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4 Procuratore e amministratore della chiesa pisana

Il 18 febbraio 1253, a pochi mesi di distanza dalla morte di Vitale 108 e a coronamento dei delicati incarichi affidatigli precedentemente, Federico otteneva da Innocenzo IV la nomina prima a procuratore e poi ad amministratore della chiesa pisana 109.

Si trattava di una decisione inusuale, considerato che per “antiqua et approbata consuetudine” spettava ai Capitoli cattedrali l’amministrazione pro- tempore delle diocesi viduatae, ma il papa genovese non era nuovo ad

104 Les registres d’Innocent IV, cit., n. 5984. Un anno più tardi, il 9 settembre 1253,

Innocenzo IV, congratulandosi con Federico per il modo in cui aveva eseguito il mandato, lo avrebbe incaricato di provvedere perché, anche per il prossimo anno, gli arcivescovi e vescovi della Lombardia, della Romagna e della provincia di Grado consegnassero all’arcivescovo eletto di Feltre e Belluno la somma di 1000 denari bolognesi, “ non obstante quod postmodum ipsi electo concordiensem ecclesiam spiritualiter et temporaliter duximus commendandam” (Les registres d’Innocent IV, cit., n. 6984).

105 AAPi, Diplomatico, n. 799.

106 ASPi, Diplomatico S. Paolo all’Orto, n. 3030. 107 Les registres d’Innocent IV, cit., n. 6075. 108

L’arcivescovo Vitale morì a Pisa il 13 novembre 1252.

iniziative di questo genere: sei anni prima, infatti, a Noli, piccola diocesi creata nel 1239 da Gregorio IX sulla base di complesse motivazioni pastorali e politiche, Innocenzo IV aveva affidato analoga funzione di amministratore apostolico al frate domenicano Filippo, allo scopo di venire a capo del dissidio che divideva quei canonici dai recalcitranti monaci di Bergeggi e impediva di fatto di procedere all’elezione vescovile. Il domenicano si era recato sul posto e aveva svolto la sua opera di mediazione con tanta cura che l’anno successivo era stato nominato vescovo, probabilmente proprio su indicazione degli elettori nolesi 110. I canonici pisani invece, a differenza dei confratelli liguri, avevano protestato vivacemente contro la decisione del pontefice che ritenevano il frutto di una precisa richiesta di Federico, basata, oltretutto, su una falsa rappresentazione della realtà. Attraverso il procuratore Bartolomeo, il Capitolo aveva fatto appello a Roma, ponendo se stesso “et singulos de Capitulo […] et clericos et familiares suos” sotto la protezione della Sede Apostolica 111, e nella lettera inviata a Innocenzo IV aveva accusato Federico di voler estromettere l’arciprete e i canonici dall’amministrazione temporale e spirituale della diocesi contro ogni diritto e consuetudine. Inoltre, gli aveva contestato d’aver ottenuto “a summo pontifice plenam administrationem et curam spiritualium et temporalium Pisane ecclesie” affermando che nessuno, al momento, ne era incaricato e tacendo deliberatamente sul giuramento di alcuni che, lui “presente et consentiente”, se n’erano assunti l’impegno “usque ad festum Beati Ranieri” (17 giugno). L’incarico affidato al cappellano pontificio non era insomma giustificato secondo l’arciprete e i canonici che, proprio per questo, si rifiutavano di

110 V. Polonio, Frati in cattedra. I primi vescovi mendicanti (1244-1330), in Istituzioni

ecclesiastiche della Liguria medievale, Roma 2002, distribuito in formato digitale da “Reti

Medievali”, pp. 1-19 ( in particolare p. 6).

eseguire l’ordine di restituirgli “infra octo dies post receptionem litterarum suarum” quanto avevano percepito “de bonis archiepiscopatus” dopo la morte di Vitale. Il procuratore del Capitolo si era anzi spinto più in là nelle richieste al pontefice: aveva sostenuto che l’arciprete e i canonici non dovevano nemmeno render conto della loro amministrazione, visto che “cum non teneantur ad restitutionem faciendam, non teneantur ad ractionem reddendam”. E per alcuni mesi i rapporti fra Federico e il Capitolo erano rimasti tesi.

