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Procedura seguita nell’attacco RIE

3.4. Aperture nell’ossido

3.4.3. Procedura seguita nell’attacco RIE

In Figura 3.20 è riportata l’immagine del macchinario usato per realizzare il RIE durante questo lavoro di tesi.

Figura 3.20 Apparecchiatura utilizzata per realizzare l’attacco RIE in questo lavoro di tesi

Il sistema RIE utilizzato dispone di una camera di processo cilindrica provvista di due piatti paralleli che fungono da elettrodi e collegata ad un sistema di vuoto costituito da una pompa rotativa in serie ad una pompa turbomolecolare; a causa del limite meccanico prestazionale delle pompe rotative, quando è necessario raggiungere valori di vuoto molto

bassi si ricorre alla tecnica del multistadio, ovvero diverse pompe vengono collegate in serie a catena. Le pompe rotative raggiungono pressioni di 10-3 mbar, mentre una pompa turbomolecolare può raggiungere vuoti dell’ordine di 10-7 mbar. La pompa rotativa in serie alla turbomolecolare provvede ad innalzare la pressione del gas in uscita da quest’ultima, scaricandolo in atmosfera.

Nella camera di processo è possibile far fluire 4 tipi di gas: , ossigeno, azoto e argon, collegati dall’esterno tramite altrettanti flussimetri.

Per la realizzazione del plasma, il sistema è dotato di un generatore a RF alla frequenza standard di 13.46 MHz, in grado di erogare una potenza massima di 500 W.

Il macchinario è connesso ad un computer, dal quale vengono gestiti, con l’ausilio di un software dedicato, tutti i parametri del processo, fra cui la velocità di rotazione della pompa turbomolecolare, il flusso dei gas coinvolti nel processo e la potenza associata al generatore RF. Il software permette, inoltre, di visualizzare l’entità della pressione in camera e della tensione di accelerazione (tensione di bias) presenti durante il processo. In questo lavoro di tesi l’attacco dello strato di ossido è stato realizzato seguendo il seguente schema:

• 40’ di attacco con 40 sccm di e 40 sccm di argon; la potenza del generatore RF viene impostata a 100W;

• 5’ di pausa necessaria per il raffreddamento del chip, durante la quale si fanno fluire solo 40 sccm di argon a generatore spento;

• 40’ di ulteriore attacco con parametri identici a quelli del primo punto.

Innanzitutto occorre posizionare i campioni sul piatto inferiore della camera di processo. Poiché la camera inizialmente è svuotata, prima di aprirla occorre portarla a pressione atmosferica e questo lo si ottiene facendovi entrare aria dall’esterno; prima di far entrare aria nella camera, però, vi si fanno flussare 20 sccm di azoto: lo scopo è quello di far sì che le molecole di azoto vengano adsorbite dalle pareti della camera, in maniera che quest’ultima non venga poi contaminata a contatto con l’aria. Occorre sempre assicurarsi che il flusso di azoto sia cessato nel momento in cui l’aria comincia a flussare. Raggiunta la pressione atmosferica, il flusso d’aria si interrompe automaticamente tramite la chiusura in automatico della valvola di entrata dell’aria (venting valve).

A questo punto è possibile aprire la camera di processo tramite l’apposita manopola. Una volta adagiati i chip sul piatto inferiore tramite l’ausilio di una pinzetta, si può richiudere la camera e dare il via al processo vero e proprio.

Innanzitutto occorre fare un buon vuoto (dell’ordine di circa 10-6 mbar), in maniera da essere sicuri di aver eliminato i residui di ossigeno quando andremo a far flussare i gas di processo ( e

!

Per fare questo si passa, tramite software, in modalità PUMP. La procedura di svuotamento della camera richiede circa un’ora per raggiungere il livello di vuoto auspicato. Durante la fase di svuotamento la pompa turbomolecolare lavora alla massima velocità possibile.

A questo punto si passa in modalità THROTTLE; la velocità della pompa turbomolecolare in questa fase è impostata al 40% della velocità massima, pertanto essa aspirerà meno che nella fase di svuotamento, di conseguenza la pressione in camera aumenterà un po’.

Dopo aver atteso circa 10’ per consentire alla pompa turbomolecolare di andare a regime, si fanno flussare 40 sccm di e 40 sccm di argon. La pressione in camera, a seguito di ciò, aumenterà ulteriormente raggiungendo un valore di circa 2 ·10-1 mbar.

A questo punto si può dare inizio al processo di formazione del plasma accendendo il generatore RF dopo averne impostato la potenza ad un valore di 100 W e dopo aver settato a 40’ la durata del processo.

Il software dedicato consente di prendere visione del valore della tensione di bias a questo stadio che è di circa -460 V.

Trascorsi i 40’ impostati, il processo di formazione del plasma si arresta.

Poiché a questo punto lo schema di processo seguito prevede di far fluire in camera per 5’ solo 40 sccm di argon, si spegne il generatore RF e si chiude la valvola che fa flussare . Per 5’ si lasciano fluire in camera solo 40 sccm di argon.

Trascorso questo tempo, si riaccendono il flusso di e il generatore RF, conservando i parametri impostati nella precedente fase. Anche questa seconda fase di attacco in plasma durerà 40’. La scelta di spezzare in due la fase di formazione del plasma, prevedendo un breve periodo di pausa durante il quale in camera fluisce solo gas inerte, nasce dalla necessità di non far riscaldare troppo il fotoresist che potrebbe degradarsi per via dell’eccessivo calore. Al termine dei 40’, il processo di formazione del plasma si arresta definitivamente. In questa fase, la tensione di bias assume un valore di circa -2 V.

A questo punto l’attacco RIE è terminato e si dà il via alla procedura necessaria per l’apertura della camera (per il recupero dei chip processati) e per il successivo spegnimento del macchinario.

Al termine del processo i chip, ispezionati al microscopio ottico, assumono il seguente aspetto:

(a) (b)

Figura 3.21 Foto al microscopio ottico di un chip nella fase post-RIE (a) e particolare di una struttura a

doppio riscaldatore (b).

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