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FIGURA 29 LA PROTEINA M E CP2 SOPPRIME L ’ ESPRESSIONE DI PTP1B E DI CONSEGUENZA AUMENTA IL SEGNALE INDOTTO DA BDNF TRAMITE IL SUO RECETTORE TRKB S E LA FUNZIONE DI M E CP2 È

COMPROMESSA, AUMENTANO I LIVELLI DI PTP1B, CON CONSEGUENTE INATTIVAZIONE DEL RECETTORE. (KRISHNAN ET AL.,2015)

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4.5 VO-OHPIC: un inibitore della fosfatasi PTEN

Uno studio ancora in corso, condotto da un gruppo di ricerca Italiano, ha scoperto che fra le possibili cause dei sintomi tipici della Sindrome di Rett, c’è un forte deficit di sintesi proteica, che a livello cerebrale determina un’anomalia strutturale e funzionale dei neuroni, legata allo sviluppo di sintomi quali ritardo mentale, deficit motori e deficit cognitivi (Giustetto, 2014). In particolare è stata individuata un’anomalia a livello della via di segnalazione che controlla la via intracellulare di mTOR (mammalian target of rapamycin). L’attività di mTOR è importante nell’organismo, perché oltre a controllare la sintesi di nuove proteine, regola la morfologia ed il funzionamento dei neuroni e delle sinapsi, quindi è fondamentale per il corretto funzionamento dei circuiti nervosi.

A sostegno di questa evidenza, c’è il fatto che anomalie di mTOR a livello neuronale, sono state riscontrate anche in altre patologie neurologiche caratterizzate da ritardo mentale. Lo studio si basa sull’utilizzo di un composto farmacologico sperimentale (VO-OHPIC), capace di inibire una proteina chiamata PTEN (Phosphatase and tensin homolog), che normalmente blocca l’attività di mTOR.

Fino ad ora si sono avuti pochi risultati, ma questi sono comunque molto promettenti e mostrano che nel cervello dei modelli murini, vengono ristabiliti i normali livelli metabolici di mTOR, già dopo poche ore da una singola iniezione del composto. Questa normalizzazione porta al miglioramento dei deficit motori, cognitivi e del comportamento ansioso e gli effetti collaterali a livello del sistema respiratorio e cardiaco sono trascurabili. E’ importante notare inoltre, che a questo miglioramento comportamentale è associata una normalizzazione dei livelli di BDNF.

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Visto che il trattamento acuto con questa molecola ha portato a notevoli effetti benefici, si pensa che il trattamento cronico possa determinare un miglioramento a lungo termine. L’analisi delle caratteristiche neurologiche, ha dimostrato per adesso, che questo inibitore promuove la crescita di nuove spine dendritiche e stabilizza quelle già esistenti.

I risultati ottenuti fino ad ora indicano quindi che, l’attivazione della via di segnalazione di mTOR tramite l’inibizione di PTEN, può migliorare i danni neurologici e le anomalie comportamentali dei topi utilizzati come modello della malattia.

4.6 Terapia Genica

Lo scopo della terapia genica è quello di ripristinare il corretto funzionamento del gene MECP2 e rappresenta un possibile trattamento per i pazienti affetti dalla Sindrome di Rett. infatti già nel 2007, è stato dimostrato grazie ad esperimenti sui modelli murini, che la Sindrome di Rett è potenzialmente reversibile (Giacometti et al., 2007; Bird et al., 2007). Questi studi, hanno mostrato che l’attivazione post-natale del gene MECP2 in topi mutanti sintomatici, determina un miglioramento fenotipico, che li rende indistinguibili da quelli che hanno sempre avuto il gene funzionante. Invece l’attivazione del gene in topi mutanti presintomatici, impedisce addirittura la comparsa dei sintomi classici della Sindrome. Questi dati ipotizzano inoltre che la reversibilità non dipenda dalla fase di vita in cui viene somministrata la terapia genica e che quindi non sia legata all’età del soggetto.

La terapia genica è comunque una tecnica sperimentale, che necessita di ulteriori studi riguardanti la sua efficacia e sicurezza. Essa permette di sostituire un gene difettoso dal punto di vista funzionale, con uno normale, nelle cellule malate del paziente, tramite l’utilizzo di vettori, che possono essere di origine virale oppure non virale. I vettori virali sono virus modificati, con inserito al

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loro interno il gene di interesse ed hanno il vantaggio di entrare in modo efficace nelle cellule, ma possono scatenare reazioni immunitarie nell’organismo. Per vettori non virali si intendono invece liposomi (vescicole fosfolipidiche) contenenti il DNA di interesse, che sono in grado di rilasciare il loro contenuto nelle cellule, anche se con minore efficienza.

Nel caso della Sindrome di Rett, questa terapia dovrà garantire l’espressione di una proteina MeCP2 funzionante, ma allo stesso tempo questi livelli dovranno essere finemente regolati, perché come è già stato detto precedentemente sia l’eccesso che il difetto risultano dannosi.

