• Non ci sono risultati.

In Italia la prima monografia interamente dedicata ai fumetti si inserisce proprio nel solco del recupero nostalgico di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente, in un’ottica di rivalorizzazione del medium che passa, quindi, attraverso la ristrutturazione di una memoria che rischia di disperdersi e la forte necessità di documentare e recuperare le esperienze fondative del fumetto (e di intere generazioni). La possibilità di veder svanire e scolorire i comics sotto il fuoco incrociato delle allarmistiche riflessioni di pedagoghi e moralisti e delle intenzioni censorie della politica è concreta. Da sinistra e da centro i fumetti erano visti, per motivi diversi, come un pericolo per la morale di giovani e bambini, la proposta di legge del 1949, della democristiana Federici, Vigilanza e controllo della stampa destinata all’infanzia e all’adolescenza, descrive perfettamente le istanze censorie e le accuse volte al mondo del fumetto:

ONOREVOLI COLLEGHI! – La proposta di legge che presentiamo alla vostra approvazione nasce dalla constatazione, suffragata da educatori, genitori, da medici e magistrati, che alla base di ogni deviazione di ogni delitto commessi dai giovani in questi anni si può sicuramente rintracciare la suggestione di certa stampa eccitatrice. […] Stimiamo che senza ledere la libertà di stampa, si possa liberare i giovani dal pericolo di un traviamento spirituale che lentamente matura il delitto e prepara al carcere. La legge dunque non è diretta contro la stampa ma contro gli speculatori dell’avida curiosità giovanile, i quali, per mezzo di pubblicazioni che iniziano al vizio, esaltano al banditismo e giungono perfino a spiegare la tecnica del delitto, rendendo inefficace o annullano del tutto ogni azione educatrice della famiglia e della scuola e offendono il buon costume. […] Altri paesi non meno democratici del nostro, non meno civili del nostro, si cita per esempio la Francia, hanno già approvate leggi speciali per la stampa destinata ai giovani. (Federici Maria, Migliori, Angelucci, Bartole, Scalfaro, Manzini, Giordani, 19 dicembre 1949, proposta di legge, Camera dei deputati n.995, p.1)65

Dal PCI Nilde Iotti pur esprimendo parere contrario alla proposta di censura preventiva, non può fare a meno di ribadire la pericolosità del fumetto:

65 Federici Maria, Migliori, Angelucci, Bartole, Scalfaro, Manzini, Giordani, 19 dicembre 1949, proposta di

legge, Vigilanza e controllo della stampa destinata all’infanzia e all’adolescenza, Camera dei deputati n.995, p.1. [In rete] http://www.camera.it/_dati/leg01/lavori/stampati/pdf/09950001.pdf

54

Ora, questa forma nuova di espressione giornalistica - il «fumetto» - ha trasformato il contenuto dei giornali e di tutte le pubblicazioni per bambini. Se andiamo a guardare quali sono i giornali maggiormente diffusi - giornali per l'infanzia - troviamo che la maggior diffusione è raggiunta dai giornali a «fumetti». […] Dobbiamo dire, perché questa è la realtà dei fatti, che quasi tutti i giornali e gli album per ragazzi riproducono l'ambiente americano. Credo che in questo caso anche i deputati della maggioranza possano essere d'accordo nel riconoscere che l'americanismo ha una deleteria influenza sull'educazione dei nostri ragazzi. […] Come è l'ambiente raffigurato da quei giornali ispirati all'americanismo? Credo di poter affermare, con grande rammarico […] che questi giornali mettono in luce gli aspetti più negativi della vita americana: l'esaltazione del razzismo, contro i negri ad esempio, del colonialismo, delle violenze dei popoli conquistatori di altri popoli, l'esaltazione dei gangsters ed anche l'esaltazione delle avventure in terre lontane e sconosciute, e quest'ultimo aspetto rappresenta ancora il minore dei mali. […] Oggi, nei giornali a fumetti troviamo soprattutto la esaltazione dello spirito di violenza, degli istinti di aggressione in quanto tali, l'esaltazione dell'uccisione per il piacere dell'uccisione stessa, in un modo che non può non preoccupare coloro che sono pensosi della educazione dei nostri giovani; vi è insomma l'esaltazione dell'istinto della lotta fra gli uomini. (Iotti, seduta del 7 dicembre 1951)66

