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La Procreazione Medicalmente Assistita come cura per la salute riproduttiva

1. Un profilo di salute specifico: la salute riproduttiva

Come si è avuto modo di chiarire in precedenza, il presente lavoro si fonda, tra le altre, sulla definizione di salute enucleato a livello di fonti internazionali. Richiamando dunque il concetto di «stato di benessere fisico e psichico completo», ci si può domandare come esso si realizzi nel campo della riproduzione umana. In ambito medico internazionale la risposta è formulata in chiave negativa, vale a dire

indicando che cosa si intenda per infertilità umana1. Tale nozione

combina una componente quantitativa (almeno un anno di tentativi di concepimento attraverso rapporti sessuali regolari e non-protetti) e una qualitativa (il raggiungimento effettivo di uno stato di gravi- danza accertato in sede clinica)2. Da ciò discende una prima conside-

razione: in ambito medico, sul piano teorico, viene istituita una rela- zione tra il paziente e una mancanza. Si definisce ciò che non vi è, ciò che è assente e si cerca di porre in essere, di realizzare. La comunità scientifica è concorde su quali siano gli elementi che rendendo questa

1Recenti stime attestano al 7% il tasso di infertilità maschile nella popolazione

mondiale, come riportano KRAUSZC., RIERA-ESCAMILLAA., Genetics of male infer-

tility, in Nature Reviews Urology, Urology, 2018, 5th April. Per quanto concerne l’infertilità femminile, invece, si tratta del 2% per l’infertilità primaria e il 10,5% di

quella secondaria, si vd. HODINS., The Burden of Infertility: Global Prevalence and

Women’s Voices from Around the World, in Maternal Health Task Force, 18 January 2017, mhtf.org, consultato il 18 novembre 2018.

2ZEGERS-HOCHSCHILDF., ADAMSONG. D.,DEMODZONJ. et al., Infertility (cli-

nical definition), in International Committee for Monitoring Assisted Reproductive Technology (ICMART) and the World Health Organization (WHO) revised glos- sary of ART terminology, 2009, in Fertility and Sterility, 2009, Vol. 92, No. 5. Confermato anche in ZEGERS-HOCHSCHILD F., ADAMSON G.D., DYER S. et al., The International Glossary on Infertility and Fertility Care, 2017, in Fertil. Steril., 2017, 108(3).

mancanza patologica, quali siano quindi i limiti oltre i quali si possa parlare di un’assenza e annoverarla quale disfunzionamento dell’or- ganismo. Al contrario, ogni definizione di ciò che sia la fertilità umana è stata abbandonata, rivelandosi tutte, per un aspetto piuttosto che per un altro, incomplete. Per comprendere tale difficoltà è utile concen- trarsi sulla componente quantitativa, o temporale, della nozione di infertilità. Infatti, il riferimento a “un anno” di tentativi è solo parzial- mente giustificato da una ragione di tipo organico, dato che decenni di attività di laboratorio hanno senza dubbio corroborato la convin- zione per cui lo standard dei dodici mesi costituisca un lasso di tempo statisticamente utile a ottenere un concepimento. Tuttavia, questo limite ha una natura per lo più convenzionale: costituisce infatti il lasso di tempo stimato idoneo a introdurre nell’ambiente clinico i sog- getti interessati, non solo allo scopo di indagare l’eziologia organica, ma soprattutto di fornire un supporto psicologico, la cui rilevanza nel settore è ormai diffusamente riconosciuta3. In altri termini, la comu-

nità scientifica riconosce la problematicità legata a un’assenza, alla necessità di intervenire per rimediarvi, nonché all’importanza di con- testualizzarla nella sua eziologia in un segmento temporale relativa- mente breve.

Dunque, se è vero che l’attenzione medica è rivolta a quest’assenza e che di essa si sa dire quando possa venire catalogata come patologica, è altrettanto vero che non si sappia definire compiutamente la pre- senza e il relativo status fisiologico. Può essere la fertilità, come l’in- tuito suggerirebbe, la generica “capacità di concepire”? Certamente sì, ma ciò non basta a soddisfare l’afflato definitorio, in quanto servi- rebbe escludere che a essa si giunga grazie al contributo medico e così facendo si tratterebbe di aprire immediatamente la porta all’antica questione di ciò che sia natura/fisiologia e di ciò che invece sia cul- tura/artificio. Nondimeno, la definizione finirebbe con l’incorrere nel rischio di divenire circolare: «la fertilità umana è quello status fisiolo- gico che coincide con la capacità di concepire senza l’intervento medico o farmacologico». Chiaramente, a essere fisiologico è tutto ciò che non è patologico e, laddove intervenga la medicina, la fisiologia è già compromessa.

