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La prima parte dell’opera

Nel documento Cleone e Nicia: due leader a confronto (pagine 169-185)

La biografia di Nicia prende il via dalla dichiarazione di metodo di cui si è già detto nel paragrafo precedente. Oltre ad esplicitare le fonti utilizzate nella ricostruzione, l’autore fornisce una spiegazione riguardo alla scelta del confronto tra Nicia e Crasso: le grandi disfatte subite dai due protagonisti, quella di Nicia in Sicilia e quella di Crasso a Carre, costituiscono l’elemento cardine del paragone18. Il

parallelismo tra i due eventi disastrosi e la centralità della spedizione in Sicilia forniscono una prima chiave di lettura: il ruolo di Nicia come stratego è l’elemento più significativo della biografia e, del resto, il resoconto della spedizione in Sicilia occupa la maggior parte dell’opera. Subito dopo il paragrafo iniziale, l’introduzione della figura del protagonista viene affidata al giudizio encomiastico che Aristotele riporta sul figlio di Nicerato – insieme a Tucidide di Melesia e Teramene di Agnone – nel già analizzato passo di Athenaion Politeia 28, 5. La riproposizione dell’elogio non avviene attraverso una citazione letterale: Plutarco introduce delle lievi variazioni riguardo alla posizione politica propugnata dei tre personaggi e la valutazione di Teramene19, modificando di fatto il significato del testo originario. Se Aristotele pone l’accento sulla capacità di questi statisti di collocarsi in una posizione mediana rispetto alle due parti politiche di Atene, come sembra suggerire il termine πατρικῶς20, Plutarco parla di

benevolenza solo nei confronti del popolo (πατρικὴν ἔχοντες εὔνοιαν καὶ φιλίαν πρὸς τὸν δῆμον), probabilmente con l’obiettivo di introdurre fin da subito il motivo della demagogia sviluppata nei capitoli successivi, attraverso i riferimenti alla munificenza di Nicia21. Una spia della connotazione demagogica dei tre politici

17 Duff 1999, pp. 55-56. In generale sulle vite positive e negative si veda pp. 53-65.

18 Nel confronto finale (Comparat. Nic. et Crass. 3, 8) Plutarco distingue però l’atteggiamento di

Nicia, che si era opposto fin dal principio alla spedizione ed era stato costretto a parteciparvi, e quello di Crasso, che aveva spinto i Romani all’impresa contro il loro volere.

19 Levi 1955, p. 162; Piccirili 1993, p. 231. 20 Per un’analisi approfondita si rimanda a p. 41.

21 Piccirilli 1993, p. 232, il quale ritiene che la rielaborazione del testo aristotelico sia frutto di

risulta anche dall’affermazione che Teramene era uno straniero di Ceo (ξένος ἐκ Κέω)22, in modo conforme alla tradizionale parodia comica che dipingeva i

demagoghi come uomini di origine straniera e condizione servile23. L’attribuzione

di caratteristiche demagogiche a questi tre politici non impedisce a Plutarco, che in questo caso segue Aristotele, di sottolinearne l’opposizione a quelli che furono in realtà gli esponenti del “partito democratico”: Plutarco ricorda che Tucidide si oppose alla politica di Pericle (il verbo utilizzato è, anche in questo caso24, il

teopompeo ἀντιπολιτεύεσθαι), mentre Nicia è subito identificato come punto di riferimento dei ricchi e dei notabili (εἰς τὸ πρωτεύειν προήχθη μάλιστα μὲν ὑπὸ τῶν πλουσίων καὶ γνωρίμων)25 e soprattutto come oppositore di Cleone, descritto

secondo i caratteri già emersi nella commedia e in Tucidide26.

