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Le prime fasi dello sviluppo industriale nell’area orientale di Napol

LA GEOGRAFIA DEL TERRITORIO E LA DINAMICA INDUSTRIALE NELLA PERIFERIA EST DI NAPOL

3. Le prime fasi dello sviluppo industriale nell’area orientale di Napol

La Piana Orientale di Napoli, sin dal Seicento, ha rappresentato un ne- vralgico polo di attrazione per gli insediamenti produttivi, per la presenza di alcuni fattori favorevoli quali: la possibilità di sistematico sfruttamento agricolo dei poderi adiacenti le antiche ville suburbane; la parziale bonifica dei terreni paludosi; la presenza di fonti idriche, come il fiume Sebeto ed i suoi numerosi affluenti, la costa ed il porto; la presenza di operai di varie nazionalità, specializzati in diversi settori. Come mostra la figura 5, sin dal Seicento erano attivi sul territorio diversi mulini ad acqua che, nel 1831, raggiungevano già le 53 unità, delle quali molte lungo il fiume Sebeto, evidenziato nella carta, e ben 23 collocate nei quartieri Mercato e Vicaria.

Figura 5: I mulini a forza idraulica attivi nell’area Est di Napoli nei secoli XVII-XIX2

Fonte: Elaborazione su IGM, 1992, F 184, I SO-SE

2. 1 mulino di Porta Capuana; 2 mulino di Porta Nolana; 3 mulino del Carmine; 4 mu- lino della Ruota; 5 mulino delle Carcioffole; 6 mulino della Farfara; 7 mulino dell’In- ferno; 8 mulino Prodi; 9 mulino Bizzarro; 10 mulino Petriccione; 11 mulino del Salice; 12 mulino Caracciolo; 13 mulino Jannazzo; 14 mulino Jannazziello; 15 mulino della Ferriera; 16 mulino Bonaventura; 17 mulino Pagliaro; 18 mulino Savino ; 19 mulino dell’Arma; 20 mulino Russo; 21 mulino Spadaro ; 22 mulino San Martino ;23 mulino

Con la Ristrutturazione Idrogeologica di fine Ottocento, voluta dall’Am- ministrazione Generale delle Bonifiche, e la Legge 1904 sul Risorgimento Economico della città, l’industria molitoria subisce un processo di dismissio- ne a favore delle grandi industrie metalmeccanica, chimica ed elettrica: fu così che, tra il 1872 ed il 1939 il numero di mulini calò drasticamente a 12 unità.

Ancora oggi, il paesaggio dell’archeologia industriale reca in sé i segni dei tre mulini municipali maggiormente produttivi a Napoli: quello di Porta No- lana, quello del Carmine e il mulino di Porta Capuana, operanti sino al 1890, per poi divenire anch’essi oggetto del processo di disfunzione e di riuso: il mulino di Porta Nolana, nel 1927, fu dato in concessione, da parte del Mi- nistero delle Comunicazioni, alla SET, la Società di Esercizio Telecomunica- zioni, la quale gestiva, in quegli anni, la rete telefonica in tutto il Mezzogiorno. Nella figura 6 è riportato il mulino di Porta Nolana che, insieme al mulino del Carmine, in seguito ai lavori di ristrutturazione di via dei Fossi e dell’acquedotto del Carmigliano tra gli anni Cinquanta e Sessanta, fu restaurato, elevato a livello stradale e rialzati di due piani.

Figura 6: Ex mulino di Porta Nolana

Foto: Ciro Donisio

Selce ;24 mulino del Gelso ;25 mulino Abate Candelora; 26 mulino San Severino; 27 mulino (di) Liguori; 28 mulino Casoria ; 29 mulino dell’Annunziata (Parisi, 1988).

Un altro settore di antica origine è rappresentato dall’industria ce- ramica che, sin dal periodo che va dal XIII al XIV secolo, fu presente nell’area compresa tra Porta Capuana, San Lorenzo Maggiore e Porta Reale (l’ex foro romano), con artigiani specializzati che provenivano dalla colonia federiciana di Lucerna e si stanziarono, nel 1301, presso il ponte della Maddalena.

Tra il Seicento e il Settecento, l’area destinata alla produzione della ceramica si estendeva sino a comprendere il Lavinaio, il Borgo Loreto e la Marinarella (l’attuale area che dal Corso Arnaldo Lucci si estende a ovest di via Marina). I motivi di questa espansione erano diversi: in primo luogo, la necessità di decongestionare il centro della città da tutte quelle sostanze nocive, dovute alle combustioni e agli ossidi di stagno e piombo, legate alla stessa lavorazione della ceramica; la facilità, poi, di approvvigio- namento della materia prima, dal momento che l’argilla proveniva dall’i- sola di Ischia e quest’area era vicina al porto; in terzo luogo, la vicinanza dei corsi d‘acqua, quindi dei mulini atti alla produzione degli smalti.

