L’oncoproteomica gioca un ruolo sempre più importante nella diagnosi dei tumori e nello sviluppo di trattamenti personalizzati. Il termine oncoproteomica si riferisce all’applicazione di tecnologie proteomiche in campo oncologico e parallelamente al campo dell’oncogenomica (Jain, 2002). Le tecnologie in campo
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proteomico si sono dimostrate un fondamentale completamento di quelle in campo genomico per la diagnosi dei tumori. Lo studio del proteoma, infatti, ovvero dell’espressione proteica relativa all’intero genoma, risulta necessaria per due principali motivi: la correlazione tra quantità di mRNA e quantità di proteina intracellulari è scarsa e variabile tra le diverse proteine e, soprattutto, le proteine vanno incontro a modificazioni co- e post- tradizionali molto complesse, e quindi sono presenti numerose isoforme proteiche corrispondenti ad una singola sequenza genomica; inoltre, le modificazioni post-traduzionali sono il risultato della connessione esistente tra più vie metaboliche e risentono dei fattori ambientali. Dal momento che l’espressione delle diverse isoforme è un processo altamente regolato e controllato e suscettibile di variazioni in seguito a diverse condizioni patologiche o esposizione a farmaci e tossine, la comprensione del significato della variabilità proteica “post-traduzionale” diventa una condizione necessaria per la comprensione delle loro funzioni biologiche e dei meccanismi di regolazione nei quali sono coinvolte. Sono state osservate numerose modificazioni post-traduzionali (PTM) in una proteina, e sono proprio esse le responsabili della struttura terziaria e quaternaria. Alcune interazioni proteina- proteina e la loro localizzazione in base al ruolo svolto sono rappresentate schematicamente in figura (Fig. 12) (Baenzinger, 2003).
Figura 12: Rappresentazione schematica delle modificazioni post-traduzionali correlate alla regolazione dei processi biologici. Immagine tratta da Seo J and Lee KJ, Journal of Biochemistry and Molecular Biology, 2004.
Per lungo tempo, l'approccio più utilizzato per l'analisi proteomica è stata l’elettroforesi bidimensionale su gel di poliacrilammide o 2D-PAGE (Two Dimensional Polyacriylamide Gel Electrophoresis), seguita dall’identificazione delle proteine mediante spettrometria di massa (Gorg A et al., 2004; Hanash SM, 2000); questa tecnica permette la comparazione diretta dei profili di espressione
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proteica di diversi campioni ed è stata utilizzata per identificare proteine differenzialmente espresse tra tessuti normali e tumorali in vari tipi di tumore, come quello del fegato (Seow TK et al., 2001), della vescica (Celis JE et al., 1999), del polmone (Chen G et al., 2002), dell’esofago (Soldes O et al., 1999), della prostata (Meehan KL et al., 2002) e del seno (Bini L et al., 1997).
Più recentemente, è stata sviluppata una variante al tradizionale approccio 2D-PAGE, e l’applicazione di questa tecnica ha permesso l’identificazione di potenziali biomarkers da poter utilizzare per la diagnosi precoce in vari tipi di tumore, come quello del polmone (Conrad DH et al., 2008), della prostata (Lin JF et al., 2007; Ummanni R et al., 2011), del seno (Gharbi S et al., 2002; Weitzel LR et al., 2010)e del colon retto (Alfonso P et al., 2005; Habermann JK et al., 2008). La DIGE (Differential In-Gel Electrophoresis) è una tecnica che fornisce maggior riproducibilità e sensibilità, e una migliore quantificazione rispetto alla precedente , permettendo di ridurre la variabilità inter- e intra-campione (Zhou G et al., 2002). Gli estratti proteici cellulari vengono marcati differenzialmente con coloranti fluorescenti, che vengono successivamente riuniti in un’unica miscela , insieme ad uno standard interno costituito da un pool proteico di tutti i campioni in esame, e corsi sullo stesso gel 2D. Il gel viene scannerizzato per ottenere una mappa relativa ad ogni pool proteico marcato e le immagini vengono in seguito confrontate per differenza di intensità di emissione per ciascuno spot: proprio la presenza dello standard interno permette una comparazione tra i profili proteici di tutti i campioni dell’esperimento.