È chiaro allora come I Fumetti (1961) di Carlo della Corte67 assumano, in questo clima

avverso, l’importante e oneroso ruolo di apripista per studi più approfonditi e scevri da pregiudizi e preoccupazioni moraliste senza fondamento. Bisogna sottolineare, per non cadere in facili critiche, gli evidenti intenti divulgativi del testo che è pubblicato, non a caso, all’interno della collana “Enciclopedia Popolare Mondadori”; da qui la relativa brevità del testo e il suo non essere ‘né carne, né pesce’ che si risolve in una carrellata competente (e incompleta) di personaggi inquadrati nel loro contesto storico e culturale, e in accenni di analisi sociologiche. Questa impostazione però permette a della Corte di svincolarsi dall’esaminare i comics unicamente come un fenomeno sociale – d’altronde il fumetto in quegli anni era ritenuto soprattutto questo (un inquietante fenomeno sociale) e in quest’ottica lo si analizzava – e di riconoscere così per la prima volta a questo medium una propria originalità e autonomia:

Sappiamo, dopo anni di ricerche di una metodologia estetica che riesca a chiarire i confini fra teatro e cinema, che il problema dello “specifico” […] è sempre di ardua

66 Nilde Iotti, Discorsi parlamentari (1946-1983), Roma, Camera dei deputati, 2003, pp.48,49.

67 L’importante ruolo di Carlo della Corte nel panorama editoriale italiano è ben descritto in: Gobbato e

Uroda (a cura di), «Una raffinata ragnatela» Carlo della Corte tra letteratura e giornalismo nel secondo Novecento italiano, Atti della Giornata di studio, (Venezia, Istituto di Scienze, Lettere ed Arti, 5 dicembre 2012), Edizioni Ca’ Foscari, Venezia, 2014.

55

soluzione. Uno “specifico” può insomma essere individuato solo con un abbondante margine di approssimazione: per il cinema, si è creduto di trovarlo nel montaggio. Con quel tanto di vizio lessinghiano che mina tale posizione, ci conviene tuttavia cercare anche noi di scoprire in che cosa il fumetto possa distinguersi dalla pittura, dalla letteratura, dal cinema, eccetera, ben sapendo che da tutti essi ha desunto qualche carattere costitutivo della sua fisionomia. Il fumetto ha di suo, che non abbiano in tal misura né il cinema, né la letteratura, né le arti figurative, né le tecniche espressive più diverse, la possibilità di una pari forza rappresentativa e, insieme, di una maggiore libertà, strettamente connesse fra loro. Dunque, in questa libertà d’invenzione accoppiata ad un rilevantissimo potere icastico, è la vera matrice del fumetto.68

Carlo della Corte offre una definizione originale, tuttora valida, sganciandosi dalle prime interpretazioni americane in cui si identificava il medium con un genere, con la presenza fissa di un personaggio e dei balloon, e pur riconoscendo i ‘debiti’ nei confronti di pittura, letteratura e cinema arriva ad attribuire una forte autonomia espressiva a questo linguaggio che da sempre era considerato un parente povero di arti più dignitose.

