L’ECONOMIA ITALIANA
9. I PREZZI, I COSTI E LA COMPETITIVITÀ
Le pressioni al ribasso sull’inflazione, comuni a tutta l’area dell’euro, hanno interessato anche l’economia italiana. La dinamica dei prezzi è scesa in territorio negativo in estate, risentendo non solo dell’andamento dei prezzi dei beni energetici e di quelli alimentari, ma anche della debolezza della domanda, che si è riflessa in misura maggiore rispetto al passato sulle componenti di fondo dell’indice. Il calo dell’inflazione ha influito sulle aspettative, che sono diminuite e hanno mostrato segnali di lieve risalita solo dopo l’avvio del programma di acquisto di titoli dell’Eurosistema all’inizio del 2015.
Le retribuzioni hanno rallentato; la decelerazione è stata inferiore a quella dei prezzi al consumo, largamente inattesa e quindi non incorporata nei contratti siglati in precedenza. L’andamento dei prossimi rinnovi contrattuali dipenderà anche dall’evoluzione delle aspettative di inflazione.
L’indice di competitività di prezzo dell’Italia è migliorato nei mesi più recenti, soprattutto per effetto del deprezzamento del cambio dell’euro; è rimasto pressoché invariato rispetto all’inizio dell’Unione monetaria (a fronte di guadagni registrati dalla Germania e dalla Francia e a perdite subite dalla Spagna).
I prezzi
Nella media del 2014 l’inflazione, misurata dalla variazione dell’indice armonizza-to dei prezzi al consumo (IPCA), è scesa allo 0,2 per cenarmonizza-to (tav. 9.1), il valore più basso dall’avvio della serie storica nel 1987. Nel corso dell’anno è progressivamente diminuita,
Tavola 9.1
Prezzi al consumo
VOCI
Variazioni percentuali
sull’anno precedente percentualiPesi
2013 2014 2014
Indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) 1,3 0,2 100,0
Alimentari freschi 2,7 -0,7 8,4 Alimentari trasformati 1,5 0,5 12,3
Energetici -0,2 -3,0 9,1
Beni non alimentari e non energetici 0,6 0,5 27,7
Servizi 1,6 0,8 42,5
Beni e servizi a prezzo non amministrato 1,0 0,2 89,8 Beni e servizi a prezzo amministrato 3,1 0,5 10,2 Indice generale al netto di alimentari ed energetici 1,3 0,7 70,2
fino a risultare negativa nel terzo trimestre (-0,1 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno pre-cedente; fig. 9.1). Nel complesso del 2014 si è accentuata la flessio-ne dei prezzi dei prodotti eflessio-nerge- energe-tici (-3,0 per cento) e si è annul-lata la crescita di quelli dei beni alimentari (dal 2,0). Tuttavia, anche al netto di queste compo-nenti, l’inflazione di fondo è sce-sa a valori minimi nel confronto storico.
I margini ancora ampi di ca-pacità inutilizzata continuano a esercitare una pressione al ribasso sui prezzi, in misura più accen-tuata rispetto a precedenti episo-di recessivi1. Vi possono influire
variazioni delle aspettative e cambiamenti delle politiche di prezzo delle imprese; queste ultime risentono di circa tre anni di recessione quasi continua e di modifiche strutturali che comportano una maggiore frequenza di aggiustamento al ribasso dei listini (cfr. il riquadro: I cambiamenti nelle politiche di prezzo delle imprese durante la recessione).
1 M. Riggi e F. Venditti, Surprise! Euro area inflation has fallen, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 237, 2014.
Allo scopo di valutare il grado di flessibilità dei prezzi in Italia e la sua evoluzione nel tempo, una recente ricerca ha analizzato un ampio campione di quotazioni di singoli beni e servizi, rilevate mensilmente dall’Istat nell’ambito della costruzione degli indici dei prezzi al consumo1.
È emerso un aumento della flessibilità dei prezzi negli ultimi anni. Nella media del periodo 2006-2013 la quota di prodotti che in un determinato mese subisce un aggiustamento dei listini (quota indicativa della frequenza della variazione dei prezzi) è stata pari a circa il 15 per cento, sei punti percentuali in più rispetto agli anni 1996-20012. I prezzi dei beni energetici variano quasi ogni mese; quelli dei servizi restano mediamente stabili per poco meno di un anno. Nel tempo è in particolare aumentata la frequenza con cui si realizzano riduzioni di prezzo (dal 3,5
1 S. Fabiani e M. Porqueddu, Changing prices…changing times: evidence for Italy, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.
2 S. Fabiani, A. Gattulli, R. Sabbatini e G. Veronese, Consumer price setting in Italy, “Giornale degli economisti e annali di economia”, 65, 2006, pp. 31-74.
