sostituita da un modello sociale volto a valorizzare il ruolo dei figli quali futuri lavoratori e soldati
secondo l’esempio sovietico, arte e la cultura sarebbero state completamente socializzate nei loro
temi e nella loro modalità di produzione e di espressione. Il liberalismo, con la civiltà che ad esso
veniva collegata, finiva per essere considerato morto, esaurito, incapace di rispondere alle esigenze
“anticaotiche” del Europa coeva. Queste considerazioni rappresentavano un profondo strappo
all’interno della riflessione di Araquistáin che, sino ad allora, evitato un’aperta rottura con il
liberalismo che, in una serie di elementi (quali lo Stato liberale, il parlamentarismo, ecc.), era stato
sempre considerato, persino nel suo periodo “rivoluzionario” del ‘17/’21
961, come un interlocutore
ideologico importante, quasi come un precursore del socialismo stesso da superare integrandolo con
l’introduzione di un nuovo modo di produzione e con una riorganizzazione di alcuni suoi istituti. Al
fondo di quest’impostazione, fino al 1932, vi era nel nostro la convinta adesione all’idea di un
progresso storico che avrebbe portato a compimento, secondo una successione lineare, il liberalismo
nella democrazia e il capitalismo nel socialismo. Come si è visto precedentemente, proprio a partire
da tale complessiva riconsiderazione del da farsi, anche quest’impostazione veniva meno sostituita
da una lettura circolare del percorso storico che vedeva periodicamente riemergere periodi di
barbarie a cui si poteva rispondere – e qui la differenza rispetto al fatalismo biologista di
Spengler
962- solo con una rottura rivoluzionaria che avrebbe selezionato e valorizzato le tendenze
sociali insite nella fase di barbarie costituendo, ab imis, una nuova civiltà capace di superare il
rischio anarchico connesso a tale passaggio caotico. Siffatta prospettiva, quella della creazione di
una nuova modalità di convivenza socialista in aperta rottura con il mondo liberale, lo avrebbe
accompagnato per tutti gli anni Trenta. Infatti una volta tornato in patria, nel 1933, Araquistáin si
diede subito da fare per promuovere una svolta nel socialismo spagnolo spingendolo su posizioni di
aperta rottura nei confronti di una Repubblica borghese che, a quel punto, si sarebbe rivelata
insufficiente ai fini di realizzare il socialismo
963. Si doveva, a suo avviso, cercare di promuovere
immediatamente uno Stato favorevole alla classe operaia, in cui il partito socialista fosse in grado di
difendersi per non finire come in Germania
964. L’anno successivo (1934) ebbe modo di
approfondire e dettagliare le sue idee grazie alla creazione della rivista “Leviatán” dove sin dal
primo numero, nella veste di direttore, cercò di mettere in contatto la riflessione di Hobbes sul
“Leviatano” con la prospettiva di uno “Stato assoluto” di tipo socialista. Scriveva a riguardo:
“ Lo que hace de Hobbes uno de los pensadores más originales es su teoría de la sociedad y del Estado. Hasta él desde Aristóteles, predominaba el criterio de que el hombre es un animal sociable por naturaleza, es decir, inclinado al bien
961
In questo primo periodo – dopo il ‘17 - la rivoluzione fu intesa come “metodo politico” alternativo al riformismo per dare vita ad un tipo di organizzazione sociale già potenzialmente iscritta nella Storia. Una sorta di aiuto a quei paesi che non avrebbero trovato altro modo per avere rapidamente accesso alla democrazia e al socialismo. Si trattava di uno strumento per sbloccare la situazione universalizzando alcuni elementi di una rivoluzione germogliata in Russia che, in ogni caso, sarebbe prima o poi giunta anche nei paesi dell’Europa meridionale. Differentemente negli anni Trenta la rivoluzione era un necessario percorso di sopravvivenza della civiltà che, qualora non si fosse rinnovata, non si sarebbe ulteriormente attardata sul percorso progressivo della storia, ma sarebbe morta, schiacciata dalla barbarie promossa da alcune ideologie (es. dal Fascismo). Su Araquistáin, in merito, pesò fortemente l’esperienza fatta in Germania dove vide la Repubblica di Weimar e l’Spd spazzate via dal nazionalsocialismo. Si veda Marta Bizcarrondo, op.cit., pag. 123-125
962
Una prima influenza di Spengler - per quel che riguarda la lettura della storia di Araquistáin - era già presente nella sua conferenza del 1929 su “Estado y Sociedad”.