Invero, a suscitare più interesse in chi scrive non è tanto la solvibi- lità dell’enigma definitorio, quanto la sua stessa esistenza. Non vi è dubbio che una definizione del concetto di fertilità, per quanto artico-

3Per un ricco approfondimento sul tema, si veda CHOWK.-M., CHEUNGM.-C.,

CHEUNGI.K., Psychosocial interventions for infertile couples: a critical review, in

lata e complessa, sarebbe formulabile in ambito scientifico, ma l’im- plicita volontà di non giungervi dimostra ancor una volta quanto più importante sia la relazione con la mancanza. Perché un soggetto ade- risce a un piano di cura per l’infertilità? Che cosa spinge una coppia a intraprendere un cammino di indagini, diagnosi e terapie? Nient’al- tro che il desiderio di riprodursi, il desiderio di generare un altro indi- viduo. Precipuamente, il desiderio nella forma di un «doppio rap-

porto col nulla», come proposto da Volli4. Si tratta infatti del

rapporto, da un lato, con una mancanza e, dall’altro, con il progetto grazie al quale poterla rendere presenza. L’assenza è quella di un figlio, il progetto è quello familiare. Tra i due elementi si insinua la patologia, nella forma di un disfunzionamento organico e di una sof- ferenza psichica. Due forme che, insieme, compongono la nozione di salute che si è assunta in principio. Infatti è «indubbio che la sterilità sovente fonte di una profonda sofferenza psicologica, il cui sollievo rientra, a pieno titolo, tra i compiti di una medicina, negli ultimi decenni, ripensata nei suoi presupposti e nei suoi obiettivi. Se vi sono buone ragioni per considerare la procreazione assistita una terapia […] appare però meritevole di considerazione anche il rilievo che l’in- sistenza sul carattere strettamente terapeutico di tale pratica può risul- tare (pregiudizialmente) funzionale alla limitazione del ricorso alle tecniche disponibili, privando di giustificazione il loro utilizzo nei casi in cui a farvi ricorso sono soggetti per i quali ostacoli alla procrea- zione non sono frapposti da patologie che incidono sulla capacità riproduttiva, ma da altre condizioni, quali, per esempio, l’essere por- tatori di malattie genetiche trasmissive, oppure dall’assenza di un par-

tner o dall’orientamento omosessuale»5. Sulla declinazione della

nozione di salute rispetto alla PMA, nelle sue varie forme, si avrà modo di tornare più diffusamente.

In ogni caso, la salute riproduttiva è dunque incentrata su un «dop- pio rapporto con il nulla», su una forma di desiderio precipua rispetto alla salute genericamente intesa, in quanto, oggetto ultimo della cura, è la portata alla luce di un nuovo individuo. Certamente ogni paziente, affetto da qualsivoglia patologia, sperimenta l’ardente fiamma del desiderio come assenza di una routine, di esecuzione di attività banali e affronta la cura come progetto per ristorare la propria salute. Soltanto un paziente affetto da infertilità, tuttavia, struttura il

4VOLLIU., Le figure del desiderio, disponibile su academia.edu, 2002, p. 8.

5 BORSELLINOP., Bioetica tra “morali” e diritto, Raffaello Cortina Editore,

proprio percorso di cura in vista della nascita di un nuovo individuo. In questo senso, si può proporre allora una lettura estrema del con- cetto di desiderio, a partire nuovamente dal pensiero di Volli: «deside- rare è aspirare a un nulla, portare nell’essere ciò che ne è escluso»6. Se

ciò che è escluso dall’essere è un individuo, forse, nell’affrontare il desiderio di genitorialità, non si sta analizzando altro che una delle forme di desiderio più alte e più complesse. Ciò potrebbe risultare particolarmente vero se si accettasse poi di pensare il desiderio come

«un’esigenza parziale di compiutezza, di integrazione»7e si conside-

rasse come l’incompiutezza principale è quella che chiunque speri- menta nella propria corporalità. Nondimeno, tale riflessione non intende condurre alla conclusione per cui sia fisiologico percepire una mancanza, o, in altri termini, che il desiderio di genitorialità sia del tutto universale e diffuso, ma che, laddove sorga, la sua gestione risulti foriera di conseguenze psichiche, fisiche e sociali del tutto scardinanti.

