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Prototipare per trasformare

Nel documento Ricerca per Progettare (pagine 52-66)

Non sempre chi opera sa che le imprese che producono pezzi di arredo in serie, prima di avviare la lunga e costosa catena produttiva, sono soli- te studiare e sviluppare un prototipo. Questa delicata fase di lavoro rende consapevoli della inevitabile esistenza di incongruenze tra disegno e rea- lizzazione. Prototipare è fase essenziale del processo, indispensabile per affinare dettagli progettuali, costi, metodi di montaggio e fasi di assem- blaggio. Un’esigenza sentita sin dalle origini dell’arte del costruire dagli architetti per la realizzazione di architetture o porzioni di essa, in partico- lare quando la carta e gli attrezzi da disegno non si dimostravano suffi- cienti a indagare a fondo un’idea. Il modello al vero ha permesso e per- mette ancora di effettuare importanti osservazioni sul progetto immagina- to, anche oggi che disponiamo dei modelli informatici. I materiali e le tec- niche con cui abbiamo realizzato i prototipi sono diversi da quelli inizial- mente immaginati, e la loro costruzione è stata affidata ad artigiani e modellisti esperti dell’azienda nostra partner in questa esperienza. Assolutamente utile per noi tutti ma specialmente per gli studenti cui il normale procedere degli esami e degli impegni che la scuola usualmen- te propone non concede di testare attraverso l’interazione con sapienti maestranze le proprie scelte progettuali.

Con il nuovo partner abbiamo quindi concordato un calendario di incon- tri in cui gli studenti – insieme al docente e ai diversi assistenti – hanno avuto la possibilità di illustrare i propri disegni definitivi, sviluppati dopo il termine del corso, ai falegnami ed ai modellisti dell’azienda che poi avreb- bero realizzato i pezzi al vero per la prototipazione.

Gli studenti che credevano di aver tenuto conto di tutti i possibili aspetti realizzativi, nel vivo della discussione e del confronto con le proble- matiche della produzione – non ultimo il costo –, hanno preso atto dei lim- iti inevitabili dei propri disegni. La rappresentazione in scala prevede un grado di astrazione e semplificazione che inevitabilmente limita la quan- tità di informazioni spesso necessarie, ed oggi questi futuri architetto lo hanno sperimentato in prima persona. Così nella sala riunione dell’azien- da sono iniziate le domande, i primi schizzi a mano in sezione ed in assonometria che hanno aiutato a mettere a punto ogni parte fino a quan- do i modellisti hanno scelto le essenze più adatte per la realizzazione delle microarchitetture decidendo con lo staff di progettisti ogni finitura. Una vera e propria nuova fase progettuale, ricca di spunti e di crescita per ciascuno, che è iniziata con una chiara dichiarazione da parte degli ese- cutori, di ciò che era possibile o non era possibile realizzare con i mac- chinari a disposizione dell’azienda; passata poi per la scelta dei materiali

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più adatti e delle finiture da utilizzare per il prototipo, fino alla definizione della ferramenta e di tutti i sistemi di movimentazione, smontaggio e rias- semblaggio delle varie parti. Le piccole “architetture mobili” progettate dagli studenti e che avevamo nei mesi di corso visto lentamente prende- re forma si erano finalmente dimostrate pronte per essere costruite in ogni loro parte. Finalmente.