I CAMBIAMENTI NELLE POLITICHE DI PREZZO DELLE IMPRESE DURANTE LA RECESSIONE
Figura 9.1
Inflazione in Italia
e contributi delle sue componenti (1)
(dati mensili; variazioni percentuali sui 12 mesi e punti percentuali) 2015 2013 2014 -1 0 1 2 3 -1 0 1 2 3
indice generale al netto di alimentari ed energetici beni alimentari ed energetici
totale
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat. (1) IPCA.
L’indebolimento della dinamica dei prezzi si è riflesso sulle aspettative (cfr. il riquadro: I rischi di un’inflazione troppo bassa per un periodo prolungato). Le attese sul 2015 censite da Consensus Economics sono state riviste dall’1,3 per cento all’inizio del 2014 a -0,1 lo scorso febbraio; nei mesi più recenti sono lievemente salite, allo 0,1 per cento in maggio, in connessione con l’avvio del programma di acquisto di titoli pubblici da parte dell’Eurosistema. Nelle valutazioni degli operatori professionali l’inflazione rimarrebbe contenuta anche nel 2016, allo 0,9 per cento. Secondo le imprese intervistate lo scorso marzo dalla Banca d’Italia nell’ambito dell’indagine condotta in collaborazione con Il Sole 24 Ore, la variazione dei prezzi nell’orizzonte compreso fra tre e cinque anni si collocherebbe all’1,2 per cento (cfr. Indagine sulle aspettative di inflazione e crescita. Marzo 2015, in Supplementi al Bollettino Statistico, 18, 2015).
Il costo del lavoro
Nel 2014 è proseguito il rallentamento delle retribuzioni per ora lavorata (in atto dall’avvio della crisi dei debiti sovrani), per effetto della frenata registrata nel settore privato. Come nel 2013, la crescita delle retribuzioni di fatto è stata inferiore agli incrementi salariali previsti dai contratti collettivi in vigore, anch’essi in marcato rallentamento; le componenti extracontrattuali hanno fornito un contributo nullo.
Le retribuzioni sono comunque cresciute più dei prezzi: gli incrementi salariali previsti dai contratti stipulati sino alla metà del 2014 erano basati sulle previsioni dell’IPCA allora disponibili, successivamente rivelatesi superiori all’inflazione effettivamente realizzata2 (cfr. il capitolo 8: Il mercato del lavoro).
Il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) nel complesso del settore privato è aumentato dell’1,6 per cento, accelerando rispetto al 2013 per effetto della contrazione, di natura ciclica, del valore aggiunto per ora lavorata (cfr. il capitolo 6: Le imprese). Nell’industria l’accelerazione è stata particolarmente marcata (dall’1,9 al 3,6 per cento; fig. 9.2.a). In questo settore, dall’avvio della crisi dei debiti sovrani, il CLUP è cresciuto di circa il 7 per cento, come in Germania (cfr. il capitolo 3: Gli andamenti macroeconomici e le politiche di bilancio nell’area dell’euro) dove, a differenza dell’Italia, la produttività è aumentata, sebbene meno delle retribuzioni. In Francia e in Spagna la crescita del CLUP è stata invece più lenta, principalmente per effetto di una migliore evoluzione della produttività conseguita, soprattutto in Spagna, mediante una forte contrazione dell’input di lavoro.
2 L’incremento della dinamica delle retribuzioni in termini reali, passata dallo 0,4 allo 0,9 per cento, è spiegato per 0,1 punti dai contratti siglati nei primi sei mesi del 2014.
al 6,2 per cento). La variazione è marcata, soprattutto per i servizi, e la dimensione degli aggiustamenti tende a essere più ampia che in passato.
I cambiamenti sono in parte ascrivibili al maggior peso della grande distribuzione. Anche la profonda e prolungata recessione ha però avuto un impatto sul meccanismo di aggiustamento dei prezzi. Per i beni non alimentari e non energetici tale impatto si è manifestato con aggiustamenti verso il basso più frequenti e di entità maggiore, e con rincari di ampiezza meno elevata. Per i servizi si sono invece ridotte la frequenza e l’entità dei rincari.
La riduzione del prezzo del petrolio, per paesi che dipendono dall’estero per le importazioni di greggio, si traduce in una spesa energetica inferiore, liberando risorse che famiglie e imprese possono destinare a consumi e investimenti.
Nel corso degli ultimi decenni il contributo del petrolio al bilancio energetico italiano si è notevolmente ridimensionato: all’inizio degli anni settanta rappresentava quasi il 75 per cento del consumo primario di energia, mentre attualmente tale quota si è ridotta a circa un terzo, concentrata soprattutto nel settore dei trasporti.