Infine, occorre tenere a mente come in Europa a soffrire di inferti- lità siano circa 25 milioni di persone, come ha sottolineato la rete di associazioni di pazienti e professionisti Fertility Europe, in occasione

della European Fertility Week 20188. Nella medesima circostanza

Fertility Europe ha lanciato una call to action in merito al diritto a provare ad avere un bambino (e non un diritto al bambino) in Europa, alla garanzia di un accesso eguale, giusto e sicuro ai trattamenti di cura dell’infertilità, allo stanziamento di fondi pubblici per gli stessi tratta- menti, nonché nell’impegno del settore pubblico nel fornire una migliore informazione in merito alla fertilità e all’infertilità, special- mente veicolando una campagna di comunicazione volta a sradicare lo stigma associato all’infertilità9.

1.1.L’aspetto classificatorio delle cure per la salute riproduttiva Muovendo i primi passi nel vasto settore della salute riproduttiva, occorre sottolineare come non solo i mezzi di comunicazione di massa, ma anche il mondo accademico sconti spesso il prezzo di una confusione lessicale dovuta in parte alla globalizzazione del tema e del dibattito e in parte a una poca chiarezza concettuale di base.

6VOLLIU., op. cit., p. 20.

7Ivi, p. 18.

8FERTILITYEUROPE, Time for a European game-changing movement on inferti-

lity. Call to Action, November 2018, fertilityeurope.eu, visitato il 15 novembre 2018.

Si discute spesso senza alcuna distinzione di “fecondazione assi- stita”, “procreazione medicalmente assistita”, “fecondazione artifi- ciale”, “procreazione artificiale” e numerose altre locuzioni più o meno attinenti. Ciascuna di queste formule tradisce un’origine legata a un determinato contesto, sia esso religioso (pro-creare, la creazione di Dio attraverso l’uomo), filosofico (fecondazione artificiale perché contrapposta a una naturale) o storico (fecondazione assistita in quanto realizzata grazie al lume di un medico, alla sua specifica com- petenza scientifica). Ora, pur non condividendo l’impostazione alla base dell’etimo della pro-creazione, per una ragione squisitamente pragmatica nel presente lavoro la locuzione “procreazione medical- mente assistita” (PMA) verrà utilizzata al fine di indicare quello spe- cifico settore di trattamenti per l’infertilità cui il lavoro stesso si rife- risce. La ragione pragmatica si fonda nella constatazione dell’uso assolutamente invalso della locuzione tanto nel dibattito italiano, quanto in quello francese (dove chiaramente si parla di AMP, in quanto “assistance médicale à la procréation”). Un uso del tutto cor- roborato dalla giurisprudenza e dalla dottrina. Costituendo un punto di incontro così chiaro, appare pertanto proficuo farvi perno al fine di rendere quanto più chiara possibile l’analisi.

Innanzitutto la PMA include procedure di natura chirurgica, far- macologica, ormonale e genericamente medica adottate nel tratta- mento dei gameti maschili (spermatozoi) e femminili (ovociti) al fine di consentire il procedimento riproduttivo. Tali tecniche possono rea- lizzarsi mediante procedimenti detti in vivo (inseminazione intraute- rina semplice - IUI), in quanto il seme maschile viene introdotto nella cavità uterina in seguito al monitoraggio dell’ovulazione femminile10.

Diversamente, simili protocolli possono essere implementati in vitro (in vitro fertilisation - IVF o fecondazione in vitro con embryo tran- sfer - FIVET) con un procedimento più complesso che prevede il pre- lievo chirurgico dei gameti femminili (la cui produzione viene prece-

dentemente stimolata con farmaci)11, i quali, una volta inseminati e

10Trattasi in sintesi di favorire l’incontro spontaneo dei gameti, basandosi su ciclo

spontaneo oppure stimolando per via farmacologica l’ovulazione. Tale tecnica risulta più efficiente qualora la paziente sia affetta da difetti strutturali o funzionali della cer- vice uterina oppure nei casi in cui la cervice stessa presenti del tessuto cicatriziale. Allo stesso modo, l’IUI costituisce una soluzione efficace se l’uomo evidenzi una conta spertica bassa, una ridotta motilità, una disfunzione erettile o, ancora, soffra di eiaculazione retrograda.