963 Le posizioni di Araquistáin influirono fortemente sullo stesso Largo Caballero, segretario del Psoe che, a seguito
della svolta rivoluzionaria antiparlamentare e antiborghese del suo partito, venne chiamato, dai suoi stessi sostenitori, il “Lenin spagnolo”. Si veda Juan Fransisco Fuentes, Largo Caballero, cit., pp. 228-229 e pp.17-18
964 Al tema Araquistáin dedicò un apposito scritto che ebbe un notevole successo tra le file socialiste. In esso si criticava
l’idea che il fascismo fosse una fatalità affermando: “ no pongamos, pues, excesiva fe en la idea y en el sentimiento de la democrazia como la fuerza latente y profunda que, un buen dia, de abajo arriba, haya de derrumbar el fascismo. Para nostro, para los socialistas que no estamos dispuestos a rendirnos mansamente al fascismo, el dilema que nos presenta el futuri mediato no es dictadura fascista o democrazia politica…El dilema fatal es éste: franca dictadura borguesa o franca dictadura socialista”. Luis Araquistáin, El Derrumbamiento del socialismo alemán, Gráfica Socialista, Madrid, 1933, pag.9
155
mutuo y a la solidaridad…Hobbes refuta esta ilusión filosófica. No. Lo proprio del hombre es la guerra de todos contra todos…El hombre es lobo para el hombre: vive en perenne guerra civil. La razón de este estado de guerra universal y permanente es que todos los hombres tienen un derecho natural a todas las cosas, y al disputársela unos a otros, en uso de su derecho, surge la lucha. Para que esta lucha cese, es preciso que los individuos renuncien a todos sus derechos naturales, que los socialicen. El representante y ejecutor de estos derechos enajenados por cada uno y todos los hombres es el Estado, el Leviatan...Entre los derechos a que el hombre debe renunciar está el de propriedad. Sólo así puede haber paz civil. El único proprietario es el Estado. Allí donde hay propriedad, se trata simplemente de una concesión del Estado que éste tiene derecho a suspender en cada momento…En última instancia el Leviatán de Hobbes es el Estado sin derechos individuales, singolarmente el de propriedad, fuente de toda injusticia; pero un Estado donde no existe el derecho de propriedad individual acaba necessariamente siendo un Estado sin clases. Es el Estado perfecto. Tan perfecto, que su existencia se hace inútil. Leviatán concluye devorándose a sí mismo, porque, después de todo, es un buen monstruo. Pero ese Leviatán de Hobbes no existe aún. (O ya sí en alguna parte?) No existe ni puede esistir en el mundo del capitalismo…En el Leviatán de Hobbes había mucha escoria histórica, afanes del autor de favo recer determinadas instituciones políticas de su época y su país; pero depurada de esos residuos circustanciales, su teoría de la sociedad y Estado es tan honda, tan clarividente, que nadie la supera hasta el siglo XIX. En rigor Marx y Engels no hacen sino completarla, llevarla a sus últimas consecuencias; no habrá paz civil hasta que los expropiados se podere de Leviatán y con su fuerza exproprien a los expropiadores, socializzando definitivamente la propiedad”965.
Il Leviatano di Hobbes si faceva, quindi, strumento per la realizzazione del socialismo. Solo uno
“Stato assoluto”
966, infatti, avrebbe garantito stabilmente “l’espropriazione degli espropriatori” e
l’introduzione di un regime di proprietà collettiva e socializzata, in cui si sarebbe realizzata la stessa
fine dello Stato preannunciata da Marx ed Engels
967. Tale Stato avrebbe visto la luce tramite una
spinta rivoluzionaria grazie alla quale “la clase obrera” avrebbe preso “la plenidud del Poder en el
Estado”
968, potere che essa avrebbe poi rivolto contro la borghesia mettendo fine al capitalismo e
aprendo la strada alla realizzazione della perfetta identità tra Stato e società. A riguardo iniziava
altresì a farsi evidente quanto l’esperienza russa (implicita nella domanda retorica “O ya sí en
alguna parte?”)
fosse seriamente presa in considerazione da Araquistáin quale esempio di “Stato
assoluto” da opporre al vecchio “Stato liberale”
969. L’Europa del futuro sarebbe quindi stata segnata
da un modello di socializzazione integrale, i cui prodromi erano già visibili nel tipo di civiltà che
stava sorgendo ad Est
970. Tale orientamento ideologico, come si è già osservato, coincideva con il
rigetto della prospettiva che in Spagna era autorevolmente difesa da José Ortega y Gasset, che,
proprio per questo, venne duramente attaccato dall’autore di “España en el Crisol” sulle pagine di
“Leviatán”. Si tratta di una critica molto significativa. Con un liguaggio aggressivo e volutamente
ironico l’intellettuale basco definiva il filosofo madrileno come un reazionario, un pensatore
anacronistico e “un pequeño burgués”
971. La sua impostazione teorica era etichettata come un
965 Luis Araquistáin, Glosas del Mes, in “Leviatán. Revista mensual de hechos e ideas”, n.1, mayo 1934, pp.1-3 966 Per Araquistáin tale Stato, segnato dalla cessione di tutti i diritti naturali degli individui, era l’unico vero “Stato
totalitario”, un modello che non si sarebbe mai potuto avere mantenendo in vita il modo di produzione capitalistico, che presupponeva l’esistenza della proprietà privata. Il fascismo quindi era da considerarsi alla stregua di un falso totalitarismo, come una forma di dittatura borghese che imponeva violentemente alla maggioranza il mantenimento dei diritti di proprietà propri alla minoranza borghese. Si veda Ivi pag. 3
967 Importante è notare come a partire da questo periodo Araquistáin faccia riferimento al marxismo, sempre criticato
negli anni precedenti, quale imprescindibile punto di riferimento teorico del discorso rivoluzionario socialista. Non a caso la rivista “Leviatán” a partire dal 1935, ospitò un’apposita sezione dedicata ai “testi filosofici” di Marx. Si veda Marta Bizcarrondo, op.cit., pp. 276-280
968 Luis Araquistáin, Prólogo, in Francisco Largo Caballero, Discurso a los trabajadores, Gráfica Socialista, Madrid,
1934, pag. XIII
969 L’interesse di Araquistáin si rispecchiò pienamente nell’attività della rivista “Leviatán” che dedicò molti articoli,
spesso di taglio apologetico, all’Unione Sovietica. Si veda Marta Bizcarrondo, op.cit., pp. 304-308
970 Allo stesso tempo Araquistáin rimase della sua convinzione del 1917 secondo la quale il modello sovietico non era
universalizzabile nei suoi istituti particolari in quanto questi ultimi erano nati a stretto contatto con le particolari caratteristiche della società russa. Si veda Ivi, pag. 406
971 Si veda Luis Araquistáin, José Ortega y Gasset : profeta del fracaso de las masas, in “Leviatán. Revista mensual de