Figura 9.2
Industria: costo del lavoro per unità di prodotto
(numeri indice: 2011=100)
(a) dinamica aggregata (1) (b) per quota di export (2)
70 80 90 100 110 120 70 80 90 100 110 120 '03 '04 '05 '06 '07 '08 '09 '10 '11 '12 '13 '14 esporta≥20% esporta<20% 70 80 90 100 110 120 70 80 90 100 110 120 '03 '04 '05 '06 '07 '08 '09 '10 '11 '12 '13 '14 produttività CLUP retribuzioni
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Conti economici nazionali e Banca d’Italia, Indagine sulle imprese industriali e dei servizi; cfr. nell’Appendice la sezione: Note metodologiche.
(1) Produttività calcolata come rapporto tra il valore aggiunto al costo dei fattori a valori concatenati e le ore lavorate; CLUP pari al rapporto tra il costo orario del lavoro dipendente e la produttività. – (2) Imprese distinte a seconda della propensione all’export (almeno il 20 per cento del fatturato; meno del 20 per cento del fatturato). Indicatore di CLUP calcolato come differenza tra la dinamica delle retribuzioni per ora lavorata e la dinamica del fatturato totale a prezzi costanti per ora lavorata.
La crescita del CLUP è tuttavia avvenuta con notevoli differenze tra imprese esportatrici e non esportatrici. Sulla base dell’Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (Invind) della Banca d’Italia, a partire dal 2011 le aziende industriali più dipendenti dalla domanda interna hanno visto crescere il CLUP in misura superiore rispetto a quelle più orientate ai mercati internazionali, nelle quali, grazie alla crescita della domanda, la produttività è aumentata in misura maggiore (fig. 9.2.b).
I costi dell’energia e degli altri beni intermedi
I prezzi alla produzione dei beni venduti sul mercato interno sono diminuiti in media dell’1,8 per cento nel 2014. Hanno concorso alla flessione il calo dei prezzi dei prodotti energetici e, in misura minore, di quelli della componente alimentare. In Italia l’impatto del prezzo del greggio sull’indice dei prodotti energetici è maggiore rispetto alla Germania e alla Francia; si è tuttavia ridotto nel tempo a causa delle profonde modificazioni che hanno interessato la struttura del settore energetico del Paese (cfr. il riquadro: Il calo del prezzo del petrolio e la struttura del settore energetico).
Si è poi ridotto il ruolo delle quotazioni del petrolio come valore di riferimento per la fissazione dei prezzi all’ingrosso degli altri prodotti energetici, anche grazie al processo di liberalizzazione dei mercati intrapreso agli inizi degli anni duemila. Il prezzo del gas è sempre più determinato dalle quotazioni che si formano sui principali hubs europei sulla base della domanda e dell’offerta, e non è più ancorato ai corsi petroliferi come in passato; il prezzo dell’energia elettrica ha seguito per lo più l’andamento dei mercati del gas ed è stato influenzato dal recente sviluppo delle fonti rinnovabili, che nel 2014 hanno contribuito per il 43 per cento alla produzione di energia elettrica (era il 18 nel 2004), mentre la quota di elettricità ottenuta mediante la trasformazione dei derivati del petrolio e del gas è stata pari al 2 e al 34 per cento, rispettivamente (erano il 16 e il 43 nel 2004). Le fonti rinnovabili hanno beneficiato di incentivi crescenti, che nel 2014 hanno superato i 13 miliardi di euro (più che raddoppiando rispetto al 2011), arrivando a incidere per poco meno di un quarto sulla spesa elettrica dell’utente tipo (era poco oltre un decimo nel 2011).
L’incidenza dei costi della materia prima sui prezzi al dettaglio dei prodotti energetici si è ridotta nel tempo anche per la crescente rilevanza che hanno assunto oneri di natura fiscale e parafiscale (i costi infrastrutturali e il finanziamento alle energie rinnovabili): il costo della materia prima nel 2014 ha rappresentato il 45 per cento del prezzo finale dell’elettricità, circa il 40 per i carburanti e per il gas naturale (erano rispettivamente il 53, il 44 e il 39 per cento nel 2011).
