• Non ci sono risultati.

Prevenzione e intervento in Giappone: le free school

Ritiro sociale estremo: hikikomori

2.7. Strategie di prevenzione: scuola e famiglia

2.7.1. Prevenzione e intervento in Giappone: le free school

Dal momento che il fenomeno hikikomori sarebbe di origine giapponese, è proprio lì che sono state messe in atto le prime strategie di prevenzione e di intervento. Sono nate infatti delle strutture scolastiche alternative a quelle tradizionali, le free school o free space. Le scuole giapponesi sono note per la loro rigidità e fermezza disciplinare così sono nate queste scuole parallele a cui possono rivolgersi le famiglie di ragazzi bocciati, che hanno uno scarso rendimento scolastico o che hanno subìto episodi di bullismo (fonte di una grande vergogna in Giappone). Si tratta di scuole che rispettano i normali programmi didattici previsti, ma che adottano strategie di insegnamento decisamente diverse dalle tradizionali. Sono scuole in cui i ragazzi si sentono più liberi di esprimersi, meno oppressi dalle rigide regole imposte e dalla competizione con i compagni. Comunque è importante sottolineare che queste scuole non prevedono programmi di riabilitazione da hikikomori, ma offrono un’alternativa alle famiglie e ai ragazzi che si trovano in difficoltà all’interno delle scuole tradizionali (Ricci, 2008).

Per quanto riguarda l’intervento invece il primo scoglio da superare è proprio l’individuazione di strategie più adeguate per stabilire un primo contatto con questi soggetti autoreclusi. Infatti sarà molto difficile che un hikikomori chieda spontaneamente aiuto per la paura di essere rinchiuso in qualche ospedale psichiatrico, tutt’oggi presenti in Giappone.

Solitamente quindi è la famiglia, la madre in particolare, a richiedere aiuto per il figlio e potrà rivolgersi sia ad un terapeuta. Questo inizierà le visite a domicilio e diventerà una presenza stabile e regolare davanti alla porta della camera del ragazzo; dialogherà con la madre per iniziare a capire quali possono essere le dinamiche familiari che hanno promosso l’instaurarsi e il consolidamento dell’autoreclusione. Poi sarà il silenzio l’unica modalità comunicativa con il ragazzo, il terapeuta accoglie il silenzio del ragazzo con rispetto e fiducia ma sempre facendo attenzione ai segnali non verbali che potrebbero provenire dall’altra parte della stanza. E anche quando il ragazzo sarà pronto ad aprire la porta verso il terapeuta, sarà importante continuare a mantenere un dialogo silenzioso inizialmente, nessuna domanda, né sollecitazioni ad uscire. È anche possibile rivolgersi ad una rental onesan, una “sorella maggiore in affitto”, una figura femminile, senza particolare preparazione professionale che però cerca di sfruttare le proprie capacità

empatiche per stimolare il contatto con il ragazzo hikikomori. Certamente rispetterà il silenzio presente, anche se qualche volta tenterà di far scivolare qualche bigliettino sotto la porta. La scelta di rivolgersi ad una ragazza per stabilire un contatto con i ragazzi autoreclusi è un retaggio dell’importanza dei ruoli familiari in Giappone: dalla sorella maggiore ci si aspetta più aiuto nella gestione dei fratelli.

Una volta che il terapeuta o la rental onesan sono riusciti a stabilire un contatto con il ragazzo, un rapporto di fiducia e riescono a farlo uscire dalla stanza, ha inizio il vero programma di intervento. Il ragazzo potrà iniziare a frequentare uno dei centri Free Space Wood (FSW), un centro che accoglie e riabilita questi ragazzi al reinserimento in società.

Questi centri sono organizzati in maniera molto particolare: un elemento molto importante è che all’interno del centro non esistono categorizzazioni né ruoli. Questo sembra aver effetti già molto positivi sui ragazzi perché non si sentono inferiori o giudicati. Generalmente al ragazzo che arriva al centro non viene chiesto nulla, nessuna anamnesi, viene semplicemente accolto nel miglio modo possibile. Non è raro che al momento del suo arrivo il soggetto non voglia comunicare con nessuno, eviti i luoghi comuni e stia in disparte; viene infatti predisposta una stanza singola in cui può stare fino al momento in cui non si senta libero di interagire con gli altri. Il ragazzo sarà sempre supportato psicologicamente e potrà col tempo anche richiedere una licenza per svolgere lavori part-time.

Un altro aspetto caratteristico di queste strutture è la mancanza di organizzazione del tempo: non esistono attività programmate. Il rischio in questo caso però è quello di creare un ambiente fin troppo protetto e che non rispecchia la società giapponese all’interno della quale il ragazzo prima o poi dovrà reinserirsi (Bagnato, 2017; Ricci, 2008). In chiave psicopatologica il fenomeno hikikomori può essere interpretato come conseguenza di una disfunzione cognitiva e l’intervento può avvenire sia a domicilio, sia nel centro. La psicoterapia inoltre dovrebbe essere associata alla terapia farmacologica (Furlong, 2008).

Secondo Takeshi Watanabe, terapeuta presso l’Accademia della Salute Mentale di Tokyo

«per poter essere in grado di aderire senza conflitti alla società è necessario riprendere possesso del proprio sé e questo deve rappresentare uno degli obiettivi del counseling psicologico» (cit. Ricci, 2009, p.132).

Nonostante la presenza del terapeuta sia importante è la famiglia la vera chiave di volta, è lì che è possibile ottenere risultati incoraggianti, grazie ad un costante sforzo di comprensione e autoriflessione da parte di tutti i componenti. È un impegno oneroso e importante perché a volte le espressioni di violenza e le parole di odio, le accuse rivolte alla famiglia scatenano momenti di disperazione, frustrazione spezzando un equilibrio già di per sé fragile.

Secondo Saito (1998) la pazienza e perseveranza possono veramente dare buoni frutti perché nonostante all’apparenza i ragazzi autoreclusi sembrino apatici, sono in realtà molto sensibili e ricettivi a tutto quello che gli accade intorno. La famiglia inoltre dovrebbe offrire in maniera incondizionata un senso di sicurezza, essere un riparo per il ragazzo che ha abbandonato la scuola, i suoi amici per trascorrere la propria vita, infelice e priva di senso, in una stanza. Certo non si possono stabile delle regole comportamentali da insegnare ai genitori per recuperare la relazione con il proprio figlio hikikomori, tuttavia mantenere un atteggiamento aperto, stimolare continuamente la conversazione anche al di là della porta può rappresentare un modo per far sentire la propria presenza.

Un altro aspetto importante e da non sottovalutare è il rispetto della privacy, anche se non esce dalla propria camera da settimane non è necessario violare il suo spazio.

Anche se agli occhi di un occidentale questo atteggiamento di estrema pazienza e sottomissione possono sembrare discutibili, Ricci (2008) afferma che bisognerebbe prendere atto che «i Giapponesi hanno difficoltà ad accettare una situazione imprevista se non ancora socialmente riconosciuta, prima il problema dovrebbe essere elaborato socialmente e per realizzare ciò è necessario che venga affrontato dalla forza del gruppo»

(cit. Ricci, 2008, pag. 63). Quindi se la famiglia non si sente supportata dalla società diventa difficile gestire il problema perché subentra la vergogna e la paura che le cose possano andare anche peggio.

Pazienza e gentilezza sembrano quindi le due colonne portanti della riabilitazione dallo stato di autoreclusione.

Capitolo 3

Documenti correlati