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III. SISTEMI ARTIFICIALI IMPIANTABILI PER IL RECUPERO

III.3 Protesi del nervo ottico e protesi corticali

Nei soggetti ciechi, che preservano la funzionalità delle cellule gangliari della retina, il nervo ottico è un possibile sito di impianto di elettrodi per la neurostimolazione elettrica, sebbene trovare l’esatta distribuzione retinotopica interna sia una sfida difficile. Un bracciale di elettrodi avvolti a spirale applicato attorno al nervo ottico, impiantato cronicamente, ha dimostrato di produrre nei pazienti la capacità di distinguere semplici caratteri su uno schermo e di localizzare oggetti. In alternativa, l’inserimento di elettrodi a penetrazione nel nervo ottico e nel disco ottico, è in grado di generare la percezione di fosfeni. La stimolazione del nervo ottico rimane tuttavia svantaggiosa a causa della delicatezza del sito di applicazione degli elettrodi, la cui pressione è potenzialmente dannosa per la via nervosa. L’elevata densità degli assoni rende difficile la stimolazione focale e la percezione dettagliata degli stimoli e qualsiasi approccio chirurgico al nervo ottico richiede la dissezione della dura madre, comportando possibili side-effects.

La prima strategia ad essere stata ideata per il recupero della funzione visiva in pazienti non vedenti considera, come sede di applicazione dell’impianto artificiale, la corteccia cerebrale, scegliendo la stimolazione diretta dell’area visiva, responsabile della formazione delle immagini, per la capacità corticale di adattare continuamente l’attività nervosa in risposta ai cambiamenti degli stimoli visivi. Sfruttando tale proprietà, detta plasticità

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neuronale, la protesi corticale intende indurre il cervello a “reimparare a vedere” facendo in modo che i fosfeni evocati rappresentino sempre più fedelmente il mondo reale.

La struttura funzionale della protesi corticale, adatta per il trattamento di tutte le patologie che interessano la via di trasmissione visiva, prevede l’utilizzo di una telecamera e di un’unità di elaborazione dati esterne, collegate ad un chip e ad un array di microelettrodi impiantati a livello corticale.

Il primo esperimento di stimolazione elettrica della corteccia visiva fu condotto nel 1968 da Giles Brindley presso l’università di Cambridge; egli stimolò elettricamente la corteccia visiva di alcuni volontari ciechi tramite l’impianto di un array di 80 elettrodi. Esperimenti simili furono condotti in seguito da W. H. Dobelle presso la University of Utah. Egli ne dedusse che inviando corrente ad un singolo elettrodo si ha da parte del paziente la percezione di un fosfene, somministrando corrente a più elettrodi contemporaneamente il soggetto avverte più fosfeni distinti. La posizione dei fosfeni nel campo visivo rispecchia abbastanza fedelmente la posizione degli elettrodi in corteccia. Due stimoli distinti danno origine a due fosfeni distinti se la distanza fra i due elettrodi non è inferiore a 250-500 μm. Lo stesso Dobelle riuscì, nel gennaio 1999, a ristabilire un’acuità visiva di 1/20 in un paziente totalmente cieco da 20 anni, mediante un impianto corticale. Il dispositivo ideato da Dobelle rappresenta il primo rilevante tentativo di ripristino della visione, volto a consentire l’indipendenza di movimento ai pazienti non vedenti. La protesi utilizza 64 elettrodi piatti che ricevono impulsi da un generatore, sotto il controllo di un piccolo computer. I dati sono forniti da una videocamera miniaturizzata e da un sensore ad ultrasuoni, utilizzato per il calcolo delle distanze.

L’immagine acquisita dalla videocamera viene convertita dal processore in una serie di segnali elettrici, che giungono all’array di elettrodi. L’electrode array è posizionato a contatto con la superficie della corteccia occipitale attraverso l’impianto transcranico che stimola la regione corticale producendo uno specifico pattern di punti luminosi che formano

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l’immagine. Gli elettrodi sono circolari di diametro 1 mm e realizzati in platino; ciascuno di essi è collegato ad un connettore contenuto in un supporto percutaneo in carbonio (il percutaneous pedestal). I fili che lasciano il computer si connettono per mezzo di una spina elettrica al percutaneous pedestal.

A

B

Figura 36 - A) L’impianto corticale di Dobelle; B) La percezione

dell’immagine.

Gli impianti corticali possono beneficiare della presenza del liquido cerebrospinale, che è in grado di rimuovere il calore dissipato dall’area dell’impianto.

L’immagine che si ottiene con questo tipo di stimolazione è abbastanza definita per permettere al paziente di muoversi nello spazio e percepire la

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forma e la posizione degli oggetti, ma non è possibile ottenere una qualità dell’immagine ottimale, che garantisca la lettura di un testo o la visione a colori. Nelle protesi più recenti si sta tentando di migliorare la qualità della visione, aumentando il numero di elettrodi per array, e di limitare i problemi legati alla sovrastimolazione.

Il modello corrente di protesi corticale, sviluppato dall’Illinoise Institute of Technology (IIT), consiste in un impianto interno dotato di una matrice di 100 microelettrodi organizzati in una griglia contenuta in un package di dimensioni 4.2x4.2 mm, che prende il nome di Utah Electrode Array. Gli elettrodi sono composti da un film di ossido d’iridio, ritenuto un mezzo conduttore ideale, scolpiti col laser e resi a punta fine in modo da minimizzare i danni dovuti alla loro inserzione nella corteccia. I dati provenienti da una telecamera esterna bypassano la strada visiva primaria del cervello e vengono trasmessi direttamente all’impianto intracorticale. In seguito all’approvazione ricevuta dalla Food and Drug Administration, l’Utah Electrode Array è stato impiantato in alcuni soggetti umani e rimosso dopo 30 minuti, senza danni.

Figura 37 - Utah Electrode Array.

Nonostante la maggior facilità di impianto del dispositivo corticale rispetto alle protesi retiniche, data la relativa semplicità di accesso alla corteccia visiva, il principale svantaggio di questa applicazione è dovuta al fatto che non si conosce ancora bene il modo in cui farla interagire con il cervello

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stesso. Nel cervello esistono milioni di interconnessioni che progettano le informazioni neuronali da inviare alla corteccia visiva, la quale le decompone negli elementi caratteristici della visione per trasmetterle a centri più alti di elaborazione, dando luogo alla percezione dell’immagine. Pertanto è difficile, in ogni livello, comprendere come creare e gestire le informazioni artificiali per generare la visione [22], [24], [31], [35].