TOMO PRIMO
B E L L I SORGENTI D E L L A T R I T A T A RICCHEZZA
alla società, non che dalla potenza acquistata di eseguirle. Ben si com-prende che la medesima abbraccia tutte le azioni dell'anima che sono l'effetto del genio, dello studio, della riflessione, benché non abbiano veruna traccia materiale, quando hanno lo stesso scopo delle cose mate-riali costituenti la ricchezza, cioè la conservazione e il benevivere del-l'uomo, aventi come queste gli stessi rapporti d'importanza e di diffi-coltà.
Lo Smith ed i suoi seguaci, riponendo la ricchezza nel solo travaglio quando abbia per oggetto materiali produzioni, chiamarono un tale travaglio produttivo e diedero il nome di travaglio improduttivo indi-stintamente alla ricchezza immateriale, non riconoscendo per ricchezza quei servigi delle arti e delle professioni che non si fissano material-mente in un oggetto e che periscono sull'istante3. Quindi per loro parte viene escluso dalla ricchezza tutto ciò che è operazione intellettiva o morale, benché necessaria ed utile all'uomo ed alla società; cosicché, secondo i medesimi, non è vera ricchezza che quella in cui si agisce su cose materiali, ed in cui si aggiugne materialmente valore al valore degli oggetti sopra i quali si applica. |
Osserverò in primo luogo non essere il solo travaglio la misura del 5 valore delle cose, come si comproverà in appresso. Credo poi di poter dire che all'effetto che una cosa od un oggetto si riguardi come ric-chezza, non deve osservarsi la sua materialità, ma gli effetti sul rap-porto della conservazione e del benevivere e sul grado d'importanza e di difficoltà, nello stesso m o d o delle cose materiali. Così il saper reggere una famiglia od un popolo, il difendere lo Stato, l'istruire i cit-tadini nella morale, nella religione, nelle arti e scienze, il garantirli dalle frodi e dalle violenze, dai mali fisici e morali, ed anche il saperli ricreare con onesti trattenimenti: tali operazioni e la potenza di ese-guirle debbono riguardarsi come una vera ricchezza per gli stessi rap-porti di valore che hanno le cose materiali, soprattutto per parte di quelli che hanno acquistate tali abitudini e capacità, simili a quella ric-chezza che viene costituita dal potere procurare alimenti, vesti ed altre cose materiali, quando anche portano agi e comodi soltanto. Il non avere le operazioni morali traccia materiale, non impedisce che non abbiano esse pure una potenza di formare un aggregato di cose utili alla società e talvolta anche di assoluta necessità, giacché senza il loro mezzo mancherebbe l'individuale e la comune conservazione, e formano esse pure una potenza riproduttiva continuabile fino alla durata delle per-sone esercenti tali operazioni morali. Se vi può essere dell'eccesso nel
3. A . SMITH, An inquiry into the nature and causes c i t . , II, 3. 2.
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numero delle persone che eseguiscono od esercitano le medesime e che formano perciò la ricchezza immateriale, vi può essere egualmente un eccessivo numero di persone che formino derrate e merci ed | altre cose materiali. Anche in queste può essere un inutile superfluo di produ-zioni quando cioè fossero superiori ai bisogni della società. U n ecces-sivo numero di coltivatori in un terreno, superiore cioè alla quantità delle produzioni di cui è suscettivo, invece di formare una ricchezza, vi ca-gionerebbe nella più grande spesa una perdita. Anzi se di centomila sacca di grano, che valessero un tempo duecentomila zecchini, si rad-doppiasse per una, dirò così, ultronea coltura la quantità per parte dei produttori, ma ove il prezzo venisse nell'eccedente abbondanza ridotto alla metà, questo aumento di grani, questo ultroneo concorso nel lavoro delle terre non formerebbe vera ricchezza, perché non seguirebbe aumento di valore, che solo costituisce una nuova ricchezza; lo stesso si dovrebbe dire di una simile condotta presso uno Stato manifattore. Se la maggior parte dei Genevrini abbandonasse incautamente il com-mercio ed altre utili industrie e professioni, e si rivolgesse a fabbricare soltanto orologi, se ne potrebbe accrescere la quantità oltre il doppio, ma ne seguirebbe ancora che il prezzo verrebbe diminuito a propor-zione, cosicché niuna vera ricchezza avrebbero formato tali fabbri-catori, e soggiacerebbero anzi a tutte le perdite sul rapporto della mag-gior consumazione e dell'inutile spesa che avrebbero fatto.
