo conto, vorremmo che fossero chiari almeno tre punti. In primo luogo, la riforma nella sua interezza deve essere condivisa dal Parlamento. Il nodo centrale da risolvere e` proprio questo ed e` stato ricordato da altri che mi hanno preceduto: un adeguato coinvolgimento del Parlamento nella predisposizione dei decreti delegati di attuazione, contemperando il ruolo del Parlamento con quello delle autonomie. Signor Ministro, non siamo soddisfatti dell’attuale formulazione del testo che, richiedendo in prima battuta l’intesa con la Conferenza unificata e solo in un momento succes-sivo la sottoposizione del testo dello schema di decreto, che risultera` so-stanzialmente intoccabile, al parere non vincolante e del tutto superfluo delle Commissioni parlamentari, non potra` certo assicurare un giusto equi-librio.
Un secondo punto fermo e` che l’attuazione del federalismo fiscale dovrebbe andare di pari passo con quella del federalismo istituzionale, non per rinviare il problema alle calende greche ma per affrontarlo me-glio. Cio` dovra` avvenire sia completando e dando piena attuazione al vi-gente Titolo V della Costituzione, sia ragionando sulla revisione di alcuni punti dello stesso Titolo V.
Un tema importante, che e` stato ricordato, appare la trasformazione del Senato in una vera e propria Camera delle Regioni deputata ad un ruolo di raccordo tra i diversi livelli di Governo nel nuovo sistema fede-rale. Altrettanto importante sara` poi alleggerire la lunga gerarchia di enti di governo territoriale, abolendo – come si era tutti d’accordo in campa-gna elettorale – le Province. Insomma, e` importante che si faccia
chia-rezza su chi fa cosa tra i vari livelli di governo e che non sia mantenuta estesa l’area delle competenze concorrenti tra piu` livelli: infatti, e` evidente che quanti piu` livelli di governo hanno competenza su una stessa materia, tanto piu` diventa difficile tenere ferme le precise responsabilita` di cia-scuno.
Un terzo punto chiaro e fermo e` che bisogna evitare un federalismo alla rovescia, con una logica invertita. Il processo di decentramento deve prima di tutto muovere dal trasferimento delle funzioni (che non risultano chiare nel disegno di legge al nostro esame) e delle relative spese e non dalle fonti di entrata. Partendo dalle entrate si rischia non solo di incorag-giare l’aumento della spesa pubblica, soprattutto in quelle Regioni la cui capacita` fiscale eccede il fabbisogno delle spese, ma anche di compromet-tere la stabilita` delle finanze statali.
Il bilancio dello Stato resta in disavanzo e non vi sono risorse libere da trasferire. Il federalismo non puo` indebolire la responsabilita` collettiva per il servizio del debito pubblico e per la copertura delle spese per i ser-vizi statali (come il sistema previdenziale).
Cari colleghi, noi rischiamo di produrre un federalismo fantasma se non si chiarisce da subito e non si precisa cosa si intende per fabbisogno standard, individuando gli indicatori tesi a definire la necessita` in termini di servizio per una data Regione (e quindi dei relativi riferimenti), che non possono essere solo dei parametri demografici o di rapporto tra dipendenti pubblici e residenti, ma devono essere altri parametri di delicata valuta-zione, come quelli socio-economici.
Nel nostro Paese e` evidente una forte variabilita` territoriale nella spesa per i servizi sociali, particolarmente accentuata nel caso di servizi delicati, legati all’assistenza, alla beneficenza, agli asili nido. Un esempio significativo: la spesa pro capite per i servizi sociali in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e` del 50 per cento inferiore a quella della Lombardia, del Piemonte, del Veneto, della Liguria, dell’Emilia-Romagna, della Toscana. Cio` che colpisce e` il disallineamento rispetto alla domanda potenziale collegata ai fattori demografici: cioe`, le differenze territoriali sono spesso di segno opposto rispetto alla domanda attesa, perche´ tale do-manda e` legata ad indicatori di disagio economico, quali il tasso di po-verta` o quello di disoccupazione, o e` legata altre volte, per i servizi all’in-fanzia, al minor tasso di occupazione femminile nelle Regioni meridionali, e altre volte ancora, per l’erogazione dei servizi a favore degli anziani, al maggior ruolo che nelle Regioni meridionali la famiglia riveste nell’am-bito delle cure agli anziani stessi.
Nel disegno di legge in esame non vediamo inoltre, signor Ministro, un impegno preciso di invarianza fiscale. Anzi, il rischio e` che, spostando a livello locale l’effetto di progressivita` dell’imposta, possano crearsi di-storsioni sul territorio nazionale e incentivi a spostamenti verso realta` a piu` basso prelievo: una sorta di esodo fiscale. C’e` quindi il pericolo di un aumento della complessita` e della scarsa trasparenza del sistema fi-scale: il cosiddetto fenomeno della regionalizzazione dell’IRPEF.