Ora, alla base di questo contrasto stavano sicuramente i proventi della gestione del patrimonio ecclesiastico che il futuro arcivescovo rivendicava in quanto amministratore e procuratore della chiesa pisana e ai quali i canonici della Cattedrale non intendevano rinunciare. Ma, a parte l’intrusione in una sfera di competenza riservata al Capitolo, non si può escludere che esistesse anche un’altra ragione per quella vibrante protesta. Federico, infatti, per quanto canonico e pievano di Vico, non aveva mai veramente risieduto a Pisa o nella sua pievania nel corso degli anni precedenti; la sua formazione e il suo

cursum honorum si erano svolti a Roma o, comunque, in Curia, ed era quindi

considerato dai più un elemento “estraneo” rispetto a quella realtà locale con la quale il Capitolo si legava. Di qui, anche, l’ambasceria formata dall’arciprete Leonardo e dai canonici Grasso, Guido da S. Casciano e Guido da Vico che aveva raggiunto Innocenzo IV nell’aprile del 1253, per chiedergli di restituire al Capitolo “potesta[tem] eligendi archiepiscopum in Ecclesia Pisana vacante” o, in caso contrario, di provvedere senz’altro alla sua designazione 112. Il pontefice aveva optato per la seconda soluzione e al 29

112 AAPi, Diplomatico, n. 440 (1253 aprile 7). Il documento, assai danneggiato e perciò poco

leggibile, sembra suggerire che ben prima della nota proibizione di Clemente IV (1265-1268) ai Capitoli delle città toscane aderenti alla lega ghibellina di procedere a nuove elezioni

ottobre di quell’anno risale, infatti, la prima attestazione di Federico come “archiepiscopus electus”: una lettera inviata quel giorno, dal palazzo del Laterano, al priore della chiesa di S. Paolo, Compagno, e al pievano di Caprona, Pietro, ce lo mostra infatti già nel pieno delle sue funzioni, mentre ordinava ai due “vicarii” arcivescovili di procedere all’investitura feudale dei fratelli Pietro, Visdomino e Ranieri 113.

Sembra dunque che, come già era accaduto per Vitale, anche la scelta di Federico sia stata più che il risultato di una regolare elezione capitolare, il frutto di una decisione autonoma e contrastata del pontefice, intenzionato a conferire il pallio di metropolita ai suoi più stretti e fedeli collaboratori 114. Le ragioni che presiedettero a quella scelta furono però diverse da quelle che nel 1217 avevano portato all’elezione di Vitale. Allora, infatti, erano stati i ripetuti attacchi portati da Ubaldo Visconti all’integrità del patrimonio della Chiesa a indurre Onorio III a intervenire, inviando a Pisa il cardinale Ugolino

vescovili senza l’autorizzazione pontificia, un’analoga misura restrittiva fosse stata adottata dal Fieschi per la città di Pisa, forse in considerazione dei suoi trascorsi imperiali e per via dei privilegi di primazia e legazia sull’intera Sardegna spettanti alla sua diocesi. Lo dimostrerebbero la richiesta « ad supplicandum [..] nobis dignemini potestatem eligendi archiepiscopum in Ecclesia Pisana vacante» e le parole« [..] et litteras olim nobis interdixistis».

113 ASPi, Diplomatico Roncioni, 1254 dicembre 27 (stile pisano): «Nos Compagnus prior

ecclesie S. P.O. et magister Petrus plebanus plebis de Caprona et rector ecclesie S. Felicis, vicarii domini Frederici Dei et apostolice sedis gratia S.Pisane Ecclesie electi et domini pape cappellani [concedimus] Petro et Visdomino Recoverantie germanis quondam Henrici Recoverantie, agentibus et recepientibus pro vobis ipsis et pro Ranerio Manzola vicecomite germano vestro» diversi pezzi di terra in San Rimedio d’Orticaia e in San Lorenzo alle Corti. Il documento contiene inoltre la notizia dell’investitura con anello dei fratelli dell’arcivescovo e del loro giuramento di fedeltà. Ivi è trascritta pure parte della lettera di Federico, con l’indicazione della data e dei motivi del provvedimento («..quia semper et presenti tempore maxime idem archiepiscopatus favorem ac protectionem nobilium et peritorum virorum in civitate pisana eiusque districtu noscitur indigere »). L’investitura fu sicuramente concessa con l’autorizzazione dello stesso Innocenzo IV, poiché una decretale di Gregorio IX proibiva esplicitamente agli arcivescovi “eletti” di disporre dei beni delle loro diocesi prima della conferma dell’elezione: «Wigorensi episcopo, nosti, sicut prudens et sapiens, quomodo dilectus filius noster G. linconiensis electus honores vel prebendas, aut alias disponendi de rebus ecclesiae, quum sua non sit electio confirmata, non habet facultatem» (Corpus iuris

canonici, a cura di A. Friedberg, II, Decretalium collectiones, Decretales Gregorii IX, lib. I,

tit. VI ).