Per confermare i suoi princìpi lo Smith apporta l'esempio di un domestico, i cui servigi, dic'egli, non producono accumulamento ne veruna ricchezza4; ma l'autore non osserva che il domestico si può riguardare in istato di accumulamento, quando coll'esempio e co-gl'insegnamenti altrui ed anche colla sua esperienza anteriormente si , sia instrutto a prestare i suoi servigi. | Quando poi attualmente esercita i medesimi ed eseguisce altre operazioni utili al benevivere del pa-drone, allora egli diventa uno strumento di consumazione, che quando sia nei limiti del necessario e dell'utile rimane un servigio di eguale importanza a quello che presta un operaio nella stessa produzione. Il cibo, sia che si produca dal coltivatore o che si prepari dal domestico nella casa del suo padrone, sia che si formi da un pasticciere per venderlo ai consumatori: negli uni e negli altri casi ciò che si produce, si prepara o si forma è un oggetto di produzione; quando poi passa alla tavola del padrone o del compratore si rende un oggetto di consumazione. Si debbe osservare inoltre che la qualità anche di domestico nel-l'attualità di servigio entra molte volte nella divisione, o coopera ad
un travaglio diretto alla produzione, particolarmente riguardo alla custodia delle cose; cosicché quando alcuno ha acquistato derrate, merci ed altre cose, quando si è formato una fortuna, non potrebbe proseguire nel suo possesso senza un tale servigio e senza una tale cura. Simonde, per confermare i princìpi di Smith sul travaglio impro-duttivo, porta l'esempio di un musico e di un orologiere5. Quegli che ha fatto acquisto di un orologio, dice il medesimo, ha sempre in mano una macchina che può permutare con altri oggetti; al contrario quegli che ha pagato il musico, lusingato che abbia le sue orecchie col canto o col suono, nulla più tiene presso di sé. Ma questo autore an-ch'egli non ha ben distinto nelle cose e nelle professioni la produzione dalla consumazione, e molto meno ha fatto differenza fra consuma-zione e consumaconsuma-zione. Tanto per | parte del musico che dell'orologiere, 8 quando l'uno si istruisce nella musica, l'altro nel lavorare orologi, ciascuno di loro forma una ricchezza nella potenza di esercitare queste arti. Quando poi si fa uso del canto e del suono, o si cede l'orologio a quello che ne fa uso per norma del tempo, benché differente sia rap-porto all'uno o all'altro oggetto la consumazione, giacché riguardo al canto ed al suono la ricchezza si distrugge sul momento, quando ri-guardo all'orologio questa non si distrugge che a poco a poco, nullo-stante nell'uno e nell'altro caso avvi sempre una consumazione. Una istantanea distruzione segue ancora nell'uso di molte cose materiali, come nei cibi e nelle bevande. Se nell'uso dell'orologio non segue una consumazione istantanea, essa però sempre accade dopo un lungo inter-vallo di tempo, in m o d o che l'orologio per questa perde nel suo uso giornaliero di pregio e valore, e s'induce alla fine una cessazione di ricchezza come macchina che segna le ore; distruzione che succede anche nel metallo stesso, di cui f u composto, comunque con una mag-giore lentezza. La sola circostanza che merita rilievo in questa diffe-rente consumazione si è che rendesi generalmente più giovevole al bene delle società che i cittadini convertano le loro ricchezze in oggetti che conservino valore per un più lungo tempo. Così rendesi più gio-vevole il far acquisto di effetti che diconsi preziosi, il far dovizia di sculture, di pitture, di edifizi architettonici che hanno inerente una durata talvolta di secoli, di quello che il gettare le ricchezze in conviti, in passatempi, in mode, spettacoli del momento. |
