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Come per tutti i virus, la diagnosi di infezione può essere fatta direttamente, dimostrando la presenza del virus nell'organismo, oppure evidenziando una risposta immunitaria specifica nei confronti del virus in questione.

Nel caso del parvovirus B19, l'impossibilità di coltivare efficacemente il virus in sistemi cellulari in

vitro impone di utilizzare mezzi di ricerca diversi dal semplice isolamento; in pratica, è necessario

evidenziare nei campioni clinici il virus, mediante microscopia elettronica, oppure i suoi costituenti quali il genoma o la componente antigenica.

Il riscontro di una risposta immunitaria specifica nei confronti del parvovirus B19, ed in particolare nei confronti delle proteine capsidiche VP1 e VP2, fornisce informazioni indirette sull'infezione; la presenza di anticorpi di classe IgM è indicativa di infezione recente, mentre la presenza di IgG in assenza di IgM è indicativa di infezione passata e immunità nei confronti del virus. Tecniche per la ricerca anticorpale sono dipese per lungo tempo dalla disponibilità di virus nativo; recentemente sono state sviluppate tecniche che si affidano ad antigeni prodotti in vitro in sistemi ricombinanti procariotici o eucaristici. Tali sistemi includono: cellule di E. Coli trasformate con plasmidi ricombinanti, che esprimono antigeni di B19 come proteine di fusione [Liu et al., 1991; Soderlund et al., 1995]; cellule di ovaio di Hamster cinese trasfettate con plasmidi ricombinanti che esprimono antigeni del B19 [Kajigaya et al., 1989]; cellule di mammifero COS-7 trasfettate con vettori di espressione derivati dall’SV40 contenenti sequenze che esprimono proteine del B19 [Cohen et al., 1995], e cellule di insetti (Spodoptera frugiperda) infettate con Baculovirus ricombinati con sequenze del B19 [Brown et al., 1991; Kajigaya et al., 1991]. Recentemente anche la proteina non strutturale NS del B19 è stata espressa in sistemi procariotici ed eucariotici [Venturoli et al., 1998; von Poblotzki et al., 1995].

Diagnosi virologica

Ricerca del DNA virale

La diagnosi di infezione da parvovirus B19 è affidata principalmente alla ricerca del DNA virale attraverso tecniche di amplificazione degli acidi nucleici visto che alti livelli di viremia sono riscontrabili solo durante la fase acuta dell’infezione e per un breve periodo, circa una settimana, mentre bassi livelli di DNA possono essere rivelati anche per sei mesi solo tramite PCR. Per questi motivi tecniche poco sensibili come ibridazioni su filtro e su piatra non sono più utilizzati nella diagnosi di infezione: rimane tuttavia in uso l’ibridazione in situ in quanto permette di localizzare il DNA virale nel materiale in esame, cellule di midollo osseo, di sangue cordonale, liquido amniotico, tessuti fetali, cutanei, ecc.

Ibridazione in situ

Questa tecnica di ricerca del DNA virale è utile non solo per la diagnosi di infezione ma anche per lo studio della patogenesi delle malattie associate al B19. I campioni vengono opportunatamente fissati e permeabilizzati per permettere l’ingresso delle sonde. Le sonde usate sono ottenute da frammenti di DNA clonato o da oligonucleotidi sintetici. Le sonde marcate con digossigenina sono attualmente più usate, poiché dotate di maggiore specificità e sensibilità; la presenza del marcante è rivelata con metodo immunoenzimatico, con l’utilizzo di substrato cromogenico o chemiluminescente e l’osservazione, rispettivamente, mediante microscopio ottico o luminografo connesso a un microscopio ottico e a un computer.

Reazione polimerasica a catena (PCR)

La PCR è la più sensibile tecnica diagnostica per rivelare il DNA virale; essa permette l’amplificazione di un numero minimo di copie genomiche, tipico degli stadi finali di infezione acuta o di infezioni persistenti. Per le reazione di amplificazione possono essere uutilizzate piccole aliquote di campioni di siero (eventualmente pretrattati), cellulari o tissutali (previa lisi e/o purificazione del DNA).

