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4. L’attuazione di Pagamenti per Servizi Ambientali in aree protette della Regione Veneto

4.5. Problemi e potenzialità

Dall’indagine svolta nei due casi studio in Veneto, è emerso chiaramente che varie forme di PSA possono essere attivate in relazione alle attività di gestione e governance che ruotano attorno ai Parchi regionali. Non solo, dall’indagine è emerso anche che alcuni strumenti di valorizzazione delle esternalità ambientali già attuate dai parchi (si veda l’Allegato B) si possono configurare come veri e propri meccanismi di PSA in base agli elementi basilari che li devono caratterizzare (volontarietà, disponibilità a pagare di almeno un utilizzatore del servizio, ecc.). È presumibile che casi applicativi di PSA del tutto simili a quelli rilevati nei due casi studio (o anche più avanzati) siano già attivi in altri Parchi del Veneto, siano questi di competenza pubblica (regionale o nazionale) che di altra natura (oasi gestite ad esempio da ONG ambientaliste o da altri soggetti privati).

Uno degli ostacoli riscontrati nell’indagine al consolidamento delle esperienze in essere e a una maggiore diffusione dei PSA in relazione alle aree protette in Veneto sta nella loro elevata frammentazione e relativamente piccole dimensioni. Nella totalità dei casi rilevati, anche di quelli più articolati e apprezzati dagli operatori (quali ad esempio l’iniziativa creata attorno al Marchio del Parco della Lessinia) si tratta infatti di iniziative isolate e avviate su piccola scala, di cui poco si sa al di fuori del territorio del parco e dei comuni nelle sue immediate vicinanze. Per un’attivazione di qualunque tipo di PSA risultano essenziali azioni di informazione e formazione ai vari attori presenti sul territorio del parco e nelle sue immediate vicinanze. Questo per permettere a tali soggetti la comprensione dei meccanismi di funzionamento dei PSA, la stima dei benefici potenziali rispetto ai costi e agli usi alternativi dei terreni, nonché l’identificazione dei rispettivi ruoli (fornitori di uno o più servizi ambientali nel caso dei proprietari e gestori pubblici e privati, mediatori e facilitatori tra le parti nel caso degli Enti pubblici, ecc.) e dei relativi diritti e doveri. Uno dei probabili ostacoli ad una maggior diffusione di questi strumenti sembrano essere le difficoltà che riscontrano gli operatori a definire in maniera accurata e funzionale alle proprie esigenze e interessi anche economici gli aspetti contrattuali collegati all’erogazione e conseguente pagamento di un servizio ambientale. Nell’attuale contesto operativo e legislativo italiano i casi di veri e propri PSA già pienamente funzionanti o in una fase matura di attuazione sono pochissimi, anzi quasi inesistenti. Quindi vi è ancora scarsa esperienza relativa ai dettagli con cui si debba definire il contratto tra chi fornisce il servizio ambientale e chi lo paga. Vi sono molti aspetti delicati da considerare a questo proposito, che regolamentano diritti e doveri dei contraenti e che vanno dalla definizione del valore del servizio erogato (sulla base del quale identificare un’equa entità del pagamento), alle modalità con cui l’effettiva