Il motivo dell’opposizione a Cleone in particolare, assieme a quello già accennato della spedizione in Sicilia, è un elemento cardine nell’intera opera, in quanto a questi due fattori sembra essere indissolubilmente legata la valutazione del personaggio e la sua conseguente interpretazione. Fin da questo capitolo si evidenzia dunque la contrapposizione come capo del popolo e capo dei notabili, sviluppata poi nella prima parte dell’opera. Anche i termini usati per descrivere i due ateniesi sono diametralmente opposti: Cleone incarna la spudoratezza e la temerarietà, Nicia la dignità e la timidezza, quello ebbe fama perché la sua ciarlataneria permetteva al popolo di guadagnare qualche soldo, questo ebbe sempre successo come comandante dell’esercito. La percezione di una certa positività nella rappresentazione di Nicia, dovuta all’encomio nelle parole di Aristotele e all’opposizione all’immoralità di Cleone, viene mitigata dai tratti ambigui di cui subito Plutarco riveste il personaggio. Innanzitutto Nicia viene avvicinato a Pericle, appena definito come fautore di una politica demagogica,

22 Tale tradizione deriva con ogni probabilità da Eupoli (F 251 K – A), che dipingeva Teramene

come nativo dell’isola di Ceo, adottato solo in seguito da Agnone. Cfr. Piccirilli 1993, p. 324.

23 Cfr. Connor 1971, pp. 169-171; Piccirilli 1993, p. 234; Saldutti 2014, pp. 22-26. 24 Cfr. Plut. Per. 8, 5.

25 I due termini sono diversi da quello usato da Aristotele per descrivere il seguito di Nicia, gli

epiphaneis, ma è interessante che entrambi non hanno connotazione aristocratica, e in particolare il primo fa leva sulla ricchezza. Differente invece è l’espressione usata per Tucidide di Melesia, a capo dei kaloi kai agathoi. Lo afferma anche Piccirilli 1993, p. 236.

26 La terminologia è molto simile: βδελυρία, τόλμα, πλεονεξία, ἰταμότης e θράσος: quest’ultimo

attraverso l’affermazione che egli fu collega di quest’ultimo nella strategia e che ebbe il comando anche da solo, pur essendo ancora giovane. La notizia, che non è presente in nessun’altra fonte, crea qualche contrasto anche con Tucidide, che non introduce le campagne di Nicia prima del terzo capitolo, nel 42727. Altro elemento

di ambiguità è costituito dal rapporto tra lo stratego e il popolo ateniese: pur essendo il punto di riferimento dei conservatori contro la politica di Cleone, infatti, Nicia, che temeva fortemente il popolo e in particolare i sicofanti, se ne guadagnò la benevolenza e le simpatie grazie al suo atteggiamento schivo e reverenziale: non era dunque in grado, come il predecessore, di guidare la massa, ma al contrario la temeva e si lasciava influenzare dai suoi cambiamenti d’umore28.

Altro motivo che fa la sua comparsa nel capitolo è quello dell’εὐτυχία, già ampiamente presente in Tucidide. Esso è fortemente legato al suo essere ἀπαθής, ovvero al fatto che non aveva mai subito sconfitte: Nicia difatti, come lo stesso Plutarco mette in evidenza nella comparatio finale29, si preoccupava di evitare

imprese che lo portassero a correre gravi rischi e sceglieva accuratamente le campagne da sostenere, in modo che la sua reputazione di generale vittorioso non venisse mai messa in discussione30.

Nel terzo capitolo viene riproposto l’accostamento a Pericle menzionato precedentemente e vengono esplicitate le differenze nell’atteggiamento verso la massa, che prima si erano lasciate sottintese: l’approvazione popolare per Pericle poggiava sulle sue doti personali e sulla sua eloquenza, mentre Nicia, che non poteva vantare le medesime qualità, ricorreva alla ricchezza per conquistare il 27 Kagan 1974, p. 130 ricorda come prime strategie di Nicia quelle che sono elencate da Tucidide; sembra però accettare l’informazione di Plutarco riguardo alla strategia insieme Pericle (p. 170 n. 90). Lo studioso del resto sottolinea la vicinanza di Nicia a Pericle nei primi anni della sua carriera politica. Geske 2005, pp. 15 ss. sostiene l’improbabilità dell’informazione di Plutarco. Piccirilli 1993, p. 235 rimanda a Hornblower 1991, p. 336 sull’identificazione dello stratego con un altro Nicia e a Fornara 1971, p. 51 e Develin 1989, p. 103 sulla possibilità che ci sia stata confusione tra Nicia e Agnone figlio di Nicia. Sulle strategie ricoperte da Nicia si veda anche Fornara 1971, pp. 56-65; Develin 1989, pp. 124 ss.