11In particolare, al fine di stimolare la maturazione di più di un ovocita per volta,

la paziente riceve un trattamento farmacologico ad hoc. Il trattamento farmacolgico ha una durata che varia da 8 a 14 giorni; durante tale trattamento la maturazione dei

fecondati in laboratorio con il seme del partner, danno vita a un embrione12. In seguito all’incipit di sviluppo13, l’embrione è poi trasfe-

rito nell’utero materno. Questo passaggio riveste un ruolo fondamen- tale da un punto di vista analitico: non è raro leggere contributi nei quali si tratta di impianto dell’embrione riferendosi all’attività medica del passaggio dal vetrino di laboratorio all’utero della donna, ingene- rando così una notevole confusione circa la chance di successo delle tecniche di PMA. L’impianto dell’embrione coincide invece con il momento in cui esso attecchisce all’utero dando luogo a un debutto di gravidanza. È perciò vero che ogni impianto derivi da un trasferi- mento, ma è altrettanto indubbio che non a ogni trasferimento corri- sponda un impianto.

Dal punto di vista classificatorio, le tecniche di PMA si dividono non solo tra in vivo e in vitro, ma anche in omologhe (quando sia i gameti maschili che quelli femminili appartengano alla coppia) ed ete- rologhe (quando invece i gameti di uno dei due sessi provengano non dal partner, ma da un soggetto esterno alla coppia, oppure ci si rife- risca a un soggetto surrogato).

La fecondazione omologa risulta una soluzione adeguata nei casi nei quali l’infertilità si presenta per la donna nella forma endocrina- ovulatoria (qualora le ovaie non producano ovociti in modo regolare, per esempio a causa della presenza di cisti ovariche), di una forma non grave di endometriosi (trattasi, sinteticamente, della presenza di tes-

gameti è monitorata costantemente per individuare con precisione il momento in cui la dimensione dei follicoli ovarici e i livelli di estrogeni siano tali da consentire l'inie- zione del dosaggio di gonadotropina corionica (hCG) utile a produrre l'ovulazione. Il prelievo avviene ti solito tra le 34 e le 36 ore successive all'avvenuta maturazione.

12La formazione dell’embrione può avvenire spontaneamente dall’incontro degli

ovociti maturi con il seme maschile oppure, se lo stato di salute degli spermatozoi lo richiede, attraverso un ulteriore intervento esterno. Infatti, qualora il numero di sper- matozoi o la loro motilità non siano sufficienti, si rende necessario iniettare un sin- golo spermatozoo nel citoplasma dell’ovocita (iniezione intracitoplasmatica di un singolo spermatozoo - ICSI). L’embrione si forma nell’arco delle 6-7 ore successive al momento dalla fecondazione dell’ovocita da parte dello spermatozoo.

13In un primo momento si osserva la formazione di cellule sempre più piccole (a

volume inalterato dell’embrione) dette blastomeri. Quando il numero di questi ultimi si attesta tra gli 8 e i 16, si è raggiunto lo stadio della morula, a partire dal quale le cel- lule iniziano a specializzarsi. A seguire, la morula al 4°/5° giorno si trasforma in blas- tocisti, il cui margine esterno (trofoblasto) andrà a costituire corion e placenta. Infine, al 5°/6° giorno avviene la differenziazione tra embrione e annessi placentari a mezzo della rottura del guscio della blastocisti medesima. Tale “schiusa” determina il momento di trasferimento dell’embrione nell’utero della paziente, dato che la stessa in natura avviene proprio nell’utero e un suo verificarsi in vitro comporta la morte dell’embrione.

suto organicamente simile a quello del rivestimento dell’utero, ma collocamento al di fuori di esso) o di un’alterazione parziale della per- vietà e della funzionalità delle tube ovariche. Per l’uomo, invece, nel caso in cui la funzionalità spermatica sia alterata in modo non inte- grale ma tale da rendere impossibile il concepimento a mezzo di un rapporto sessuale14.