In questa interazione continua e ravvicinata tra studenti, docenti e mae- stranze sono state sicuramente ridefinite parti anche significative del di- segno originario, e ciò è stato fatto con il contributo di tutti, senza inutili protagonismi: tutti sapevamo che dovevamo portare a termine un’impre- sa e che ciascuno poteva avere un’idea o una soluzione utile alla causa. E con questo ognuno di noi ha compreso una volta di più che l’architet- tura, per piccola che sia, è un’opera corale, e che, quando in questo no- stro tempo ci hanno voluto far credere al genio creatore singolo spesso – per non dire sempre – ci hanno voluto ingannare. Ora potevamo tutti dirlo con certezza. Sono sicuro che l’esperienza proposta dal corso, e che poi abbiamo vissuto in quasi un lungo intero anno fino alla mostra pubblica finale, ha reso questi studenti, ma anche noi tutti che vi abbiamo parte- cipato, più consapevoli della forza, ma anche dei limiti, di un progetto grafico, per approfondito che possa essere, che sempre si arricchisce quando è un gruppo affiatato che ci lavora. Il disegno architettonico è strettamente legato ad una serie di fasi lavorative senza le quali le idee non potrebbero conquistare la terza dimensione. Dietro ogni linea, dietro ogni spessore, dietro ogni annotazione è racchiuso un infinito mondo di pensieri e di riprove, molte basate su esperienze fatte da altri o in altre cir- costanze. La fase di progetto e la conoscenza dell’oggetto progettato si raf- fina, passo dopo passo, fino a introdurre soluzioni non immaginate nella fase di disegno, e termina solo quando l’architettura, per piccola che sia – come nel nostro caso – ha preso forma, pronta per entrare e vivere nello spazio, modificandolo.

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Tutor: Andrea Stortoni, Michela Kumka Studenti: Gloria De Carolis, Francesca Marani, Michele Anconetani

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Where is the seduction of an empty space contained? Is it in the purity of the walls, or in the possible articulations that we can imagine?

This group of students seems to know both possibilities and in fact they propose an ambivalent solution.

The closed piece of furniture looks like a wall equipped with drawers, it suggests the idea of an inviolable container. Some elements stretches out of the surface toward the room.

The slogan of the project is “The house in the drawer”, in fact the object can be lived both inside and to outside from itself.

The drawers become useful steps to reach the top of the piece of furni- ture with the relax zone. The roof of the house appears as a simple linear element that, folded up by the movement of its panels structure, becomes chaise longue or bed from which we can enjoy of a privileged point of view (1,63 ms.) on the surrounding space.

We can extract the drawers to fill up the room, thus showing their real function of containers, seat, ledges and work top.

Moreover they can be boxes for objects that, subtracted from the piece itself, create space for a hotplate or space to fill up.

They can even compose a spacious bookstore.

We are facing a full space, that can become empty to the necessity… it can contain a single wall, to look, to explore, to climb, to live.

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La seduzione di uno spazio vuoto sta più nella purezza delle sue pareti o nella fantasia di possibili articolazioni che scatena nella nostra mente? Il gruppo di lavoro che si è impegnato nella progettazione di questo MacrOggetto sembra essere consapevole di entrambe queste possibilità e aver proposto di conseguenza una soluzione ambivalente.

Il mobile chiuso, nella sua forma compatta di parete attrezzata con cas- setti, suggerisce l’idea di un contenitore inviolabile. Gli stessi elementi che aggettano dalla superficie si protendono verso l’ambiente circostante anti- cipando le infinite possibilità di equipaggiamento della stanza di cui sono capaci.

Il motto del progetto è “La casa nel cassetto” e, coerente con tale titolo, l’oggetto può essere vissuto sia al suo interno che all’esterno.

I cassetti sporgendo diventano gradini utili per raggiungere la sommità del mobile sul quale alloggia la zona relax. Il tetto della casa si mostra come un semplice elemento lineare che, piegato dal movimento della sua strut- tura a pannelli diventa di volta in volta seduta, chaise longue o letto dal quale godere di un punto di vista privilegiato (a quota 1,63 m.) sullo spa- zio circostante.

Lasciandoci tentare dalla voglia di riempire la stanza potremmo estrarre i cassetti.

Ora essi si rivelano nella loro natura di contenitori portaoggetti, sedute, ripiani e appoggi per il lavoro.

Ora diventano scatole per utensili che sottratti dall’interno lasciano spazio ad una piastra elettrica o a vani da riempire.

Ora si compongono nella spaziosa libreria che scorre a scomparsa sul lato lungo del mobile.

Ora siamo di fronte ad uno spazio pieno, che all’occorrenza può tornare libero, può contenere solo un’unica parete da guardare, esplorare, scala- re, dunque vivere.

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Nel documento Ricerca per Progettare (pagine 52-66)

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