28 Marasco 1976, p. 68 osserva che qui per la prima volta appare il tema della debolezza di Nicia,

predominante nell’intera biografia. Dunque, pur mettendo in evidenza l’onestà del personaggio, Plutarco porta subito a galla la debolezza del suo carattere. Marasco (1976, p. 65) sottolinea inoltre che l’ambiguità rilevata da Plutarco non può che provenire da Teopompo.

29 Plut. Compar. Nic. et Crass. 3, 5.

30 Prandi 1978, pp. 58-68; Powell 1979, p. 24; Lateiner 1985, p. 213. Sull’eutuchia nella propaganda

popolo, attraverso l’allestimento di spettacoli e la liberalità31. Oltre alla sfarzosità e

alla ricchezza di tali manifestazioni, viene sottolineata la particolare dedizione nelle offerte e nelle celebrazioni in onore delle divinità, per identificare Nicia come uomo devoto alle tradizioni religiose panelleniche32; esemplificativo al riguardo è

l’aneddoto del giovane schiavo affrancato per aver ottenuto grande successo nell’interpretazione di Dioniso33.

La menzione delle celebrazioni a Delo ha portato molti studiosi a mettere in connessione con la figura di Nicia la notizia tucididea della purificazione di Delo risalente al 426/534: sebbene lo storico non lo ricordi tra gli organizzatori di tali

cerimonie, si ritiene generalmente che il pio stratego avesse giocato un ruolo di primo piano nella loro promozione35. A tale episodio viene inoltre spesso collegata

la notizia, riportata da Diogene Laerzio36, secondo la quale al tempo della

quarantaseiesima olimpiade, quindi in età soloniana, Nicia di Nicerato fu inviato dagli Ateniesi a Creta: Τότε καὶ Ἀθηναίοις [τότε] λοιμῷ κατεχομένοις ἔχρησεν ἡ Πυθία καθῆραι τὴν πόλιν: οἱ δὲ πέμπουσι ναῦν τε καὶ Νικίαν τὸν Νικηράτου εἰς Κρήτην, καλοῦντες τὸν Ἐπιμενίδην. καὶ ὃς ἐλθὼν Ὀλυμπιάδι τεσσαρακοστῇ ἕκτῇ ἐκάθηρεν αὐτῶν τὴν πόλιν καὶ ἔπαυσε τὸν λοιμὸν τοῦτον τὸν τρόπον.

Allora, agli Ateniesi attaccati dalla peste, la Pizia profetizzò di purificare la città: questi mandano una nave e Nicia di Nicerato a Creta, per chiamare in aiuto Epimedide. E questo essendo giunto

31 Se il giudizio positivo su Pericle riprende quello tucidideo e quello già espresso da Plutarco nella

biografia dedicata al figlio di Santippo (cfr. Levi 1955, p. 163), la fonte principale del capitolo sembra essere la digressione di Teopompo sui demagoghi, in quanto emerge la censura dello storico chiota verso l’uso delle ricchezze come strumento per accattivarsi il favore popolare (cfr. Marasco 1976, p. 69). 32 Le cerimonie più celebri erano quelle che si tenevano a Delo. Marasco 1976, p. 71 individua un legame tra la cura di Nicia per tali cerimonie e la volontà di mantenere un buon rapporto con gli alleati. Hanno messo in evidenza il valore politico dell’atteggiamento religioso di Nicia Prandi 1978, pp. 53-56 e Geske 2005, pp. 76-84. 33 Cfr. Levi 1955, pp. 163-164. 34 Thuc. III, 104. 35 Così West 1924a, pp. 207-208; Gomme 1956, p. 415; Prandi 1978, pp. 53-54; Garland 1985, p. 45;

West 1985, p. 51; Geske 2005, 168-175. In realtà, come mette in evidenza lo stesso Hornblower (1991, pp. 517 ss.), quello di Nicia non è l’unico nome associato alla spedizione, tanto più che risulterebbe strana la mancanza della notizia in Plutarco. Hanno ipotizzato che la spedizone fosse stata condotta da Cleonimo Lewis 1985, p. 108; Mattingly 1988, p. 321. Hornblower 1991, p. 519 ipotizza invece che lo stesso Tucidide fosse legato alla purificazione.

nella quarantaseiesima olimpiade purificò la loro città e in questo modo la pestilenza cessò.