Di quali fumetti si occupa questo volume è chiaro già a un primo e veloce sguardo della copertina su cui sono impresse le figure di Superman, Popeye, Lone Ranger, Daisy May (da Li’l Abner) e Jiggs (da Bringing Up Father) e Flash Gordon. I comics targati U.S.A. la fanno da padrone, e il valore nostalgico/ideologico di questa scelta è intuibile anche dal cospicuo spazio assegnato ai “Magnifici eroi” (Tarzan, Buck Rogers, Tim Tyler’s Luck, Gordon Flash, Brick Bradford, Mandrake the Magician, The Phantom, Secret Agent X-9, Terry and Pirates, Steve Canyon e Johnny Hazard, Superman, Batman, Wonder Woman, Rip Kirby, Dick Tracy), ben quarantacinque pagine contro le sei pagine dedicate ai fumetti intellettuali cioè Pogo di Walt Kelly e Peanuts di Schulz.

Dicevo valore nostalgico/ideologico di una scelta perché alla base c’è evidentemente tutt’altro orientamento da quello che da qui a pochi anni nutrirà la linea intellettuale che farà riferimento a Linus; il fumetto per della Corte non è strumento per analisi sociologiche o per meglio comprendere attraverso criteri semiotici la natura del suo ruolo nel sistema delle comunicazioni di massa, ma divertita e seria passione, con una palese preferenza per il genere avventuroso; d’altronde per l’autore la chiave dei comics è quella del divertimento e dell’evasione.

56

In un articolo di Stefano Reggiani per La Stampa del 20/12/1968 dal malizioso titolo Gli intellettuali rovina dei fumetti? della Corte dichiara: «I fumetti sono fatti prima di tutto per divertire. Le dissertazioni erudite e i pasticci culturali dettati dalla moda non hanno niente a che fare coi comics. I primi saggi di Eco sui fumetti erano acuti e divertenti, poi epigoni sprovveduti hanno reso tutto più falso e noioso»69 .

In I Fumetti le poche pagine, nove in tutto, dedicate al fumetto italiano mostrano poi la scarsa considerazione o la colpevole disattenzione dell’autore per il nostro panorama fumettistico. Dopo una breve carrellata storiografica, in cui si marginalizza il contributo del Corriere dei Piccoli a causa del rifiuto dei balloon, il discorso si focalizza nuovamente sull’arrivo dei magnifici eroi statunitensi sulle riviste italiane, l’unico autore italiano trattato con evidente ammirazione è Benito Jacovitti:

Egli ama le mutilazioni, le ossa scarnificate, le gambe di legno, le stampelle, i coltelli infilzati nella schiena dei personaggi. La comicità, risolutamente cercata e spesso ottenuta, affranca tuttavia i pannelli dal marchio dell’orrore; resta soltanto questa curiosa e fantastica predilezione alla Brueghel che sottolinea ancor più il gusto surrealistico di Jacovitti e lo pone senza dubbio tra i caricaturisti più interessanti degli ultimi anni.70

Poche righe sono dedicate ad Antonio Rubino e Sergio Tofano, mentre le esperienze italiane dagli anni dell’autarchia fascista ai Sessanta sono racchiuse in un breve e parziale elenco:

Da noi, in questi ultimi decenni, si è tentato di dar vita a dei characters autonomi, svincolati dalla sudditanza a quelli americani: da Dick Fulmine dei fratelli Cossio a Tuffolino (che durante la guerra sostituì Mickey Mouse) di Pier Luigi De Vita; da Pecos Bill di Raffaele Paparella e altri al Corsaro Nero di Rino Albertarelli e, più tardi di Bernardo Leporini; da Sandokan di G. Moroni Celsi a Kit Carson di Walter Molino; da Will Sparrow di Cesare Avai all’Asso di Picche di Ugo Genero e Mario Faustinelli, fino ai divertenti personaggi di Jacovitti […].71

A parte gli errori (Tuffolino è disegnato da Pier Lorenzo De Vita, Dick Fulmine è disegnato da Carlo Cossio e sceneggiato da Vincenzo Baggioli, Ugo Genero è la storpiatura di Ugo

69 Stefano Reggiani, Gli intellettuali rovina dei fumetti?, «La Stampa», 20/12/1968. 70 Carlo della Corte, I Fumetti, p.129.

