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PRODUZIONI VERBALI E STILE COGNITIVO

Nel documento L’IMMAGINE DEL MALATO MENTALE (pagine 109-129)

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

5.5. PRODUZIONI VERBALI E STILE COGNITIVO

Nel discutere i dati relativi alle produzioni scritte e al questionario VVQ farò riferimento alla tabella sottostante, che riassume i dati riportati nel quarto capitolo.

Tab. 5.5.1. Tabella riassuntiva produzioni scritte. A, B = giudice A e B. Ve = verbale, Vi = visivo.

r (Ave-Avi)= 0,618 Coerenza giudice A interna r (Bve-Bvi)= 0,387 Coerenza giudice B interna r (Ave-Bve)= 0,581 Coerenza inter-giudici Ve

r (Avi-Bvi)= 0,673 Coerenza inter-giudici Vi

r(ve)= 0,008 Correlazione tra punteggio VVQVe e media ABVe r(vi)= 0,054 Correlazione tra punteggio VVQVi e media ABVi

r(cVi-gVi)= 0,225 Correlazione tra l'autovalutazione della chiarezza e giudizio medio dato dai giudici in Vi

r(cVi-gVe)= 0,431 Correlazione tra l'autovalutazione della chiarezza e giudizio medio dato dai giudci in Ve

r(VVQVe-VVQVi)= 0,144 Correlazione tra i due indici del VVQ

r(cVe-VVQVi)= 0.200 Correlazione tra l‟autovalutazione della chiarezza e punteggio verbale del VVQ

r(cVi-VVQVi)= 0,159 Correlazione tra l‟autovalutazione della chiarezza e punteggio visivo del VVQ

Giudici

I primi due valori in tabella rappresentano la coerenza interna delle valutazioni prodotte dai due giudici. È evidente come il secondo giudice discrimini maggiormente i due aspetti della valutazione, ovvero la bontà dell‟immagine e la bontà della produzione scritta, mentre il primo tende maggiormente ad uniformare i propri giudizi rispetto ai due criteri. Nonostante questa differenza i coefficienti r(Ave-Bve) e r(Avi-Bvi), che riguardano invece la coerenza delle valutazioni inter-giudice, sono sufficientemente alti in entrambi i criteri, tanto da suggerire che ci sia stata chiarezza ed uniformità nella definizione dei criteri e quindi nella formulazione dei giudizi. Pertanto risulta possibile procedere nell‟analisi.

Punteggi

Relazione tra i due punteggi del VVQ

La correlazione molto bassa tra i due punteggi ottenuti con il VVQ (r= 0.144) sostiene la validità del questionario nel differenziare le due polarità da esso misurate, ma quello che non è possibile evincere dai dati è se effettivamente il questionario misuri lo stile cognitivo o un costrutto diverso, come la preferenza per un certo tipo di processamento piuttosto che per l‟altro (Moreno & Plass, 2006).

Relazione tra punteggi ottenuti al VVQ e giudizi sulle produzioni verbali

La correlazione tra i punteggi ottenuti con il VVQ e la media dei giudizi prodotti dai due giudici per il criterio verbale e visivo (rVe= 0.008 e rVi= 0.054) si rivela estremamente bassa in entrambi i casi. Questo dato va a sostegno della differenziazione tra lo stile cognitivo e l‟abilità (Green & Schroeder, 1990; Antonietti & Resinelli, 1993), con il primo misurato dal VVQ, e la seconda,

collegata alla performance, che viene valutata grazie ai giudizi sulle produzioni scritte.

Relazione tra introspezione e performance

Partendo dalla considerazione che alla performance potrebbero essere legati, in modo indiretto, gli aspetti metacognitivi riguardanti la chiarezza dell‟immagine prodotta, si potrebbe ipotizzare che ad un‟autovalutazione di chiarezza maggiore corrisponda una produzione scritta più ricca o comunque migliore, in particolare sul piano visivo.

Questa ipotesi viene supportata dai dati, poiché i coefficienti di correlazione sono in questo caso più alti. Inoltre la correlazione tra l‟autovalutazione della chiarezza dell‟immagine e il punteggio medio dato dai giudici sul piano verbale (r= 0.431, p< 0.001) è più alta rispetto allo stesso coefficiente calcolato relativamente al piano visivo (r= 0.225, p< 0.05).

Per spiegare questa differenza tra i due coefficienti è importante considerare che il compito richiesto ai partecipanti era quello di produrre una dettagliata descrizione scritta di quello che avevano immaginato e questo può aver comportato un lungo processamento verbale dell‟informazione, che potrebbe aver determinato a sua volta una traduzione dei caratteri percettivi in parole (Antonietti, 1993). Un‟immagine mentale è infatti soggetta ad interpretazione nel momento stesso in cui viene generata ed il senso che ad essa viene associato ne consente l‟archiviazione e la rievocazione dalla memoria a lungo termine, rievocazione che è stata appunto richiesta con la descrizione scritta del protocollo

B.