A proposito di questo frammento, gli studiosi moderni sono soliti chiamare in causa lo stratego di quinto secolo, secondo due modalità differenti: da una parte, alcuni ritengono che Diogene Laerzio abbia traslato all’inizio del sesto secolo un’iniziativa di Nicia, che avrebbe consultato gli oracoli epimenidei allo scoppio della peste, nel 43037; la maggior parte, invece, tenendo conto dell’abilità dello

stratego nella costruzione della propria immagine pubblica e in particolare della sua fama di uomo pio e rispettoso degli dei, ritiene che la notizia riportata da Diogene sia frutto di una propaganda condotta parallelamente all’episodio della purificazione di Delo, nella quale Nicia avrebbe fatto apparire la sua devozione come una caratteristica ereditaria della sua famiglia38. L’elemento più significativo

rimane però il significato anticiloniano del gesto purificatore: tradizionalmente esso viene interpretato in chiave di opposizione tra Nicia e l’Alcmeonide Alcibiade, ma tale lettura sembrerebbe decisamente anacronistica, visto che il contrasto tra Nicia e Alcibiade non prese forma prima della conclusione della guerra archidamica: sarebbe più corretto pensare, piuttosto, in particolare in riferimento alla prima ipotesi, a un’azione di significato antipericleo, che riprenderebbe la propaganda spartana all’inizio della guerra del Peloponneso e attesterebbe l’identificazione di Nicia come “uomo della pace” fin dai primi anni del conflitto.

Il tema della superstizione ha importanza centrale anche nel quarto capitolo. Plutarco innanzitutto rileva la connessione tra l’atteggiamento liberale di Nicia e la sua ambizione politica, come del resto è stato messo in evidenza anche dagli studiosi contemporanei. La religione era anche per Nicia un instrumentum regni, non diversamente da quanto sembra emergere nella commedia sul conto di Cleone,

37 Huxley 1969, p. 236; Geske 2005, pp. 174-175. Alcuni studiosi (Connor 1976, pp. 61-64), Herman

1989, pp. 83-93) hanno voluto inoltre collegare l’episodio con un’altra spedizione a Creta, alla quale prese parte un certo Nicia di Gortina, citato da Tucidide in II, 85, 5. Essi propongono l’identificazione di tale Nicia con il celebre stratego, vedendo nell’interesse per Creta una sorta di filo conduttore dell’operato del figlio di Nicerato. Tale ipotesi richiederebbe però un intervento su un testo tramandato dai manoscritti senza alcuna corruzione e inoltre risulterebbe difficile pensare che Tucidide non avesse connotato Nicia di Nicerato, alla sua prima menzione, se non con un’introduzione, per lo meno con il patronimico. Cfr. a proposito Hornblower 1991, pp. 517-519.

che si serviva degli oracoli per manipolare le masse39. Del resto, lo stesso

Tucidide40 è testimone dell’influenza esercitata dalla sfera della divinazione sul

popolo durante gli anni della guerra archidamica e della varietà dei vaticini, che mutavano a seconda di quello che “ciascuno desiderava udire”: l’abuso di tali pratiche doveva essere una prerogativa dei demagoghi, abituati ad agire per compiacere il popolo41. Oltre alla disapprovazione riguardo all’uso della liberalità

come strumento politico, Plutarco aggiunge, riportando una citazione di Pasifonte42, che con la scusa di consultare gli indovini per questioni pubbliche, di

fatto Nicia li interpellava per i suoi affari privati, ovvero per i possedimenti minerari del Laurion e lo sfruttamento degli schiavi. Si è già ricordato come la cura degli affari privati a svantaggio del bene comune fosse una caratteristica attribuita da Tucidide e da altri autori, come Isocrate, ai biasimevoli successori di Pericle. Inoltre, il collegamento con la ricchezza proveniente dai possedimenti minerari offre a Plutarco ancora una volta l’occasione per parlare delle elargizioni di denaro di Nicia, destinate tanto agli uomini meritevoli quanto a quelli disonesti, da lui fortemente temuti43. Per sostenere tali informazioni, il biografo riporta i versi di