La maggior parte delle tecniche in campo proteomico si
basasull’identificazione di biomarkers tumorali e sullo studio dei pattern proteici. I biomarcatori tumorali sono definiti come alterazioni molecolari specifiche, sia a livello di DNA che di RNA, proteine o metaboliti, che possono essere misurate: possono pertanto costituire dei validi indicatori dei processi patologici o target per la scoperta di nuovi farmaci. Numerosi studi recenti hanno identificato una serie di nuovi biomarcatori o potenziali target per l’ACC. Sbiera e collaboratori per esempio, hanno osservato che l’overespressione della survivina è associata con una prognosi peggiore in pazienti con ACC: l’utilizzo di questa proteina come bersaglio terapeutico, pertanto, potrebbe essere un interessante nuovo approccio per il trattamento dell’ACC (Sbiera S et al., 2013). Un altro gruppo ha confermato che la presenza di positività nella colorazione nucleare per la -catenina rappresenta un fattore prognostico indipendente per la sopravvivenza totale e libera da malattia in pazienti che hanno subìto l’asportazione chirurgica dell’ACC primario (Gaujoux SGS et al., 2011). E’ stato
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inoltre osservato che l’identificazione del fattore steroidogenico SF-1 potrebbe rappresentare un possibile nuovo marcatore prognostico nel tumore corticosurrenalico (Duregon E et al., 2013). Solo recentementeperò sono stati condotti studi di tipo proteomico su questo tipo di tumore. Il gruppo di Yang ha individuato due proteine, la calreticulina e la proibitina, come candidati biomarcatori che potrebbero discriminare gli ACCdagli ACA, dal momento che sono risultate overespresse nel gruppo di tumori analizzato (Yang M et al., 2013). Il gruppo di Kjellin ha osservato una riduzione dei livelli di espressione di numerose proteine appartenenti al complesso I della catena respiratoria mitocondriale a livello della frazione microsomiale di tessuti surrenalici maligni, comparati con tessuti surrenalici sani: in particolare, è stata identificata una proteina, GRIM-19, che sembra essere un regolatore negativo di STAT3, e potrebbe rappresentare un potenziale biomarcatore (Kjellin H et al., 2014).Tuttavia, i possibili biomarcatori candidati per l’ACC sono ancora relativamente limitati, se comparati con altri tipi di tumore. Di conseguenza, si rende necessaria l’identificazione di nuovi biomarcatori tumorali che permettano di sviluppare strategie diagnostiche e terapeutiche più efficaci per i pazienti con tumore corticosurrenalico.
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SCOPO DELLA TESI
I tumori della corteccia surrenalica (ACC) sono tumori rari ma altamente aggressivi che originano nella corteccia della ghiandola surrenalica. Nonostante negli ultimi anni siano stati fatti progressi nella comprensione dei meccanismi fisiopatologici di questa malattia, la biologia di questo tumore è ancora in gran parte sconosciuta, e questo spiega il motivo della mancanza di terapie più mirate ed efficaci. L’unico farmaco specifico attualmente in uso per il trattamento dei pazienti con ACC ad uno stadio avanzato è il mitotane, di cui tuttavia non sono stati studiati i possibili effetti tossici a livello delle cellule tumorali.
Il lavoro di questa tesi si è quindi incentrato in una prima parte sullo studio dei profili di espressione proteica del tumore e della ghiandola surrenalica sana, allo scopo di individuare proteine differenzialmente espresse e di conseguenza in grado di discriminare idue gruppi sperimentali. Una volta identificate queste proteine, ci siamo focalizzati su un’analisi di tipo bioinformatico per selezionare eventuali biomarcatoridell’ACC da utilizzare come potenziali target terapeutici per migliorare la prognosi e la diagnosi di questa patologia. Lo studio è stato condotto mediante l’utilizzo della tecnica di 2D-DIGE (Differential in-gel electrophoresis), utilizzata per la prima volta in questo tipo di tumore, che ci ha permesso di confrontare e quantificare i profili proteici di più campioni, corsi su gel differenti, grazie alla presenza di uno standard interno.
Nella seconda parte di questo studio siamo andati ad indagare gli effetti del farmaco mitotane, attualmente in uso per il trattamento dei pazienti con stadi avanzati di ACC, a livello della linea cellulare di carcinoma corticosurrenalico, H295R, allo scopo di approfondire le scarse conoscenze sull’azione di questo farmaco. Ci siamo focalizzati sullo studio dei meccanismi intracellulari alla base dell’effetto tossico del mitotane, in particolare sulle alterazioni nella morfologia e nella funzionalità dei mitocondri nelle H295R.
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