Io ho creduto necessario di arrestarmi nel determinare la natura 9 della ricchezza immateriale, poiché lo spirito di sistema, volendo
esclu-5- J.-C.-L.-S. DE SISMONDI, De la richesse commerciale, ou principes d'économie politique
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IO
dere la morale ricchezza e la potenza di produrla, è stato forzato a cadere nell'assurdo di mettere nel novero delle cose inutili improduttive, dannose, o degli esseri i più inetti e spregievoli tutte le classi le pm importanti della società, quelle senza cui mancherebbe ogni ordine, sicurezza e felicità e senza cui non esisterebbe anzi la stessa materiale ricchezza Quando i cittadini mediante lo studio, 1 applicazione ed anche il sacrifizio di una parte delle loro sostanze acquistano un atti-tudine a prestare degli utili e necessari servigi al mantenimento delia pubblica sicurezza e tranquillità; quando il medico con 1 osservazione della natura, il giureconsulto con istudiare le leggi, gl impiegati civili e militari con l'attendimento e con l'esercizio si forniscono di cogni-zioni proprie al sostegno dello Stato e dei cittadini, essi formano di loro stessi una ricchezza nella potenza di eseguire le accennate utili operazioni ; potenza che diventa dell'istessa natura di un terreno coltivato, che non è una ricchezza per se stesso, ma per l'attitudine di produrre cose necessarie od utili. Tali professioni e impieghi formano anchessi nelle loro operazioni delle cose che hanno valore per l'utilità sociale La loro reazione nelle differenti professioni aggiunge anch essa ricchezza, e queste più ricevono valore, quanto più accrescono la loro intelligenza, le loro cognizioni. Quando poi vengono alla pratica della loro scienza o professione, purché non vi sia eccesso, allora segue anche a loro ri-guardo una necessaria ed utile consumazione pel | sociale sostegno e per l'esistenza della stessa materiale ricchezza. Le marce e contromarce di un'armata, quando tendono alla vera pubblica difesa, il consulto di un medico, l'orazione di un giureconsulto, quando hanno per iscopo la salvezza delle persone e la sicurezza delle proprietà, sono una vera ricchezza di cui necessariamente ed utilmente si usa pel bene della
società. . . r D a ciò si deve dedurre che le persone esercenti scienze o
professioni sono una vera ricchezza per uno Stato, come un Lock, un N e w -ton, un Galilei, quando conseguivano una ricompensa corrispondente alle loro sublimi cognizioni, erano una ricchezza per 1 Inghilterra e per l'Italia, come lo furono e lo sono tanti uomini dotti presso tutti gli altri Stati. Se vi può essere eccesso in queste professioni, potrebbe, come si è di sopra detto, esservi un eccessivo aumento anche nelle classi che si applicano all'agricoltura ed alle materiali produzioni. Che se la ricchezza immateriale è fornita di alcune qualita differenti dalla materiale, ciò non cangia la natura generale della ricchezza avendo anch'essa eguali elementi di valore, eguali vantaggi nella pubblica prò-sperita.
ARTICOLO II. Della ricchezza mobile ed immobile.
La ricchezza si può distinguere in mobile ed immobile. Una tale divisione ha i più estesi rapporti nella giurisprudenza; ma anche riguardo alla finanza ha | luogo in qualche parte una tale divisione nella loro reciproca relazione, giacché sulla ricchezza immobile si appoggia la garanzia della mobile, e questa serve di misura di valore all'altra, come si vedrà trattando de' capitali.
ARTICOLO III. Della ricchezza privata e pubblica.