La fecondazione eterologa come ricorso a un donatore di seme, in particolare, risulta preferibile quando il paziente produca spermato- zoi caratterizzati da una bassa conta o sia portatore di malattie gene- tiche. Per ciò che concerne il ricorso a una donatrice di ovociti, invece, la necessità può insorgere non solo quando sia la paziente a essere portatrice di una malattia genetica o per la sua bassa qualità ovocita- ria, ma anche l’insufficienza ovarica primaria (POI), l’agenesia ova- rica, l’ovariectomia, un trattamento chemioterapico o radioterapico. A livello internazionale, tuttavia, le tecniche di PMA sono classifi- cate esclusivamente in base alla loro operabilità in vivo o meno; infatti, rispondono al nome di Assisted reproductive technology (ART) esclusivamente le tecniche realizzate in vitro15. La distinzione in base

alla presenza di un donatore o di una donatrice di gameti rileva sì al fine legale, ma nella maggior parte delle legislazioni nazionali non assume una specifica terminologia di contrapposizione, così come avviene in Italia, dove l’utilizzo dei termini omologa ed eterologa è invece corrente.

Appare necessario quanto doveroso, al termine di questa prima disamina, chiarire come il vocabolario medico inerente alla fertilità umana stia andando aggiornandosi e ampliandosi, come l’Internatio-

14Nel 2016 in Italia per il 38.3% delle coppie trattate con una fecondazione omo-

loga le cause dell’infertilità sono rimaste ignote (c.d. infertilità idiopatica), mentre per il 19.8% l’infertilità era di natura endocrino-ovulatoria e per il 17.2% connessa a un malfunzionamento spermatico. Nel 12.4% dei casi hanno concorso tanto il fattore femminile , quanto maschile. Il 3.9% dei casi ha riguardato un fattore tubarico par- ziale, il 3.3% l’insorgenza dell’endometriosi e il 5% è stato ricondotto ad altre cause.

Cfr. MINISTERO DELLASALUTE, Relazione annuale del Ministro della Salute al Parla-

mento sullo stato di attuazione della legge contenente norme in materia di procrea- zione medicalmente assistita (Legge 19 Febbraio 2004, n. 40), Roma, 28 giugno 2018.

15Assisted reproductive technology (ART): «all treatments or procedures that

include the in vitro handling of both human oocytes and sperm or of embryos for the purpose of establishing a pregnancy. This includes, but is not limited to, in vitro ferti- lization and embryo transfer, gamete intrafallopian transfer, zygote intrafallopian transfer, tubal embryo transfer, gamete and embryo cryopreservation, oocyte and embryo donation, and gestational surrogacy. ART does not include assisted insemina- tion (artificial insemination) using sperm from either a woman’s partner or a sperm

nal Committee for Monitoring Assisted Reproductive (ICMART) ha evidenziato: ll glossario redatto dall’ente contava nel 2006 soli 53 ter- mini, divenuti 87 nel 2009 e 283 nel 2017. La lingua tradisce dunque inequivocabilmente l’espandersi non solo delle tipologie di tecniche, ma anche l’estendersi della richiesta delle stessa da parte della società.

Al di là del dato quantitativo, occorre tenere conto di come alcuni termini invalsi nell’uso, e impiegati anche nel presente lavoro al fine di garantire una maggiore fruibilità dello stesso, stiano gradualmente subendo un processo di sostituzione. Il concetto stesso di infertilità, in precedenza legato a un profilo schiettamente clinico sta ora attra- versando una fase evolutiva e l’ICMART annovera come “infertility” anche l’ «impairment of a person’s capacity to reproduce either as an individual or with his/her partner», venendo meno la necessità di una diagnosi e assumendo valore la semplice constatazione di un’inabilità. Infine, anche il tradizionale termine “Preimplantation genetic diagno- sis” (PGD), riferito alle tecniche con le quali è possibile testare un embrione prima del suo trasferimento in utero, nel vocabolario di set- tore è stato declinato a seconda dell’oggetto di analisi. Il nuovo lemma è il “Preimplantation genetic testing” (PGT) riferito all’aneuploidia (PGT-A, ossia i casi nei quali si verifichi una variazione al normale numero di cromosomi in una cellula), a disordini monofattoriali o monogenici (PGT-M, vale a dire i casi nei quali il difetto sia ricondu- cibile a un unico gene) oppure a (PGT-SR, quando si faccia riferi-

mento ad alterazioni cromosomiche strutturali)16. La lingua della

medicina della riproduzione e delle discipline contigue è dunque in evoluzione, andando a comprendere anche un profilo sociale di infer- tilità, come si avrà modo di vedere.

2. La fecondazione in vitro come paradigma delle tecniche di

Procreazione Medicalmente Assistita

Abitualmente, trattando di PMA, il riferimento corre alle tecniche di fecondazione in vitro. Nell’immaginario collettivo, infatti, l’inter- vento medico a favore della fertilità si presenta sempre come feconda-