comici di cui si è parlato nel secondo capitolo: le citazioni caratterizzano Nicia come uomo debole, che soccombe per timore alle richieste di prestiti44. Non va

inoltre dimenticato che una di queste menzioni coinvolge proprio Cleone come “tormentatore” di Nicia, sebbene in realtà la citazione, tratta dai Cavalieri, non riporti versi pronunciati da Paflagone, ma dal salsicciaio45. L’errata attribuzione

dei versi a Cleone potrebbe essere spiegata con la volontà da parte dell’autore di mantenere la continuità tra il tema della viltà e l’incapacità di opposizione al demagogo. Di nuovo, dunque, il tema della vigliaccheria è un motivo chiave nel

39 Si vedano i riferimenti in Aristoph. Eq. 61; 115-116; 819; 960-961; 1000. 40 Thuc. II, 8, 2; II, 21, 3.

41 Smith 1989, p. 147. Una simile situazione si verifica, stando al resoconto dello stesso Plutarco,

alla vigilia della spedizione in Sicilia. Cfr. infra p. 184.

42 Seguace di Socrate di cui abbiamo notizie in Diogene Laerzio Vit. phil. II, 61. Perrin 1902, p. 143

ipotizza che Pasifonte sia stata la fonte principale di Plutarco nei primi capitoli; Piccirilli 1993, p. 243 sostiene che Plutarco abbia consultato Pasifonte di prima mano, quando si trovava ad Atene.

43 Non va dimenticato che le elargizioni sono strumento tipico da parte dei moderati per acquistarsi

il favore della folla. È quello che Plutarco indirettamente rimprovera anche a personaggi come Cimone.

44 Cfr. anche Levi 1955, p. 167. 45 Cfr. supra p. 99 n. 221.

capitolo, non solo per le elargizioni concesse ai prepotenti, ma anche per la devozione di Nicia, frutto di fatto di timore superstizioso46.

Nel quinto capitolo prosegue la descrizione della personalità del protagonista, con particolare attenzione all’esercizio delle cariche pubbliche e allo stile di vita ritirato. Ancora una volta Plutarco sembra voler creare un parallelo con Pericle, in quanto, anche nella Vita a questo dedicata, il biografo ricorda che Pericle viveva in disparte, lontano dalla folla47. A questo proposito risulta interessante

anche la menzione di Gerone, l’uomo incaricato di “costruire” l’immagine pubblica di Nicia, il quale si diceva figlio di quel Dionigi Calco che aveva partecipato alla fondazione di Turi48 e doveva perciò far parte dell’entourage pericleo. L’immagine

che emerge di Nicia è quella di un politico dedito agli affari di stato che non aveva tempo per alcuno svago, rimaneva fino a notte fonda nello strategheion ed era il primo a presentarsi nella boulè e l’ultimo ad andarsene. Egli non riceveva nessuno neanche nella propria casa, con la scusa di essere impegnato a sbrigare gli affari di stato. Plutarco però sottolinea che tutto questo era più che altro una messa in scena (il verbo usato è συντραγῳδέω) organizzata grazie all’aiuto dei propri amici (φίλοι)49 e in particolare al già citato Gerone. Questo infatti si occupava di trattare

con gli indovini e di diffondere la voce della vita faticosa e difficile cui Nicia era costretto a causa della cura degli affari di stato, che non gli permettevano neanche di fare un bagno in casa50. Era dunque cura di Gerone spargere la voce che Nicia

trascurava i propri affari, i propri amici e il proprio denaro, differentemente dagli altri politici che si arricchivano a parlare dalla tribuna (il comportamento è lo stesso descritto dall’autore e da Aristotele in riferimento a Cleone). In realtà l’uso del composto di τραγῳδέω e l’affermazione del capitolo precedente, secondo cui Nicia, fingendo di consultare gli indovini per gli affari di stato, di fatto cercava

46 Levi 1955, p. 127; Gomme 1956, p. 71.

47 Plut. Per. VII, 5. La riservatezza di carattere era un atteggiamento contrario alle abitudini

democratiche, proprio contro l’ἀπραγμοσύνη si scaglia lo stesso Pericle nell’epitaffio tucidideo.