erogazione del servizio dovrà essere monitorata, alle clausole di risoluzione del contratto o di soluzione di eventuali contenziosi. Pur nella consapevolezza che ogni singolo PSA dovrà necessariamente essere sviluppato in maniera specifica per una data area protetta o addirittura per un singolo sito (in ragione della specificità dei vari servizi ambientali e delle caratteristiche degli attori locali che possono essere coinvolti), si è ritenuto, nell’ambito del presente rapporto, fornire una prima traccia per un Accordo quadro per la fornitura di servizi ambientali (Allegato A). Si ritiene che tale traccia potrà utilmente orientare la predisposizione, in futuro, di veri e propri contratti di PSA – sia fuori che dentro le aree protette del Veneto. Oltre ad una chiara definizione degli aspetti contrattuali, appare altrettanto essenziale la scelta di avviare azioni congiunte e coordinate, che possono ridurre i costi tecnici e quelli di transazione nonché migliorare il ritorno, anche in termini di visibilità, degli sforzi e delle risorse investite nell’ ideazione e attuazione di PSA. Quando siano applicate a dei PSA, esse possono anche diventare elementi per attrarre nuovi fornitori del servizio ambientale (e migliorare quindi le performance del PSA stesso) e nuovi investitori (acquirenti), che spesso hanno come obiettivo proprio quello di migliorare la propria immagine e reputazione aziendale. Azioni di marketing territoriale basate su PSA potrebbero essere create attorno agli stessi network che forniscono i servizi ambientali, rafforzandoli e così evitando (o riducendo) la presenza di interventi spot, frammentati, che possono creare problemi sia nel dare garanzie di continuità e quantità dei servizi ambientali erogati, sia nella definizione di forme di governance efficaci ed efficienti (nel caso di pochi partecipanti al PSA, potrebbe non essere economicamente sostenibile affidarsi ad un soggetto mediatore, la contrattazione tra fornitori e utenti del SA potrebbe essere diretta e risultare quindi più complessa e svantaggiosa per i fornitori). A questo proposito va ricordata la nuova opportunità offerta dalla recente introduzione dei cosiddetti “contratti di rete”. Si tratta di forme contrattuali, introdotte con una legge nel 2009 e poi successivamente modificate, derivanti inizialmente dal concetto di contratto di filiera e altre forme simili (imprese collettive, imprese consortili, ecc.). Finora, da dati Unioncamere 2013, in Italia sono stati stipulati 550 contratti di rete, che coinvolgono circa 3.000 imprese (di cui oltre 80 in Veneto, con circa 300 imprese) e il loro numero è in forte crescita. Un esempio vicino al settore forestale è quello stipulato nella provincia di Vicenza per attività di trasformazione e commercializzazione di funghi secondo protocolli di qualità. Non si conoscono invece al momento esperienze specifiche in attività di gestione forestale o simili. I vantaggi di questi contratti, rispetto a quelli più tradizionali previsti ad esempio per la creazione di consorzi forestali o di altre tipologie di aziende, sono , tra gli altri: 1) la maggior flessibilità, dato che nella loro forma più semplice possono costituirsi con il solo obiettivo di favorire lo scambio di informazioni, mentre nella forma più complessa prevedono l’organizzazione in forma associata di tutte le attività; 2) i minori rischi per i singoli associati, dato che non vi è una responsabilità penale degli stessi, che non rispondono personalmente/individualmente degli obblighi contrattuali della rete, di cui risponde solo (l’eventuale) fondo patrimoniale della stessa; 3) una serie di agevolazioni fiscali ad esse associate (ad esempio, agevolazioni nella concessione del credito); 4) la possibilità di creare la rete anche tra soggetti che non necessariamente insistono nello stesso ambito territoriale (come era invece nel caso dei distretti industriali); 5) gli obblighi, previsti alla costituzione della rete, che venga dato a tutti gli aderenti la possibilità di ammortizzare i costi, che l’accesso di altri membri sia libero e che l’uscita del soggetto più “forte” della rete non possa avvenire prima che sia trascorso un certo periodo di tempo e la rete si sia stabilizzata; 6) tutto ciò mantenendo comunque, come per le forme associative più tradizionali, la possibilità di acquisire maggior forza nella definizione dei rapporti contrattuali con soggetti terzi e di essere riconosciuti come interlocutori autorevoli. I contratti di rete potrebbero aiutare i soggetti più “deboli” a superare le asimmetrie informative che caratterizzano molti settori, incluso quello della fornitura e commercializzazione dei servizi ambientali derivanti dalle foreste e da aree naturali. Naturalmente, all’opposto, uno dei rischi da evitare è che le reti così create possano

portare a una posizione economica dominante sul mercato. I contratti di rete possono svilupparsi “verticalmente” (lungo la filiera) oppure “orizzontalmente” (tra i vari attori che forniscano un servizio ambientale, o – più tradizionalmente – un prodotto). Proprio quest’ultima configurazione parrebbe la più appropriata per organizzare meccanismi di PSA basati su forme di governance partecipativa locale, anche in considerazione del recente inserimento nel PSR 2014-2020 dell’articolo 35 sulla Cooperazione, che verrà sicuramente attivato nel Veneto.

Infine, va ricordato come un proseguimento e ampliamento dell’indagine ad altre aree protette, i casi di PSA già in essere o quelli che si andassero via via a creare, potrebbero essere “censiti”, catalogati e resi visibili in un database regionale complessivo. Questo potrebbe divenire un utile strumento informativo per mettere in comunicazione la domanda e l’offerta di servizi ambientali e sociali connessi ad aree protette in Veneto, identificando siti, attori e interventi gestionali (fornitori) disponibili ad essere finanziati da eventuali soggetti terzi (acquirenti). Tali soggetti terzi potrebbero essere sia aziende private (o altri soggetti) che volontariamente volessero migliorare la propria immagine aziendale investendo su progetti di tutela ambientale e sociale nel proprio territorio, oppure anche aziende e soggetti che obbligatoriamente dovessero realizzare interventi compensativi previsti dalle normative VIA e VAS in seguito ad esempio alla realizzazione di opere infrastrutturali.