57

Eugenio Pratt) e le omissioni (il contributo di Federico Pedrocchi a Tuffolino), la sommarietà della lista e la clamorosa assenza di quelle esperienze fondanti per l’identità del fumetto nostrano suggeriscono l’idea di una errata valutazione del peso della scuola italiana nel sistema dei comics. Eppure non è difficile cogliere anche in quegli anni una nuova e decisa maturità dei processi industriali e artistici, basti pensare all’equipe italiana della Disney (tra cui Romano Scarpa, Guido Martina, Luciano Bottari e altri), attiva già con Pedrocchi negli anni Trenta, che è in grado di apportare significative alterazioni all’universo di topi e paperi arrivando persino ad esportare le proprie storie in tutto il mondo; oppure al gruppo di artisti che, dapprima raggruppatosi intorno alla rivista Asso di Picche (1945), negli anni Sessanta nel loro ripercorrere la tradizione avventurosa raggiungono piena maturità espressiva, parlo di autori come Hugo Pratt, Alberto Ongaro, Mario Faustinelli, Ivo Pavone, Paolo Campani e Dino Battaglia; per non parlare delle importanti operazioni editoriali della Bonelli e dei gruppi di autori che si vanno formando tra le pagine de Il Vittorioso, de Il Giornalino, e del Corriere dei ragazzi (Franco Caprioli, Mino Milani, Sergio Toppi, Attilio Micheluzzi, Lino Landolfi, solo per citarne alcuni). 72

Al di là di questo orientamento americaneggiante dettato dal gusto e dalla volontà di recupero e di rivalutazione del medium - e quindi di quelle letture infantili da sempre condannate - bisogna riconoscere a della Corte le difficoltà e il peso di un’operazione che, oltre ad opporsi a un pregiudizio diffuso, è costretta a lavorare su una scarsità di fonti e riferimenti a cui l’autore ha potuto sopperire solo grazie alla propria passione di collezionista. Un’analisi della bibliografia inoltre può permetterci di farci un’idea dei quadri teorici e degli studi che reggono l’impalcatura del libro.

Per quanto riguarda i contributi italiani (oltre ad una nutrita serie di articoli dell’autore stesso comparsi tra il 1956 e il 1959 su Cinema, Il Caffè, Il Contemporaneo, La Lettura del Medico, Avanti, Paese Sera e Italia Domani) sicuramente della Corte ha letto quelle poche pubblicazioni lontane dalle comuni interpretazioni allarmiste. La ricostruzione del repertorio italiano delle origini è in linea con il lavoro di Nello Ajello, pubblicato nella rivista Nord e Sud nel 1959, La Stampa Infantile in Italia; un lungo saggio in cui, come si

72 L’importanza e le peculiarità del contributo italiano, i modelli di produzione, la rilevanza del dispositivo

della sceneggiatura all’interno dei processi seriali, sono descritti con perizia nei loro sviluppi da Gino Frezza in La scrittura malinconica. Sceneggiatura e serialità nel fumetto italiano (1987).

58

evince dal titolo, si identifica il fumetto con la letteratura per l’infanzia, e si ripercorre la storia delle riviste infantili nazionali cominciando «a mettere i primi punti fissi sulla diffusione del medium in Italia, inquadrandolo assieme alle pubblicazioni sulle quali apparve e alle istanze pedagogiche che tali periodici […] avevano offerto».73

Oltre ai pochi e sparsi articoli dedicati al fumetto (tra cui anche un pezzo di Fernanda Pivano) compaiono nella bibliografia anche un contributo di Oreste Del Buono per i Pesci Rossi, e soprattutto quello che forse è il primo intervento critico italiano sui comics, l’articolo di Giuseppe Trevisani per il Politecnico, Il mondo a quadretti (di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo). Da notare anche la presenza di un articolo del 18 agosto 1938 di Antonio Rubino, per la pubblicazione della Mondadori Paperino, in cui emerge una forte consapevolezza della dignità artistica e dell’autonomia espressiva del medium che sicuramente influenza la definizione di della Corte il quale, riconoscendo debiti e differenze con altri arti e il rilevantissimo potere icastico del fumetto, è debitore, a mio parere, delle analisi di Rubino:

Veramente caratteristica dell’epoca moderna è questa forma di presentare le storie, le avventure, i romanzi, forma più che mai intonata al concetto di immediatezza di velocità, di sintesi che impronta oggi il mondo in cui viviamo. Ai racconti interminabili, pieni di descrizioni, si sostituisce una serie di «quadretti», nei quali i personaggi, l’azione, lo sfondo saltano agli occhi in modo evidentissimo e immediato. Basta infatti un’occhiata per afferrare tutta una scena […]. La successione dei quadretti dà all’occhio una impressione che si avvicina molto a quella che può dare la proiezione di un’azione cinematografica. Sotto questo aspetto si può dire che le tavole a quadretti hanno percorso i tempi, e aperta la strada alla cinematografia e ai cartoni animati. Infatti le tavole a quadretti erano già in gran voga, quando la cinematografia era appena ai suoi inizi. […] Nella «tavola a quadretti» il disegnatore si sostituisce in gran parte allo scrittore: dico «in gran parte», perché allo scrittore rimane pur sempre il «dialogato». Il «dialogo», per quanto breve e stringato ha, oltre al disegno, una importanza somma nelle «tavole a quadretti», la stessa importanza che hanno le «parti» nelle commedie e nei drammi. Un errore gravissimo commettono coloro che considerano cosa trascurabile la «battuta» pronunciata dal personaggio. […] È nostro vanto di pubblicare tavole a quadretti perfette, sia dal lato «artistico», che da quello «letterario».74

73 Fabio Gadducci e Matteo Stefanelli, “La storiografia del fumetto in Italia”, in Sergio Brancato (a cura di),

Il Secolo del Fumetto. Lo spettacolo a strisce nella società italiana, 1908-2008, Tunuè, Cisterna di Latina, 2008, p.113.

59

Due sono invece le pubblicazioni straniere in bibliografia che hanno una fortissima influenza sul pensiero dell’autore. Innanzitutto From cave painting to comic strip: A kaleidoscope of human communication (1949) di Lancelot Hogben, tradotto dalla Mondadori nel 1952 con il titolo di Dalla pittura delle caverne ai fumetti. La breve ricostruzione dell’albero genealogico dei comics però, pur riconoscendo una certa continuità tra antiche narrazioni visive (come la Colonna Traiana, i fregi del Partenone, l’uso dei filatteri) e il fumetto non si risolve, come in Hogben, in un annullamento delle caratteristiche peculiari del medium; ancora una volta è la vicinanza con le tesi di Rubino a farla da padrone:

Il fumetto, se si vanno a cercare le sue ascendenze, finisce per rivelarsi assai simile a un meticcio o a un creolo. Non ha una linea del sangue troppo chiara, poiché è nato contraendo pari debiti con la letteratura e il teatro, con il cinema e le arti figurative […]

Non stupiamoci allora se gli antenati del fumetto siamo costretti a scovarli un po’ dovunque; tuttavia sono antenati solo parzialmente, poiché […] hanno trasmesso solo una goccia del loro sangue al vivace rampollo, che poi, a forza di crescere, è divenuto più simile a un loro fratello, anzi fratellastro, che a un figlio.75

Dallo zoologo inglese, della Corte riprende invece pienamente l’utopica speranza che un fumetto epurato dalle sue ‘impurità’ morali e commerciali possa trasformarsi un giorno in un mirabolante esperanto utilizzato per fini pedagogicamente nobili:

Qualche volta il fumetto è venuto meno a quell’obbedienza al comune codice morale che rende tollerabili le applicazioni di questo nuovo (o relativamente nuovo linguaggio). […] In realtà […] il fumetto in sé è innocente come una goccia d’acqua. […]. Riteniamo che se domani avvenisse una definitiva unificazione dei simboli e una semplificazione della forma (riducendo a dato schematico ed elementare, rapidamente captabile da chiunque, ciò che oggi è ancora appesantito da sovrastrutture che ne attenuano l’immediatezza comunicativa), il fumetto potrebbe addirittura trasformarsi in un formidabile veicolo, in un eccezionale linguaggio valevole per tutti gli uomini, in una specie di geniale esperanto.76

C’è da dire che comunque queste affermazioni si allontanano nettamente dalle piene condanne del medium, finalmente si è arrivati alla consapevolezza che il fumetto ha svariate opzioni comunicative e narrative, che certo esistono prodotti brutti o immorali

75 Carlo della Corte, I Fumetti, pp. 10,11. 76 Ivi, pp. 152,153.

60

ma che il linguaggio ha ancora un mondo di possibilità da esplorare. Con qualche inesattezza della Corte definisce il fumetto come il perfetto tra i generi narrativi perché può comprenderli tutti. Torna però l’idea, presente anche in Hogben, di un lettore pigro e passivo dinanzi a uno spettacolo già pronto da gustare senza sforzo.

Il suo enorme successo, che da più parti viene considerato come un impaccio al progredire della cultura, potrebbe domani diventare un nuovo incentivo a marciare più rapidamente sulla strada di quest’ultima, fornendo con semplicità importanti nozioni agli sprovveduti. Gli sarebbe così perdonato il peccato della pigrizia che esso ingenera soprattutto nei fanciulli; costoro, praticandolo, si avvezzano a lasciar poltrire la fantasia in quanto il fumetto scodella bell’e pronti, sotto i loro occhi voraci quei personaggi […] che nei tempi andati, ricercati nelle pagine dei normali romanzi, assumevano le sembianze che i fanciulli stessi sapevano inventare sulla scorta dei meri dati forniti dallo scrittore.77

Sembrano dunque filtrare parte delle tesi adornane per cui il capitale sfrutterebbe i meccanismi dell’industria culturale per anestetizzare, o controllare, le masse, d’altronde, afferma della Corte, siamo «nel secolo in cui l’uomo massificato, o eterodiretto, subisce le più subdole tecniche pubblicitarie e i più ambigui persuasori occulti (in cui viene convogliato a ragionare per schemi sommari) […]78».

Tornano a galla ansie tipiche della cultura alfabetica seppur smorzate da prospettive più ampie e da una cultura ormai permeata dalla comunicazione audiovisiva, la condizione nostalgica nutrita per i magnifici eroi e per una narrazione ‘sana’ porta poi alla decisa condanna – che comunque non si risolve mai in proposte censorie - verso quelle tendenze trasgressive che da lì a poco esploderanno con quel fumetto nero capace di lasciare emergere una sessualità senza freni censori e un desiderio pienamente adulto:

Certe punte audaci, certi prurigini, poco commendevoli, vanno sanamente rintuzzate, questo sì. È legittimo levare gli scudi contro Jane, la pantera bionda […] che vive nella giungla soltanto perché vi può girare impunemente nuda, mettendo in mostra un corpo scultoreo e insieme agile da ballerina in prima fila. Ma le repressioni si sa sempre dove nascono, […] mai dove vadano a parare. Per questo sono da rifiutare tutte le proposte di censura sui fumetti […]. Il fumetto erotizzante, semiclandestino, combattente alla macchia, sessuologicamente

77 Ivi, pp.153,154. 78 Ivi, p.179.

61

parlando, è uno degli stimoli più eccitanti, quanto e forse più di un film “cochon”; il suo livello di degradazione è deprimente.79

Un altro importante e riconosciuto punto di riferimento è Waugh (1947) da cui riprende