Considerato infine che il livello della performance era comunque legato ad un compito linguistico che i partecipanti avevano appena svolto nel momento in cui veniva loro chiesto di valutare la chiarezza dell‟immagine prodotta, anche la maggiore o minore difficoltà nello svolgimento del compito potrebbe aver influenzato la valutazione della chiarezza dell‟immagine.

La concomitanza di questi diversi elementi potrebbe aver determinato quindi la maggior correlazione con i giudizi sul piano verbale.

La relazione appena descritta tra introspezione e performance si trova in contrasto con quanto affermato da Barratt (1953), che aveva trovato che le valutazioni circa “la forza e chiarezza” delle immagini visive esperite durante l'esecuzione di test di manipolazione spaziale, di ragionamento e di riconoscimento di forme, non erano in diretto rapporto con le prestazioni in tali reattivi. Questo (Richardson, 1988; Antonietti,1993) potrebbe essere dovuto al fatto che i partecipanti valutano le proprie rappresentazioni mentali più sulla base della stima della propria capacità ad eseguirli ché sulle caratteristiche fenomeniche rilevate attraverso l‟introspezione.

La discordanza tra quanto proposto e i risultati dei miei esperimenti potrebbe derivare da differenze nel compito e nel target, poiché l‟immagine del malato mentale è qualitativamente e quantitativamente diversa da quelle utilizzate negli studi sopra citati e la descrizione scritta differisce dalla manipolazione e dal riconoscimento.

CONCLUSIONI

Il contatto con una persona che soffre di un disagio psicologico è un‟esperienza che può muovere meccanismi arcaici e fortemente radicati, meccanismi che sono in grado di determinare una direzione nella relazione, che sia essa di natura privata o terapeutica e professionale.

In particolar modo la relazione terapeutica non si esaurisce nel corso della seduta o dell‟incontro ma comincia a strutturarsi nel momento stesso in cui le realtà delle due persone iniziano ad incontrarsi: l‟invio da parte di un collega, l‟ascoltare ed il partecipare ad una supervisione nel corso di una equipe multidisciplinare, il parlare del caso con un collega in un contesto non strutturato. Questi momenti sono fondamentali perché il modo in cui la persona viene descritta e caratterizzata crea delle aspettative, delle intenzionalità diverse nel professionista che con buona probabilità avranno delle conseguenze nell‟orientare l‟incontro con il paziente.

La psicoterapia è un‟interazione nella quale si incontrano due differenti visioni della vita. Da una parte quella del paziente che chiede aiuto, dall‟altra, quella del terapeuta, che si offre come portatore di soluzioni in una relazione di cura. All‟interno della relazione l‟incontrarsi ed il fondersi dei due orizzonti, porta il paziente a ricevere nuove possibilità di significazione per il proprio malessere ed il terapeuta a collegare l‟unicità della narrazione del paziente con il proprio quadro di riferimento (Salonia, 1992).

La mia ricerca offre degli spunti per indagare proprio questo quadro di riferimento. Seppur allo stato attuale non sia possibile trarre delle conclusioni definitive sul tema in oggetto è possibile utilizzare quanto emerso dai diversi esperimenti per impostare ricerche mirate che possano indagare in maniera più specifica quanto ho rilevato tra i partecipanti rispetto le attribuzioni che riguardano il malato mentale.

In particolar modo quanto emerso dalla mia indagine esplorativa potrebbe essere utilizzato nella strutturazione di test per la valutazione implicita del pregiudizio come ad esempio un particolare protocollo IAT – Implicit Association

Test. Questo genere di misura implicita dei bias deve in generale poter disporre di

tratti salienti che caratterizzano una specifica categoria in modo univoco e condiviso. Molti studi sulle associazioni implicite utilizzano dunque stimoli visivi, in particolar modo i volti (Castelli, Zogmaister, Smith & Arcuri, 2004), che risultano particolarmente utili nell‟indagare i pregiudizi razziali e le differenze di genere, ma questo tipo di materiale, come si evince dai risultati della mia ricerca, risulta difficile da proporre in merito alla malattia mentale. Si tratta infatti di una categoria molto complessa ed è difficile definire l‟appartenenza ad essa basandosi solamente su indici visivi come ad esempio l‟espressione di particolari emozioni. Su queste basi ad esempio lo studio di Teachman e colleghi (2006) ha confrontato lo stigma nei confronti della malattia mentale e della malattia fisica utilizzando stimoli verbali (aggettivi). Gli autori hanno studiato l‟associazione con la bontà e la cattiveria (good versus bad), con la possibilità di essere aiutati (helpless versus

competent) e quanto sia condannabile (blameworthy versus innocent).

I dati prodotti nel presente lavoro consentirebbero di approfondire l‟immagine del malato di mente ed in particolare un protocollo IAT potrebbe contribuire a verificare l‟effetto dell‟utilizzo delle etichette singole e doppie sulla caratterizzazione dell‟individuo dal punto di vista emotivo, confrontando l‟associazione dell‟etichetta verbale con l‟emozione.

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