Sono stati sperimentati saggi di amplificazione del DNA di B19 in vari formati, nel tentativo di ottenere una rivelazione non solo qualitativa ma anche quantitativa del DNA bersaglio, tra cui: single-step PCR [Durigon et al., 1993; Koch et al., 1990], nested PCR [Musiani et al., 1993], PCR- ELISA, PCR-ELISA competitiva [Gallinella et al., 1997] e Real-Time PCR [Aberham et al., 2001]. La necessità di effettuare una determinazione quantitativa del carico virale di B19 (ad esempio nello screening di emoderivati [Koppelman et al., 2004; Baylis et al., 2004] o nel monitoraggio di infezioni persistenti) ha fatto sì che negli ultimi anni si sviluppassero tecniche diagnostiche di Real- Time PCR: questi saggi quantitativi risultano rapidi in quanto l’amplificazione del DNA bersaglio e la rivelazione dei prodotti di amplificazione sono combinati all’interno di un unico sistema. La reazione inoltre viene monitorata ciclo per ciclo e l’analisi quantitativa dei dati viene effettuata non al termine della reazione, come in una PCR end-point, bensì durante la fase esponenziale di accumulo dei prodotti, quindi risulta molto più accurata.

Per la diagnosi di infezione di parvovirus B19 e determinazione quantitativa del carico viremico sono disponibili in commercio saggi di real-time che utilizzano come sistema di rivelazione la fluorescenza: il colorante SybrGreen I e le sonde di ibridazione [Braham et al., 2004; Shorling et al., 2004; Harder et al., 2001].

Inoltre, dopo l’identificazione di Erythovirus umani diversi dal genotipo B19 sono stati messi a punti saggi quantitativi che per la discriminazione e tipizzazione virale, con primer e sonde genotipo-specifici [Schalasta et al., 2004; Hokynar et al. 2004; Liefeldt et al., 2005].

Il Sybr Green I è una molecola fluorescente che è in grado di legarsi al DNA a doppia catena intercalandosi in esso. Il segnale di fluorescenza emesso è proporzionale alla quantità di acido nucleico presente nel campione in esame e viene registrato al termine della fase di estensione in ogni ciclo di amplificazione.

Le sonde di ibridazione consistono invece in un sistema di rivelazione sequenza specifico. Si utilizzano due oligonucleotidi marcati con fluorocromi differenti che riconoscono due sequenze adiacenti sul DNA bersaglio. L’oligonucleotide a monte è marcato all’estremo 3’ con fluorescina, mentre l’altro possiede in posizione 5’ il fluorocromo LC Red 640 o LC Red 705. Durante la fase di annealing le due sonde riconoscono le rispettive regioni del DNA bersaglio e dal momento che i fluorocromi sono adiacenti, si verifica un trasferimento di energia per risonanza, detto FRET (Fluorescence Resonance Energy Transfer), dalla fluorescina eccitata dalla sorgente luminosa esterna al fluorocromo accettore (LC Red 640 o LC Red 705) che, eccitato, emette a sua volta un segnale fluorescente ad una lunghezza d’onda maggiore. In questo caso il segnale di fluorescenza viene registrato in ogni ciclo di amplificazione al termine della fase di annealing.

Real Time PCR in formato SybrGreen e FRET

La quantificazione dei prodotti di amplificazione mediante PCR real time può essere assoluta o relativa. Una quantificazione assoluta richiede la costruzione di una curva di calibrazione mediante l’amplificazione di una serie di standard esterni a concentrazione nota; la concentrazione dei campioni incogniti viene determinata per interpolazione sulla curva di calibrazione. Questo metodo non rivela l’eventuale presenza di inibitori della PCR, né tiene conto della variabilità tra campione e

campione dovuta sia alla processazione del campione sia alla fase analitica, a meno che in ogni reazione di amplificazione non venga incluso anche un controllo interno che viene coamplificato. Una quantificazione relativa invece esprime la concentrazione di un campione come rapporto tra la sequenza bersaglio e una sequenza di riferimento che può essere esogena o endogena [Gallinella et al., 2004].

