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Il progetto e gli obiettivi dell’opera

La raccolta di racconti Fiabe italiane 4.1 Come nacque l’idea

4.2 Il progetto e gli obiettivi dell’opera

Con la stesura delle Fiabe italiane di Calvino, in Italia si diffusero sempre di più gli studi sul folclore. Comunque, nella tradizione italiana le fiabe rimanevano oggetto di libri per ragazzi, ne sono un esempio i racconti di Collodi, Capuana, Carducci. Questi autori, infatti, saranno delle importanti fonti per Calvino, ma le sue intenzioni erano diverse. Egli non voleva creare una raccolta di racconti in dialetto, bensì voleva scrivere un libro adatto a tutti i tipi di lettori italiani. L’intenzione era far sì che il lettore potesse rispecchiarsi nella storia, nei personaggi, nelle vicende e negli ambienti.

In passato, la tradizione voleva che le varie fiabe venissero narrate oralmente e poi trascritte ed inserite all’interno di un’antologia. L’obiettivo di Calvino, invece, era riunire, catalogare ed infine tradurre dai vari dialetti all’italiano le raccolte di fiabe di tutte le regioni d’Italia che erano state realizzate attorno al 1800.

L’esperienza dell’autore nel campo della fiabistica era piuttosto modesta, dunque egli per la stesura della raccolta si fece aiutare da alcuni esperti di folclore del tempo, che lo aiutarono a reperire le fiabe regionali tradizionali e gli fornirono indicazioni sui criteri da adoperare per la selezione di esse. Alcuni di questi esperti, inoltre, riteneva che i testi fossero dei veri e propri documenti storici, e come tali avrebbero dovuto essere tramandati per iscritto. In altre parole, non bisognava intaccare il valore culturale della fiaba, che spesso in sé conteneva forme di superstizione popolare, di autodeterminazione sociale.

Nella spiegazione della scelta dei criteri da utilizzare per comporre la sua raccolta, Calvino afferma che si tratta di un lavoro “scientifico per tre quarti”, poiché l’ultimo quarto è dettato dal suo personale giudizio e capacità di selezione. Il materiale da lui raccolto proveniva da varie pubblicazioni in libri riviste, da manoscritti ritrovati all’interno di biblioteche o musei. Dopo aver scelto “le fiabe più belle, originali e rare” e dopo averle tradotte in italiano a partire dai vari dialetti,

il suo compito era quello di “arricchire sulla scorta delle varianti la versione scelta, quando si può farlo serbandone intanto il carattere, l’interna unità, in modo da renderla più piena e articolata possibile; integrare con una mano leggera d’invenzione i punti che paiono elisi o smozzicati…35 Gli obiettivi primari del suo lavoro erano sia presentare i vari tipi di fiaba raccontati o scritti nei dialetti italiani, sia rappresentare attraverso i racconti ogni regione d’Italia, al fine di mantenere sempre vivo quel grande patrimonio folcloristico nazionale che, altrimenti, sarebbe andato irrimediabilmente perduto. Il libro conteneva non solo fiabe, bensì anche differenti racconti popolari: novelle, leggende religiose e locali, favole che avevano come protagonisti degli animali, aneddoti.

Alla fine di ogni fiaba viene posto il nome di una specifica città o regione d’Italia, ma ciò non significa che quella fiaba appartiene a quel luogo. Calvino spiega che qualunque sia l’origine della fiaba, essa tende “ad assorbire qualcosa dal luogo in cui è narrata, - un paesaggio, un costume, una moralità, o pur solo un vaghissimo accento o sapore di quel paese”. Dunque, è questo che spinge l’autore a collocare geograficamente le varie fiabe. Egli sceglie di attribuire ad ogni fiaba una determinata località piuttosto che un’altra basandosi sulla versione che ha preso come oggetto di studio, scegliendola tra le varie versioni di cui disponeva, e infine utilizzandola per la sua raccolta perché la considerava “la più bella, ricca e meglio narrata36”.

Calvino desidera rendere questo libro accessibile a tutti i lettori italiani, di conseguenza è necessario tradurre le fiabe dal dialetto ad “un italiano favolistico, corretto ma svagato37”, pur sapendo che qualsiasi tipo di traduzione diminuirebbe in maniera non indifferente l’efficacia del racconto popolare, in cui è risaputo che “è il verso, la parola che conta38.” Inoltre, l’autore si ritrova costretto ad intervenire sul linguaggio all’interno di molti testi, in particolare deve modificare le forme troppo dialettali o le espressioni troppo colorite. È chiaro che, attuando queste operazioni di alterazione del testo, ciò che ne risente di più è l’armonia del testo originale, ma Calvino è

35 Ivi, p. XIX. 36 Ivi, p. XXI.

37 Italo CALVINO, Cocchiara e le «Fiabe italiane», in Iso Baumer et al., Demologia e folklore. Studi in memoria di

Giuseppe Cocchiara, a cura dell'Istituto di storia delle Tradizioni Popolari dell'Università di Palermo, Flaccovio Editore, 1974, p. 397-398.

assolutamente convinto che sia la scelta più opportuna al fine di mantenere la moralità letteraria della sua opera.

Il suo lavoro, in sintesi, consisteva nel raccogliere una grande mole di testi della tradizione popolare, assimilarne la sostanza ed infine cercare di renderla in una lingua a tutti comprensibile. Per alcune regioni d’Italia tale lavoro risultava più semplice, per via delle poche varianti delle fiabe di cui l’autore disponeva; per altre, invece, scegliere la fiaba migliore era piuttosto difficile. Nei suoi criteri di selezione rientravano principalmente la bellezza poetica, la leggerezza nella lettura ed un pizzico di vivacità; evitava, invece, quelle forme fiabesche troppo ripetitive.

Ai fini della mia ricerca, dunque, è essenziale sottolineare che questa tipologia di interventi sul testo originale, se già presentano cambiamenti non indifferenti nella “semplice” traduzione dal dialetto all’italiano, sicuramente si ripercuotono in maggior misura quando si tratta di traduzioni in lingue straniere. In quei casi, spesso, l’efficacia del testo originale viene quasi totalmente perduta.

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