114 Analogo provvedimento, per esempio, sarebbe stato adottato nello stesso anno 1253, da

Innocenzo IV per la diocesi di Genova. Cfr. A. Sisto, Genova nel Duecento. Il capitolo di S.

di Ostia perché indagasse “circa electionem de…ecclesia pisana celebratam”115: il Podestà pisano aveva occupato l’anno prima il giudicato di Cagliari con la probabile connivenza del comune; aveva compromesso i rapporti della città con Roma in un momento in cui questa aveva bisogno del suo aiuto e il canonico pisano Ildebrandino, indicato dal Capitolo come ideale successore di Lotario, appariva troppo legato a quella domus per garantire che “tamquam primas et legatus Sardinie” sarebbe stato in grado di contrastarne l’operato. Allora, insomma, si era trattato, in un contesto internazionale che vedeva in Pisa la “naturale” alleata del pontefice, di contrapporre al candidato della pars che controllava la politica cittadina una persona capace di ricucire lo strappo che quella stessa “parte” aveva arrecato a quel rapporto con le sue recenti iniziative. Innocenzo IV, invece, si muoveva in un contesto diverso a causa degli eventi che si erano prodotti nel frattempo.

Tra il 1220 e l’anno della sua consacrazione (1243) infatti, Pisa si era avvicinata sempre più a Federico II fino al punto da rendersi responabile, nel 1241, della cattura di molti prelati stranieri invitati a Concilio da Gregorio IX: alcuni di loro erano stati condotti nel Regno per volontà dello stesso Federico II e altri trattenuti in città come prigionieri. E dopo la morte dell’imperatore, neppure l’isolamento diplomatico era valso a distogliere la dirigenza pisana dall’adesione alla politica ghibellina, sicchè, lì come nelle altre città governate dalla pars imperii, l’occupazione delle cariche ecclesiastiche da parte di persone fidate era divenuta per il pontefice un elemento importante per il sostegno dell’opposizione anti-Staufen: lo stesso anno 1254 in cui Federico entrava come arcivescovo “eletto” nella sua città, un altro cappellano e confessore di Sinibaldo Fieschi, il minorita Niccolò da Calvi, prendeva

possesso della cattedra assisiate, anche lui “imposto” al Capitolo e anche lui, chiaramente, in funzione anti-ghibellina 116. E nel tentativo di opporre alla

pars imperii una pars ecclesiae in grado di conquistare al papato sezioni

importanti delle società cittadine, anche altri sostenitori della politica pontificia erano ascesi alla dignità vescovile: a Bologna, nel 1244, era stato insediato il domenicano Giacomo di Bonoscambio, già vicecancelliere della chiesa romana; un altro domenicano, Gualtiero Agnus Dei, era stato nominato a Treviso nel 1245, mentre nel 1251 Algisio da Rosciate, eletto vescovo di Rimini l’anno prima, era stato trasferito alla Cattedra di Bergamo. Perfino Jesi e Siena avevano meritato l’attenzione di Innocenzo IV: nella città natale dell’imperatore, nel 1252, era stato nominato il francescano Crescenzio e a Siena, nel 1253, il Predicatore Tommaso Fusconi 117. L’intera politica di rinnovamento delle gerarchie ecclesiastiche fu insomma ispirata, in quegli anni, all’obiettivo di creare un raccordo fra il papato e gruppi dirigenti cittadini in funzione anti-imperiale. L’elezione pisana del 1254 si situa appunto in quest’ottica, anche se, a differenza del predecessore, Federico avrebbe dovuto attendere a lungo la sua consacrazione, perché, al di la della stima e dei legami di amicizia che li legavano al nuovo presule, sia Innocenzo IV che il suo successore, Alessandro IV, non potevano prescindere dall’interdetto comminato contro la città per i fatti del 1241. Sarebbero occorsi ancora tre anni prima che, rimosso quell’impedimento, l’arcivescovo potesse ottenere l’agognato riconoscimento; mentre nel frattempo tutte le sue

116

N. D’Acunto, La cattedra scomoda. Niccolò da Calvi, frate Minore e vescovo di Assisi

(1250-1273), in Il difficile mestiere di vescovo (secoli X-XIV), Quaderni di Storia Religiosa,

2000, pp. 189-216.

117 Sui vescovi Mendicanti si veda, Dal pulpito alla cattedra: i vescovi degli Ordini

mendicanti nel ’200 e nel primo ‘300. Atti del XXVII Convegno Internazionale, Assisi 14-16

energie sarebbero state spese nel tentativo di ottenere il necessario consenso all’elezione e giungere successivamente ad una pacificazione con Roma.

PARTE SECONDA

Gli anni dell’episcopato

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