Attualmente abbiamo a disposizione i risultati di due studi preclinici, condotti nel 2013, che mostrano gli effetti della terapia genica sulla Sindrome di Rett. Il primo studio (Gadalla et al., 2013), fa uso del vettore virale AAV9/MECP2, che è un virus adeno-associato, dove è stato inserito il gene MECP2 di origine umana. Questo vettore è stato somministrato direttamente nel cervello di topi maschi Mecp2 null neonati, evidenziando come la somministrazione postnatale sia in grado di aumentare i livelli di espressione della proteina MeCP2 in tutto il SNC, con un notevole miglioramento dell’aspetto fenotipico. In particolare, rispetto ai controlli non terapeutici (AAV9/GFP), si sono ottenuti i seguenti risultati:

 Un prolungamento della vita

 Un miglioramento dell’aspetto motorio e del comportamento

 Un aumento del contenuto di GABA a livello degli interneuroni GABAergici corticali, che potrebbe portare ad un recupero della funzione del circuito neuronale

 Una normalizzazione del volume nucleare neuronale

Si aveva però un modesto aumento del peso corporeo (non significativo). Questo è dovuto probabilmente al fatto che, la riduzione del peso corporeo in

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questi topi Mecp2 null, non è dovuta solo alla carenza di MeCP2 nel cervello ma anche in altri organi periferici, oppure che la quantità di MeCP2 in specifici settori del cervello, non ha raggiunto la soglia per influenzare il peso corporeo. Non si sono osservati nemmeno miglioramenti dal punto di vista respiratorio. Inoltre nei topi sani, l’introduzione del gene MECP2 esogeno, non ha portato a problemi legati alla sovra-espressione della proteina MeCP2, dimostrando che questi livelli di espressione sono tollerati dai topi Wilde Type.

Nel successivo studio (Garg et al 2013), è stato utilizzato il medesimo vettore somministrato per via endovenosa, perché capace di attraversare la barriera ematoencefalica. Questa capacità è importante perché la Sindrome di Rett presenta una compromissione soprattutto neurologica e di conseguenza il vettore deve essere in grado di arrivare al SNC. Dai risultati di questo studio, è emerso che questa somministrazione in topi Mecp2 null, sia maschi che femmine, permette una buona produzione di proteina funzionante ed il recupero di molti sintomi. Anche in questo caso, si è osservato che l’introduzione del gene MECP2, determina un’aumentata sopravvivenza e migliori performance dei topi nei test di apprendimento e abilità motoria, il tutto accompagnato da un aumento delle dimensioni delle cellule neuronali, che mostrano così una morfologia più simile a quella normale. Non si assiste però ad un miglioramento della respirazione.

Entrambi gli studi confermano che la terapia genica possa in futuro rappresentare una cura per questa malattia neurologica, ma per passare alla fase clinica è richiesto ancora molto lavoro, che vada a dimostrare l’assoluta sicurezza e tollerabilità anche in modelli animali più vicini all’uomo.

79 Conclusioni

Allo stato attuale, non vi è alcun trattamento curativo per la Sindrome di Rett, ma la terapia rimane essenzialmente sintomatica, con lo scopo di migliorare la qualità di vita di questi pazienti, attraverso il controllo delle manifestazioni cliniche più comuni.

Tuttavia, grazie alla scoperta delle mutazioni genetiche responsabili della Sindrome di Rett e in particolare del gene MECP2 (principale responsabile della malattia), le possibilità di arrivare ad un trattamento farmacologico più efficace sono aumentate. Bisogna comunque considerare, che lo sviluppo di nuove terapie, è complicato dal fatto che il malfunzionamento della proteina MeCP2 è associato all’alterazione di un gran numero di geni e di effettori a valle, che sono ancora oggetto di studio e la comprensione dei vari meccanismi d’azione di questa proteina è ancora incompleta.

Importante in questo contesto è la produzione di modelli animali, con specifiche mutazioni di questo gene, che consentono di studiare i meccanismi molecolari alla base della malattia, ma anche di sperimentare nuovi farmaci. Gli studi più recenti, si sono concentrati soprattutto sull’uso di molecole in grado di ristabilire i livelli dei neurotrasmettitori alterati e hanno evidenziato anche il BDNF come candidato per il trattamento della Sindrome di Rett. La somministrazione di BDNF non è però utile come approccio clinico, a causa della sua breve emivita e della scarsa penetrazione attraverso la barriera ematoencefalica. Si stanno quindi studiando strategie che vadano ad aumentare l’espressione di BDNF o la sua segnalazione, attraverso la stimolazione del recettore TrkB.

Vari studi mostrano l’efficacia di farmaci già in uso in altre patologie, come il

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utilizzato per la sclerosi multipla, sia in grado di aumentare i livelli di BDNF nei neuroni in coltura (Deogracias et al., 2012).

Un altro approccio promettente prevede la somministrazione di agonisti del recettore TrkB (Schmid et al., 2012) e di inibitori della proteina PTP1B (CPT157633, UAO713), normalmente coinvolta nell’inattivazione di questo recettore.

Importante è anche il ruolo mostrato dagli antidepressivi, in particolare dalla

Mirtazapina, che oltre ad aumentare il BDNF è in grado di ristabilire la

trasmissione serononinergica e noradrenergica.

La riduzione dei livelli del fattore di crescita IGF-1 (insuline-like growth factor 1), nel cervello di topi Mecp2 null, ha condotto allo studio degli effetti della somministrazione di IGF-1, che ha mostrato effetti positivi, grazie alla sua capacità di stimolare il recettore TrkB e la via di segnale m TOR, che presenta anomalie in questa sindrome (Khwaja et al., 2014).

E’ stato proposto inoltre, l’utilizzo di molecole in grado di riattivare il funzionamento delle Rho GTPasi, che risulta alterato in questa malattia. In particolare, la stimolazione del recettore 5HT7 della serotonina tramite l’LP- 211, si è mostrato utile proprio per la capacità di questo recettore di attivare le Rho GTPasi.

Il fatto che alla base della malattia ci sia un danno genetico, fa pensare che la terapia genica possa in futuro rappresentare una strategia per curare la malattia, sostituendo il gene alterato, ma sono ancora richiesti molti studi per una possibile applicazione sull’uomo di questa strategia terapeutica.

Tutti questi dati sono comunque promettenti e suggeriscono che andando ad agire su specifici bersagli, che sono alterati in questa malattia, sia possibile arrivare in futuro ad una cura, che permetta di ristabilire le alterazioni neurologiche di questi pazienti.

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