La terza divisione della ricchezza si è che dessa può riguardarsi in relazione dei privati e del pubblico. Da tutti gli scrittori si era ritenuto che la misura della ricchezza privata fosse anche la misura della pubblica. Il profondo filosofo Lauderdale" tentò di provare non essere la ric-chezza pubblica o nazionale l'ammontare delle sostanze particolari o delle ricchezze individuali, pretendendo che la ricchezza pubblica consista in tutto ciò che l'uomo desidera come utile ed aggradevole, purché sia nella massima abbondanza. A l contrario, che la ricchezza privata con-sista in ciò che l'uomo desidera come utile ed aggradevole, allorché si trova in un grado di rarità. Osserverò che riguardo alla prima defi-nizione questa non si applica in verun modo alla ricchezza, ma bensì alle cose di un uso inesausto, le quali non sono ricchezza, perché manca un elemento del valore, cioè la difficoltà di conseguirle. Una cosa in istato di inesausta abbondanza cessa di essere ricchezza, tanto pel pub-blico che pei privati. Se la natura concedesse tutte le cose necessarie ed utili all'uomo in una inesausta abbondanza, come l'aria, la | luce, inutile sarebbe la ricchezza; e l'uomo si troverebbe in uno stato di maggior felicità, perché ciascuno potrebbe godere senza fatica dei benefizi della natura. Alcuni Persiani adoratori del fuoco si sono ritirati in una penisola dell'Asia, detta Abscheron 6, ove sotto terra esiste per tutto della nafta. In ogni casa, solo abitata a pian terreno, aprono delle cave, ed accesi i vapori che ne escono si danno a cuocere i loro cibi, e non avendo più bisogno del fuoco, coprono il buco, e quello si
estin-а. Richesse, chap. 17.
б. La penisola di Apseron, sulla sponda occidentale del Mar Caspio, su cui sorge la città di Baku. Questa penisola era famosa dall'antichità per le emanazioni di gas infiammabili provenienti dal sottosuolo.
7- In realtà l'argomento è svolto ampiamente da J. LAUDERDALE, Inquiry into the
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gue immediatamente. C o l medesimo si riscaldano nell'inverno le loro stanze; vicino al loro letto hanno nella terra una canna di due piedi di altezza con coperchio d'argilla, e volendo del fuoco, levano il coper-chio, accendono il vapore, e lo lasciano bruciare sino a tanto che loro piace, e senza che ciò rechi loro danno6. In tale stato il fuoco non sa-rebbe ricchezza, ma bensì un benefizio della natura più importante della medesima. La ricchezza è necessaria perché manca la maggior parte delle cose utili all'uomo. Se per opera della natura esistesse questa abbondanza inesausta di ogni cosa, diverrebbero funesti doni proprietà e ricchezza, perché obbligherebbero a delle pene e privazioni senza vantaggio. Ma l'abbondanza nella più grande parte delle cose dovendo essere opera soltanto dell'uomo, un'eccessiva abbondanza del momento in queste diverrebbe un male anche rispetto al pubblico, perché por-terebbe ben presto a trascurare il lavoro e la coltura, onde in seguito ne deriverebbe una dannosa mancanza, che potrebbe talvolta produrre l'inerzia, la miseria, la carestia e la morte. |
Riguardo poi alla definizione della ricchezza privata, in cui pretende l'autore che questa si costituisca dal desiderio e dalla rarità8, credo che a lui si possa rispondere, che molte cose possono essere un oggetto di v i v o desiderio per alcuni ed in un grado di rarità, senza essere ricchezza. La sola rarità non può mai costituire un elemento di valore. Molte produzioni della natura sono rarissime senza che siano una vera ricchezza, perché senza uso generale; e per dar pregio alle cose vi si richiede la loro importanza sul rapporto di quest'uso. U n o Stato non avrà giammai interesse di rendere rara una cosa per arricchire i privati; giacché l'au-mento della prosperità richiede anch'esso un'abbondanza di cose, ma
b. K A N T , Geografia; G U T R I E , Géographie9.
8. J. LAUDERDALE, Inquiry into the nature and origin cit., 2 (cfr. Biblioteca dell'economista cit., p. 20).
9. I. KANT, Physische Geographie, parte I, 2, § 7, 2. Cfr. l'edizione italiana della
Geografia fisica, Milano, 1807-1811, voi. IV, pp. 383-387; di tale edizione si servì il
Bosellini e ad essa si farà riferimento nelle note successive.
William Guthrie (Brichen, 1708 - Londra, 1770), storico inglese, più che per i suoi numerosi scritti di storia divenne famoso per un'opera di geografia economica,
A new geographical historical and commercial grommar, and present state of the several king-doms of the world, London, 1770, tradotta in francese col titolo Nouvelle géographie uni-versale, descriptive, historique, industrielle et commerciale des quatre parties du monde, Paris,
an VII (1799), voli. 3; altra edizione Paris, an X (1802), in cui il passo citato dal B o -sellini è nel voi. V , p. 234, ove il Guthrie parla dei Ghebri, setta religiosa persiana che nella penisola di Apseron ha il suo centro di devozione in quanto i fuochi naturali della regione sono considerati sacri.
unitamente ad un maggior valore, onde proviene aumento di ricchezza presso i produttori e diminuzione di spesa presso i consumatori.