Basandosi su informazioni di origine campionaria1, si è stimato che, con una stabilizzazione dei prezzi dei prodotti petroliferi sui livelli del dicembre 2014, le famiglie potrebbero beneficiare di un risparmio sulla spesa per carburanti pari a 2,1 miliardi di euro nel complesso dell’anno in corso (80 euro medi per famiglia); il risparmio sarebbe minore per le famiglie meno abbienti, che più frequentemente non possiedono veicoli. Tutte le famiglie potrebbero invece trarre vantaggio dagli effetti legati alla minor spesa per trasporto, che ammonterebbe a circa 500 milioni nell’ipotesi di una traslazione completa dei minori prezzi dalle aziende alle famiglie. Per le imprese, utilizzando alcune recenti ricostruzioni della spesa energetica2, una diminuzione dei prezzi dei derivati del petrolio compresa tra il 10 e il 15 per cento porterebbe a una crescita addizionale di circa 650 milioni di euro per il fatturato (pari a una riduzione dello 0,9 per cento del costo del lavoro) e di 27 milioni per gli investimenti.
1 I. Faiella e A. Mistretta, Gli effetti delle riduzioni delle quotazioni del greggio sulla spesa energetica e sull’attività
economica, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.
2 I. Faiella e A. Mistretta, Spesa energetica e competitività delle imprese italiane, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 214, 2014.
Anche i beni intermedi non energetici hanno esercitato pressioni al ribasso sui costi delle imprese, seppur in misura minore. I prezzi all’origine di tali prodotti sono diminuiti di circa lo 0,5 per cento nella media del 2014, un valore analogo a quello registrato l’anno precedente. Considerando gli input intermedi importati la flessione è risultata maggiore, pari a quasi il 2 per cento (-2,9 nel 2013).
La competitività di prezzo
Il deprezzamento dell’euro, particolarmente marcato nei primi tre mesi del 2015, si è riflesso in un rapido miglioramento degli indicatori di competitività basati sui prezzi alla produzione rispetto alla fine del 2014, con guadagni stimati tra il 3 e il 4 per cento per i quattro maggiori paesi dell’area.
Considerando l’intero periodo dell’Unione monetaria, tra il 1999 e il 2014 la competitività sui mercati internazionali, sempre sulla base dei prezzi alla produzione, è migliorata per le imprese tedesche e francesi (fig. 9.3.a), principalmente in virtù degli scambi con gli altri paesi dell’area dell’euro3; è invece fortemente peggiorata per quelle spagnole. Nel nostro paese si è attestata, nella media del 2014, sui livelli dell’inizio dell’Unione monetaria. Il divario accumulato dall’Italia rispetto alla Francia e, soprattutto, alla Germania, risulta decisamente maggiore se misurato con gli indicatori di competitività basati sui costi unitari del lavoro, elaborati dalla BCE. Analisi empiriche indicano tuttavia che per l’Italia gli indicatori di competitività basati sui prezzi, tra cui quelli alla produzione, spiegano meglio l’andamento delle esportazioni di beni rispetto a quelli basati sui costi unitari del lavoro, che risultano distorti dal processo di globalizzazione4.
L’aggiustamento dei prezzi dei nostri manufatti è stato in linea con la media dell’area dell’euro; ne discende che la competitività dell’Italia rispetto al complesso di queste economie è rimasta stabile (fig. 9.3.b).
Figura 9.3
Indicatori di competitività dei maggiori paesi dell’area dell’euro e tasso di cambio effettivo reale dell’euro (1)
(numeri indice: 4° trimestre 1999=100; media mobile di 4 trimestri)
(a) indicatori di competitività
dei principali paesi dell’area
(b) indicatore di competitività dell’Italia rispetto
ai concorrenti interni e a quelli esterni all’area
85 90 95 100 105 110 115 '99 '00 '01 '02 '03 '04 '05 '06 '07 '08 '09 '10 '11 '12 '13 '14 '15 85 90 95 100 105 110 115
tasso di cambio effettivo reale globale tasso di cambio effettivo reale - area dell'euro tasso di cambio effettivo reale - extra area dell'euro
'99 '00 '01 '02 '03 '04 '05 '06 '07 '08 '09 '10 '11 '12 '13 '14 '15
Spagna Italia
Germania Francia
tasso di cambio effettivo reale dell'euro
Fonte: Banca d’Italia e, per il tasso di cambio effettivo reale dell’euro, BCE.
(1) Sulla base dei prezzi alla produzione dei manufatti. Un aumento segnala una perdita di competitività. Gli indicatori di competitività sono calcolati nei confronti di 61 paesi concorrenti (ivi compresi i membri dell’area dell’euro); il dato per l’ultimo trimestre è in parte stimato. Il tasso di cambio effettivo reale dell’euro è calcolato dalla BCE nei confronti di 20 paesi concorrenti esterni all’area.
3 A. Felettigh, C. Giordano, G. Oddo e V. Romano, Reassessing price-competitiveness indicators of the four largest
euro-area countries and of their main trading partners, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza,di prossima pubblicazione.
4 C. Giordano e F. Zollino, Exploring price and non-price determinants of trade flows in the largest euro-area countries, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 233, 2014.