48 Cfr. Plut. Mor. 835 c-d. Si vedano De Sanctis 1944 p. 169; Moggi 1979, pp. 499-504.

49 Non è chiaro se qui Plutarco alluda all’eteria privata di Nicia o semplicemente ai suoi amici. Cfr.

Piccirilli 1993, p. 247. L’esistenza dell’eteria è negata da Hatzfeld 1951, p. 113, ma non da Sartori, p. 79 e n. 2.

50 Non va dimenticato che l’uso di amici o compagni politici per diffondere segretamente

(ἀπόρρητα) voci, nell’intento di manipolare il popolo, ricalca il modo di agire della parte più conservatrice della società.

informazioni per i propri beni personali, fa ben comprendere la posizione di Plutarco in merito. Oltre a questo, la citazione finale di Euripide51 porta ancora a

galla il motivo della demagogia e di Nicia come “schiavo della folla” (τῷ τ᾽ὄχλῳ δουλεύομεν)52. Due elementi emergono quindi da questo capitolo riguardo alla

personalità di Nicia: la paura della folla, che lo portava ad esserne sottomesso, diversamente da Pericle che non si faceva mai guidare da essa, e l’atteggiamento riservato, tradizionalmente contrario allo spirito democratico.

Il capitolo sesto si concentra sul Nicia stratego ed è premessa indispensabile alla narrazione plutarchea dei due episodi centrali della biografia: Pilo e la spedizione in Sicilia. Ancora una volta viene ribadito il timore di Nicia nei confronti del popolo, per sottolineare come fosse questa paura a condizionare le sue scelte, le sue azioni e in generale il suo atteggiamento nei confronti delle campagne militari. La consapevolezza della volubilità della massa, che era solita rivoltarsi anche contro gli strateghi più amati, come Pericle, lo spinse innanzitutto a evitare accuratamente comandi militari difficili e di lunga durata – come appunto fece a Pilo e tentò di fare per la Sicilia – e, in caso di vittoria, ad attribuire il successo alla buona sorte e al favore divino53, per evitare il φθόνος θεῶν54. Questa tattica lo

portò ad essere, prima della sconfitta in Sicilia, il generale più vittorioso di Atene, non toccato dagli insuccessi degli altri ed estraneo alla responsabilità di tutti i disastri che capitarono agli Ateniesi in guerra. Plutarco ne elenca quindi i successi militari più importanti: Citera, la campagna in Tracia, l’assedio di Megara, Minoa, Nisea55. L’episodio delle scorrerie presso Corinto dà modo al biografo di introdurre

un aneddoto solo accennato in Tucidide, che serve a ribadire la pietas di Nicia56.

Durante la campagna, furono lasciati sul campo i corpi di due soldati e Nicia, 51 Eurip. Ifig. Aul. 449. 52 Sia Levi 1955, p. 167 che Marasco 1976, p. 81 concordano sull’atteggiamento fortemente critico di Plutarco. 53 Prandi 1978, pp. 51-52. 54 Tali motivi sembrano rispecchiare quanto affermato in Thuc. V, 16, 1 a proposito dei motivi per cui Nicia desiderava la pace. 55 L’elenco non rispetta l’ordine cronologico che si può dedurre dalla narrazione tucididea, non fa

menzione della spedizione contro Melo e la Locride, non ricorda l’incursione nel territorio di Tanagra; inoltre Nisea fu in realtà conquistata da Demostene e Ippocrate nel 424 (Thuc. IV, 66, 3; 68, 3 e 69, 1-4; Diod. XII, 66, 3-4), ma secondo Thompson 1969, pp. 160-162 l’errore sarebbe frutto di un fraintendimento del passo tucidideo.

accortosene, fermò la flotta e decise di rinunciare al trionfo piuttosto che lasciare i suoi concittadini senza sepoltura. Si tratta di uno di quegli episodi apprezzati da Plutarco soprattutto perché permettono di comprendere qualcosa del carattere del personaggio, anche se poco significativi ai fini della ricostruzione storica (da notare che Tucidide attribuisce la decisione di recuperare i cadaveri agli

Nel documento Cleone e Nicia: due leader a confronto (pagine 169-185)

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