Ricerca degli antigeni virali

Tecniche per la dimostrazione della presenza del virus in campioni di siero mediante ricerca della componente antigenica hanno storicamente preceduto lo sviluppo delle tecniche per l'individuazione del DNA virale. In particolare, tecniche come la contro-immunoelettroforesi o la immunodiffusione hanno contribuito alla scoperta del virus ma non sono più comunemente utilizzate. Il saggio radioimmunologico volto alla ricerca antigenica può essere utilizzato, ma ha una specificità e una sensibilità nettamente inferiori alle tecniche di ibridazione molecolare. Tecniche di immunoelettromicroscopia sono utilizzabili per la conferma morfologica della presenza di virus in campioni di siero. E’ possibile inoltre ricercare gli antigeni del virus nei campioni clinici (sangue periferico e liquido amniotico) impiegando saggi immunologici su filtro [Gentilomi et al., 1997; Gentilomi et al., 1998]. Tecniche di ricerca antigenica sono utilizzate per la individuazione delle componenti capsidiche all'interno delle cellule infette. L'utilizzo di sieri immuni policlonali o di anticorpi monoclonali diretti verso le proteine VP1 e VP2 in tecniche di immunofluorescenza indiretta permette di evidenziare il virus in cellule infette di provenienza ematologica o in tessuti di origine fetale.

Diagnosi sierologia

Saggio immunoenzimatico (EIA)

Gli antigeni capsidici normalmente impiegati per una diagnosi sierologica di infezione da parvovirus B19 sono prodotti in cellule di insetto utilizzando il sistema dei Baculovirus [Brown et al., 1991]. Con questo sistema è possibile ottenere elevate quantità di particelle simil-virali, costituite dalle proteine VP1 e VP2, oppure unicamente dalle proteine VP2. Queste particelle presentano determinanti antigenici coincidenti con quelli presentati da particelle virali native, e quindi il loro impiego in tecniche di ricerca anticorpale garantisce risultati estremamente affidabili. Il formato maggiormente impiegato si basa su tecniche immunoenzimatiche su micropiastra (formato ELISA). Per la ricerca di IgG specifiche si utilizza un saggio indiretto, mentre per la ricerca di IgM si preferisce un saggio di cattura delle IgM specifiche. Nel primo caso antigeni biotinilati sono ancorati a pozzetti rivestiti di streptavidina e fatti reagire con il siero in esame; la formazione di immunocomplessi è rivelata mediante anticorpi secondari coniugati all'enzima

perossidasi. Nel secondo caso, anticorpi di classe IgM sono catturati da anticorpi anti-IgM ancorati a pozzetti di micropiastra; queste IgM legano poi antigeni biotinilati che verranno a loro volta riconosciuti utilizzando streptavidina coniugata all'enzima perossidasi.

Saggio di immunofluorescenza (IF)

Reazioni di immunofluorescenza per la ricerca di anticorpi specifici di classe IgG o IgM possono essere allestite utilizzando come substrato le cellule di insetto transfettate con vettori di Baculovirus esprimenti le proteine capsidiche di parvovirus B19 [Cohen et al., 1995]. In questo caso la reazione è di tipo indiretto (per la ricerca di IgM è opportuno procedere ad un pre-assorbimento delle IgG), e la formazione di immunocomplessi è evidenziata mediante anticorpi secondari coniugati a fluorocromi (FITC).

Saggio di Western Blot

Le proteine virali, oppure frammenti di esse, prodotte in sistemi procariotici, possono essere utilizzate come substrato antigenico in reazioni di immunoblot. Esistono sistemi commerciali che consentono lo studio della risposta anticorpale nei confronti delle proteine del parvovirus B19. In questo caso vengono ad essere evidenziati anticorpi di classe IgG o IgM diretti verso epitopi lineari, e non conformazionali, del capside di B19. Tale tecnica è meno utilizzata della tecnica ELISA poiché è meno sensibile, più costosa e non è applicabile allo screening di un numero elevato di campioni.

Tuttavia è importante lo studio della risposta anticorpale nei confronti degli antigeni lineari del B19 in quanto a tutt’oggi non è ben nota la specifica risposta anticorpale, nelle diverse fasi di infezione, nei confronti di diverse regioni immunoreattive e di diversi epitopi lineari o conformazionali delle proteine capsidiche. Inoltre è dimostrato che la maggior parte degli epitopi neutralizzanti della VP1 sono epitopi lineari [Manaresi et al., 1999; Manaresi et al., 2001].

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