Un altro aspetto problematico e` rappresentato dall’attuale assetto del Patto di stabilita` interno, che per le Regioni ha come aggregato di riferi-mento non piu` un saldo di bilancio, ma un aggregato di spesa. Cosı` come gli obiettivi di bilancio fissati per gli enti locali fanno riferimento ad un saldo che include gli investimenti e quindi, per loro natura, non sono com-primibili senza alterare lo stesso equilibrio di bilancio.
Insomma, il federalismo fiscale non e` la panacea di tutti i mali, a maggior ragione nel campo dell’occupazione. Il federalismo da solo non potra` bastare a colmare il divario occupazionale tra il Nord e il Sud.
Per questo, a nostro giudizio, occorrera` introdurre al Sud misure come la fiscalita` di vantaggio e la possibilita` di differenziare il costo del lavoro.
PRESIDENTE. Collega, la prego di concludere.
MASCITELLI (IdV). Concludo, signora Presidente, dicendo che quello che dovra` essere evitato (e su questo presteremo attenzione e vigi-lanza e avanzeremo proposte migliorative) e` una confusa sommatoria di rivendicazioni, in cui ognuno accampa per se´ pezzi di risorse piu` o meno riferite al proprio territorio, perdendo di vista quel disegno riforma-tore che serve ad unire il Paese: ad unirlo pero`, signor Ministro, in una maniera diversa rispetto al passato. (Applausi dal Gruppo IdV e del sena-tore Vitali. Congratulazioni).
PRESIDENTE. E` iscritto a parlare il senatore D’Ambrosio Lettieri.
Ne ha facolta`.
D’AMBROSIO LETTIERI (PdL). Signora Presidente, signor Mini-stro, gentili colleghe e colleghi, vorrei partire da alcuni dati di fatto. Il primo e` relativo alla circostanza che la riforma del federalismo fiscale e`
da tempo considerata, in modo diffuso nel Paese, come una scelta non rin-viabile e vitale, se non vogliamo assistere all’inevitabile e definitivo col-lasso dei suoi assetti istituzionali. Quegli assetti, per intenderci, che sono stati profondamente modificati dalla norma del Titolo V della Costitu-zione, varata a maggioranza – vorrei ricordarlo al collega Pardi – con uno scarto di soli quattro voti dal Governo delle sinistre nel 2001 senza, peraltro, preoccuparsi di dare attuazione concreta all’articolo 119 della Costituzione.
E` questo l’asse mancante dal quale sono in larga misura poi dipesi la farragine di competenze, la deresponsabilizzazione amministrativa ed i pa-ralizzanti conflitti tra i vari livelli istituzionali che sono seguiti da quella legge e che il Paese ha pagato e sta continuando a pagare a caro prezzo. E non v’e` chi non sappia che si tratta di una situazione alla quale bisogna porre subito un apposito rimedio, come da tempo peraltro la stessa Con-sulta ha evidenziato con numerosi richiami.
Ma e` di oggi una notizia che trovo particolarmente interessante per il dibattito generale su questo provvedimento di cosı` rilevante portata. Ed e`
l’esito di un sondaggio fatto dalla Confcommercio-Format secondo il
quale il 62,4 per cento degli italiani ritiene il federalismo una riforma che serve veramente al Paese. Anzi, secondo la ricerca, il 66,2 per cento si dichiara favorevole al decentramento delle strutture dello Stato, il 72,4 per cento ritiene che le Regioni piu` deboli debbano essere aiutate da quelle piu` forti e l’87,3 per cento giudica positivamente la possibilita` degli enti locali di gestire autonomamente le risorse del proprio territorio. Per il 59,8 per cento poi, ci dicono le indagini svolte da questa statistica, il fe-deralismo e` un possibile veicolo di rinnovamento della democrazia nel no-stro Paese, il 55 per cento prevede che portera` ad una pressione fiscale inferiore o, al peggio, uguale a quella attuale e il 58,7 per cento prevede, addirittura, un miglioramento della qualita` dei servizi pubblici erogati.
Che il federalismo fiscale sia necessario e, al contempo, anche un’oc-casione storica per riformare in profondita` e in meglio gli assetti del Paese per modernizzarlo e per creare finalmente ad ogni livello istituzionale con-dizioni di amministrazione della cosa pubblica trasparenti, responsabili e
Che il federalismo fiscale sia necessario e, al contempo, anche un’oc-casione storica per riformare in profondita` e in meglio gli assetti del Paese per modernizzarlo e per creare finalmente ad ogni livello istituzionale con-dizioni di amministrazione della cosa pubblica trasparenti, responsabili e