Dice lo stesso autore: se una nazione possedesse molti ruscelli d'ac-qua con cui irrigasse e fecondasse le sue terre, che direbbesi di colui che proponesse come mezzo di accrescere la ricchezza il progetto di distogliere simile abbondanza di acqua? Eppure, prosegue il medesimo, ciò tenderebbe ad aumentare la massa della ricchezza privata por-tando valore ad una cosa che non avrebbe nella sua somma abbon-danza1 0. M a se una nazione godesse di questa somma abbondanza di acque, non avrebbe d'uopo di ricchezza su tale rapporto, ove la na-tura avrebbe a ciò meglio provveduto senza obbligare l'uomo a veruna fatica, mentre lo stabilimento della ricchezza, come dissi, rendesi sol-tanto un bene per difetto di naturale abbondanza, ossia per mancanza di un benefizio superiore. |
Lo stesso autore, appoggiato a questi princìpi, pretese che la rie- 14 chezza pubblica diminuisse in proporzione che i beni individuali au-mentano di valor venale1 1. M a ciò è un sofismo. U n proprietario di terre con un più esteso impiego di capitali, con una più studiata indu-stria, un fabbricatore col ritrovamento di migliori strumenti e di mac-chine più perfette, un commerciante con maggior intelligenza ren-dendo più facili i mezzi di trasporto e le comunicazioni, ottengono o procurano maggiori produzioni e fanno nello stesso tempo un mag-gior profitto a loro vantaggio. Così avvi magmag-giore abbondanza a favore del pubblico, maggiore aumento di ricchezza a favore dei pri-vati. C i ò succede perché si accresce il valor venale dell'intiera massa delle conseguite produzioni, mentre si diminuisce a pubblico vantag-gio il prezzo di ciascuna individuale cosa. U n o Stato che in eguale estensione di terreno ottenga, per esempio, centomila sacca di grani del valore di due zecchini per ogni sacco; se un altro Stato in un'eguale misura e posizione di terreno per una maggiore industria de' cittadini conseguisse il doppio dell'accennata quantità di sacca di grani, ma ove non valesse questo per ogni sacco che due terzi, quest'ultimo Stato ha nell'istesso tempo una maggiore abbondanza ed una maggiore ricchez-za, giacché egli è più ricco pel valore dell'intiera massa, benché sia diminuito il prezzo del grano. Ecco in quale maniera uno Stato ha interesse anche rapporto ai privati ad una maggiore abbondanza e nello stesso tempo al minor prezzo delle cose. La ricchezza viene in
xo.J. LAUDERDALE, Inquiry cit., 2 (cfr. Biblioteca dell'economista cit., p. 15). H . J. LAUDERDALE, Inquiry cit., 2 (cfr. Biblioteca dell'economista cit., pp. 17-20).
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tal maniera in ogni paese sempre costituita dal maggior valore o prezzo 15 venale delle cose nella stessa più grande abbondanza, in modo che una minore quantità di oggetti formanti la ricchezza, qualora ottenesse un maggior valore o prezzo, diverrebbe realmente una più grande ricchezza. Che se si potesse conseguire una maggiore abbondanza di cose e nell'istesso tempo si potesse diminuire l'impiego delle sorgenti che si applicano alla loro produzione, allora una tale nazione sul rap-porto di questa si accosterebbe al grado di felicità che ottengono gli uomini nell'uso delle cose di inesausta abbondanza, perché allora si diminuirebbe il bisogno della ricchezza.
Finalmente osserverò, contro lo stesso autore, che il valor venale non esprime il grado di desiderio che si ha per una cosa1 2, mentre molti possono desiderare e desiderano alcune cose, per acquistar le quali mancano di mezzi, o ne desiderano alcune di minor valore a preferenza di