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Problematiche Termiche per la Caratterizzazione I/V di HBV FET

Caratterizzazione Non Lineare di HBV FET per Applicazioni di Potenza

3.2 Problematiche Termiche per la Caratterizzazione I/V di HBV FET

Nei dispositivi ad elevata potenza come nel caso di FET HBV, basati sia su Arseniuro di Gallio sia su Nitruro di Gallio, sono molto pronunciati gli effetti dovuti al riscaldamento. L’incremento di temperatura in ogni punto lungo il canale del dispositivo attivo è determinato dall’equazione del flusso di calore, [43]: ( ) = ∇ ⋅ ∇ + P dT C T H dt

ρ

κ

(125)

dove CP rappresenta il calore specifico, ρ è la densità del materiale, κ è la

conducibilità termica, T è la temperatura ed H la densità di potenza dissipata. Nel caso stazionario l’eq. (125) si riduce a:

( ) 0

∇ ⋅ ∇

κ

T +H = (126)

Tale relazione è utilizzata nei dispositivi attivi ad alta densità di Potenza per ottimizzare l’ambiente termico in cui essi operano in modo tale da non raggiungere temperature che portino a fenomeni catastrofici di rottura. Il flusso di calore descritto nell’eq. (125) può essere sempre determinato per ogni dispositivo attivo, ma è necessario conoscere la sua struttura del FET, l’ambiente termico in cui è collocato e la distribuzione spaziale di potenza dissipata nel dispositivo stesso. Tuttavia la conoscenza delle specifiche geometriche del FET, i parametri dei materiali e le condizioni al contorno sull’ambiente termico rendono l’analisi matematica del riscaldamento dei transistori molto complessa. Tali problemi sono in genere ridotti utilizzando un modello semi-empirico, ad elementi concentrati, noto come impedenza termica.

Applicando tensioni di polarizzazione DC ai terminali di Drain e di Gate, la potenza di alimentazione è principalmente dissipata su il dispositivo attivo, tramite un modello detto impedenza termica PT. Tale modello è costituito da

una resistenza termica, che descrive l’aumento di temperatura nel canale proporzionalmente alla potenza dissipata, e da una capacità termica, volta a rappresentare i tempi dei transienti di temperatura sul dispositivo attivo. Variando le tensioni DC applicate ad un FET, ovvero muovendosi da uno stato

stazionario ad un altro, la temperatura associata al transistore impiega centinaia di microsecondi a secondi per raggiungere il nuovo livello stazionario appropriato alla potenza dissipata. Durante il transiente la variazione di temperatura segue l’equazione del flusso di calore, in eq. (125). Assumendo il semplice modello dell’impedenza termica il transiente è caratterizzato dalla costante termica τT dell’ordine tipicamente dell’ordine di 100÷200µs.

Assumendo che il FET lavori in regime stazionario e definendo la temperatura operativa di lavoro del FET Top, la potenza dissipata Pdiss, e la temperatura

ambiente Tamb, è possibile calcolare l’impedenza termica, in questo caso solo

resistiva, come: − = op amb T diss T T P P (127)

Assumendo per semplicità che PT sia indipendente dalle altre tre variabili, il

valore dell’impedenza termica è determinato sperimentalmente misurando le altre tre incognite. Una volta noto il suo valore e la potenza dissipata, la temperatura operativa del FET può essere calcolata come:

= + ⋅ = + ⋅ ⋅

op amb T diss amb T DS DS

T T P P T P V I (128)

Nel campo delle alte frequenze il periodo del segnale è così breve che la potenza media dissipata sul dispositivo è essenzialmente la potenza dissipata dall’alimentazione DC cosicché il FET a grande segnale, sebbene il punto di lavoro si muova lunga la curva di carico nel piano I/V, non ha il tempo di aumentare sensibilmente la sua temperatura. Il dispositivo attivo a RF si muove quindi in un piano I/V principalmente isoterma.

In DC invece un aumento della potenza dissipata corrisponde un aumento diretto della temperatura del FET e quindi delle vibrazioni del materiale. Il numero delle collisioni dei portatori nel canale generano quindi una velocità media minore all’aumento della temperatura. In termini di parametri macroscopici sia la mobilità per basso campo elettrico sia la velocità di saturazione dei portatori sono ridotte.

Applicando tensioni DC ai terminali di Drain e di Gate, gli effetti di surriscaldamento generati dalla dissipazione di potenza DC sono quindi

maggiori ad alte correnti ed alte tensioni Drain-Source, con le seguenti conseguenze, [44][45][46]:

• Le curve I/V DC si presentano più piatte di quello che invece sono ad RF, ovvero la conduttanza di uscita DC ha valori minori rispetto al valore ad RF.

• Ad alte potenze dissipate in DC la piattezza delle curve I/V DC genera un effetto drammatico che porta ad una diminuzione di corrente, ovvero ad una conduttanza di uscita apparentemente negativa, non fisica.

• Le curve I/V DC, parametrizzate rispetto VGS, collassano così da implicare in DC una trans-conduttanza ridotta rispetto il valore ad RF.

• Un aumento di temperatura operativa causa una interazione maggiore dei portatori, rendendo loro più difficile l’acquisizione di energia per iniziare la ionizzazione da impatto. Il risultato è la necessità di un maggiore campo elettrico perché inizi la ionizzazione e quindi una tensione di breakdown maggiore rispetto il valore a RF.

Le informazioni ottenute da una fase di caratterizzazione DC non sono quindi utili per stimare la densità di potenza a RF, poiché generano una stima erronea delle curve I/V a RF e conseguentemente una falsa previsione della potenza a mm (dovuta fondamentalmente alla riduzione della corrente massima ed ad un incremento della tensione di ginocchio), [47][48][49]. Inoltre, ogni punto del piano I/V DC è caratterizzato da una temperatura operativa differente e quindi è associato ad uno stato termico differente, [50].

Per tali ragioni, le curve I/V ad RF di un FET si discostano dalle caratteristiche DC, [51]. Di conseguenza un generico transistore non possiede un unico insieme di curve I/V a RF ma esse dipendono dall’alimentazione a riposo applicata e dalla frequenza del segnale a radiofrequenza iniettato, [52][53]. Questo effetto che macroscopicamente si presenta con la discrepanza fra le curve I/V in DC e quelle ad RF è conosciuto come fenomeno di dispersione. Esso è legato sia ad effetti termici di auto riscaldamento sia a fenomeni noti come trappola.

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