Chiudiamo questa parentesi sulle verità implicite e veniamo a quello che forse è il più ostico dei problemi con cui il prof. F. deve misurarsi, il cosiddetto Problema della
selezione83, al quale tu stesso, nel finale della tua mail, fai riferimento. Come hanno
fatto gli autori di narrativa a selezionare nei mondi (im)possibili proprio quegli oggetti che soddisfano le proprietà che volevano? Naturalmente la domanda è forzata, dal momento che nessuno vedrebbe mai nell'atto di stesura di un romanzo una mera selezione. I personaggi fittizi possono sì essere presi in prestito da altri libri o dalla realtà stessa (vedi Napoleone in Guerra e Pace), ma la sensazione rimane sempre quella di essere al cospetto di un atto essenzialmente creativo, per mezzo del quale viene portato alla luce qualcosa che prima non c'era – certo non diciamo che Tolstoj ha creato Napoleone, però diciamo che ha creato il personaggio fittizio Napoleone. Eppure, «il (neo)meinonghianesimo tende a difendere una visione platonica delle entità fittizie, [nella quale queste sono concepite] come entità ideali che, in quanto indipendenti dalla mente umana, preesistono a ogni attività di raccontare storie»84. La teoria del prof. F. è
pervasa da un realismo per cui le entità inesistenti non hanno, nomen omen, la proprietà dell’esistenza, ma possiedono, autonomamente da noi esseri umani, altre proprietà. Ne segue che riferirsi ad esse vuol dire «pescarle» in un qualche dominio già dato. «Come è possibile selezionare in questo modo oggetti privi di collocazione spaziotemporale, e con cui non possiamo interagire causalmente?»85
Ciò che turba i pensieri dei neomeinonghiani come il prof F. è il fatto che un oggetto inesistente è tale proprio perché non ha poteri causali. Il creare, tuttavia, sembra una tipica azione che prevede un rapporto causale: creare qualcosa è, per definizione, portare all’esistenza qualcosa che prima non esisteva. «Ma questo non può avvenire con un personaggio fittizio», sostiene un neomeinonghiano, «esso non esiste!» Questo lo porta ad accettare inferenze come la seguente: «Holmes non esisteva nel 1780», dunque «Holmes era non-esistente nel 1780», dunque «Holmes era non-esistente prima che Doyle nascesse»86. Cosa ha fatto allora Doyle? Non si può dire che abbia portato 83 SAINSBURY [2009], p. 58 e BERTO [2010], p. 243. In VOLTOLINI [2010], p. 56, si nota come il problema
risalga a KRIPKE [1980], pp. 147-8.
84 VOLTOLINI [2010], p. 74-5. 85 BERTO [2010], p. 244. 86 SAINSBURY [2009], p. 58.
Holmes tra gli oggetti esistenti, perché Holmes non esiste, né si può dire che lo abbia portato tra gli oggetti inesistenti, perché Holmes era inesistente ancor prima dell’arrivo di Doyle fra gli esistenti. A quale oggetto inesistente ha quindi aggiunto la proprietà di “essere un investigatore”, “vivere in Baker Street 221 B” e così via? Come ha fatto ha prendere proprio quell’oggetto?
Il prof. F. sicuramente obietterebbe rifiutando la definizione di “creazione” come di un “portare ad esistenza”. Se tuttavia vogliamo ammettere una simile definizione, allora, secondo lui, dobbiamo trattare il rapporto autore-personaggio come una relazione di
dipendenza ontologica87: Holmes non è quel che è e non ha le proprietà che ha di per sé,
ma dipende per esse dall’attività di qualcun altro. La posizione di F. è riassumibile così: se accettiamo che si possa creare qualcosa senza conferirgli l’esistenza, diremo semplicemente che Doyle ha creato Holmes; «[s]e invece riteniamo che “creato” implichi “portato all’esistenza”, diremo solo che Holmes dipende ontologicamente da Doyle»88.
Il fatto è che la parola “creazione” è usata proprio nel modo che il neomeinonghiano vuole evitare, cioè per rappresentare qualcosa che prima non esisteva e che ora esiste. C’è addirittura un importante antirealista che ha scritto che «è un’innegabile verità concettuale, anzi (oso dire) analitica, che per ogni x, se x è creato, x giunge ad esistenza. Creare qualcosa è portarlo all’esistenza». Ma allora: fino a che punto possiamo smentire l’uso comune di una parola?
Ci tengo a precisare che ci sono altri modi, oltre a quello neomeinonghiano, per rifiutare la concezione comune del creare. In particolare lo si può fare da una posizione che ne è filosoficamente assai distante, vale a dire quella neoparmenidea. Uno come Severino ti direbbe che, dal momento che tutto esiste eternamente, “creare” non può affatto significare “portare qualcosa dal regno dell’inesistente a quello dell’esistente” – il regno dell’inesistente, per l’appunto, non esiste, quindi nulla può esservi tratto. «‘Nascere’, ‘morire’, ‘crescere’, ‘mutare’, ‘generarsi’, ‘corrompersi’, ‘distruggersi’, sono i vari modi in cui l’essere compare e scomparisce (cioè sono i vari aspetti assunti dall’essere nel suo apparire e sparire). Il divenire dell’essere, quale è contenuto nell’apparire, è il processo del comparire e dello sparire dell’eterno essere
87 BERTO [2010], pp. 258-9. 88 Ivi, p. 259.
immutabile»89. L’essere, dunque, non si crea né si distrugge; nulla viene portato
all’esistenza, poiché tutto già esiste. Il neomeinonghiano, all'opposto, afferma che ci sono entità inesistenti, di cui possiamo parlare e su cui possiamo scrivere romanzi. Tali entità non possiamo però portarle nel regno dell’esistente, le possiamo soltanto selezionare dai mondi (im)possibili. In breve, sia il neomeinonghiano che il neoparmenideo non accettano la nozione comune di “creazione”, ma lo fanno da due prospettive decisamente differenti.
A questo punto possiamo porci nuovamente la domanda sul senso comune. Siamo disposti a rinunciare alla nostra intuizione per cui i personaggi dei romanzi sono creazioni, o a modificare la nostra comprensione della parola stessa “creazione”? Siamo disposti a considerare sbagliate le nostre conoscenze sui personaggi fittizi, ora che abbiamo scoperto la loro “vera natura”?
Ci sono alcuni studiosi, tra cui la professoressa L., che a queste domande hanno risposto negativamente. La loro teoria sugli oggetti fittizi viene chiamata creazionismo o artifattualismo, e permette di risolvere agilmente i crucci che attanagliano la tesi neomeinonghiana.
Ti consiglio di scrivere proprio alla prof. L., ti darà sicuramente una mano molto più “attuale” di quella che ti ha dato il prof. F. Con questo, s'intende, non voglio dire che la sua posizione sia esente da problemi.
Attendo altre tue notizie, Saluti,
V.