Queste fabbriche prendevano il nome di faenzere, in virtù della famosa ceramica proveniente dal sito di Faenza. Una delle principali “faenzere” del XVII secolo si trovava vicino alla chiesa della Maddalena: essa appar- teneva al monastero dei S.S. Pietro e Sebastiano e fu affidata, nel 1632, a Zerbino Cappelletti, ceramista abruzzese. La destinazione della fabbrica sarebbe mutata nel 1835, quando i conciatori di pelle si insediarono nella zona della Maddalena e dei Granili.

Le prime manifatture tessili di stampo industriale, invece, comincia- rono a proliferare nella periferia napoletana intorno alla metà del XVIII secolo, segnando così, il futuro della storia economica e l’urbanistica del quartiere Mercato e dei casali di Barra e San Giovanni a Teduccio. In quest’area, infatti, si localizzarono i primi impianti, realizzati con l’appor- to delle moderne tecnologie grazie ai contatti con l’Italia settentrionale. Nel 1767 la Giunta degli Abusi, espulse i Gesuiti dal conservatorio del Carminiello e istituì una vera e propria scuola specialistica in cui le cittadi- ne, tra le più povere del regno, potessero apprendere l’arte della seta e dive- nire future operaie. A questo scopo, furono convocati i più esperti maestri e macchinisti provenienti dalla Liguria e dal Piemonte, i quali istruivano le giovani apprendiste e rifornivano i locali industriali dei macchinari e di strumenti all’avanguardia, tra cui il cosiddetto filatoio ad acqua.

Dunque, tre sono i principali fattori di localizzazione in questo settore: 1. le tecnologie e mezzi di produzione all’avanguardia;

2. la disponibilità di manodopera;

3. la presenza di maestranza altamente qualificata.

Dal Real Convitto del Carminiello sino ai casali di Barra e San Gio- vanni a Teduccio si viene, così, a costituire un’area punteggiata da veri e propri centri industriali specializzati nella produzione di seta, canapa e cotone. Nel 1787, infatti, uno dei direttori del Carminiello, Giacomo Bulzone, collaborando assieme al negoziante di tessuti Paolo Finizio e al macchinista Giuseppe Brovida, istituisce una filanda in San Giovanni e, nel 1801, ristruttura una semplice casa, riconvertendola in stabilimento industriale, nei pressi di Barra.

Il settore chimico, invece, ebbe uno sviluppo maggiore nell’area di Poggioreale, nei pressi della villa quattrocentesca voluta da Re Ferdinan- do d’Aragona, dove sorgerà la Real Ferriera di Poggioreale, la cui attività iniziata nel 1778, sarebbe perdurata sino al 1874, anno in cui il mulino fu ceduto agli imprenditori Giuseppe Guida e Demanio Mariano, pro- duttori di stoviglie, mentre i locali della ferriera sarebbero stati convertiti in sale atte alla lavorazione della ceramica.

A sud di Poggioreale, presso la cosiddetta Arenaccia sorsero sia la sal- nitriera che la polveriera: la loro attività iniziò nel XVII secolo: la prima era situata nei pressi dell’attuale vico Polveriera, mentre la seconda in un lotto squadrato al confine tra l’Arenaccia e il ponte Casanova. La loro produzione era specializzata nella polvere da sparo e nel nitrato di potas- sio e toccò il culmine durante la conquista francese.

Nel XVIII secolo, a Piazza Carlo III, per volere di Re Carlo III di Borbo- ne, su progetto dell’architetto Ferdinando Fuga, sorge il palazzo monumen- tale più grande d‘Europa: l’Albergo dei Poveri che, lungi dall’esser ormai considerato come ideale ed utopistico strumento di carità, esprime al meglio lo scopo di fare dell’umanità una risorsa razionale, finalizzata ad un profitto sistematico. L’albergo, infatti, rappresentava un vero e proprio complesso industriale: al primo piano, duemila persone lavoravano le stoffe, i panni, i nastri, il vetro, le lime, le raspe e produzioni tipografiche. Certamente non è un caso che la struttura fosse stata situata nei pressi dell’attuale via Foria, considerata il prolungamento urbano della Real Strada delle Puglie, prin- cipale arteria di collegamento tra Napoli e le aree interne della Campania.

Per lo stesso scopo utilitaristico dovevano essere stati realizzati i Pubblici Granai, su progetto dello stesso Fuga, nell’area oltre il borgo Loreto. I depositi furono inaugurati nel 1791, ma saranno demoliti nel 1953. La funzione dei granai fu di delocalizzare la produzione e la conservazione cerealicola, non solo per assicurare il decongestionamen- to urbano, ma soprattutto, per creare un’area di sviluppo ai margini dell’ex capitale. Vennero, dunque, dismessi i depositi tufacei di piazza Dante e creati degli edifici ad hoc in un’area già ricca di mulini: questo avrebbe consentito di agevolare il traffico del grano e la produzione di pane e pasta.

Figura 7: Il quartiere dei Granili visto dalla spiaggia (Sant’Erasmo)

Fonte: Piattaforma internet del sistema archivistico nazionale