1.4.1
Prove di caratterizzazione del materiale
A causa delle esigenze e delle richieste espresse nel precedente paragrafo, l’attivit`a sperimentale viene indirizzata all’ottenimento dei parametri e delle informazioni necessarie ai modelli numerici, nonch`e ad un confronto con le stesse ai fini di validarle. Le tipologie di prove pi`u sfruttate nello studio di un problema balisitico sono di caratterizzazione dei materiali, in particolare per campi ad alta velocit`a di deformazione, e di impatto vero e proprio, tipi- camente cercando di studiare l’influenza di un solo parametro, ad esempio la forma del proiettile o l’angolo di impatto.
Non essendo l’argomento principale di questo lavoro di tesi, riportiamo solo le principali informazioni e caratteristiche che riguardano lo svolgimento di queste attivit`a.
Per quanto riguarda le prove di caratterizzazione del materiale, questo viene sottoposto alle tipiche prove quasi statiche, come quella di trazione monoas- siale e flessione a tre o quattro appoggi, per il calcolo dei pi`u comuni parametri statici quali ad esempio il modulo di Young e Poisson. Queste prove sono relativamente poco costose e non richiedono l’utilizzo di macchinari partico- larmente complessi e sofisticati.
A queste prove di caratterizzazione ne vengono affiancate altre, pi`u tipiche per problemi d’impatto. In problemi di questa natura infatti i materiali sono soggetti ad alte velocit`a di deformazione e la loro risposta, in particolare per i metalli, viene influenzata dall’insorgere di un fenomeno detto incrudimento dinamico, nel quale si assite ad un sensibile aumento dello sforzo di snerva- mento e della resistenza.
In verit`a allo stato attuale non sono riproducibili prove sperimentali alle velo- cit`a tipiche di un impatto di proiettile (circa 850 m/s). Ci si limita perci`o ad indagare nei range possibili, a ciascuno dei quali corrisponde una macchina ben precisa. Caratteristica comune a tutte queste macchine `e la necessit`a di imporre al provino una forza impulsiva, in modo da generare una velocit`a di deformazione costante nel tempo a cui poi associare le curve ed i risultati ottenuti. Per prove a velocit`a medio-bassa, che ricadono cio`e in un intervallo compreso tra 0.1 e 50 s−1, si ricorre a macchine idropneumatiche, rappresen-
Figura 1.14: Macchina idropneumatica
Il pistone, inizialmente in equilibrio, viene messo in moto grazie alla rot- tura della membrana, sfruttando il gradiente di pressione esistente fra le due camere del cilindro; l’acqua pu`o quindi fuoriuscire attraverso un ugello che, opportunamente calibrato, insieme alla regolazione della pressione dell’aria consente di ottenere diverse velocit`a di spostamento del pistone.
Il provino viene cos`ı sottoposto a trazione essendo vincolato da un lato allo stelo del pistone, e dall’altro alla traversa fissa della macchina.
Un captatore elettromagnetico rileva lo spostamento del pistone, mentre il carico applicato pu`o essere determinato o mediante una barra dinamomet- rica, o attraverso il calcolo della forza dovuta alla pressione dell’aria agente sulla superficie del pistone.
Una variante di queste macchine `e detta Fastens e pu`o raggiungere i 100 s−1,
ma `e poco diffusa a causa dell’elevato costo [30]. In1.15 ne viene rappresen- tato un esempio.
Figura 1.15: Macchina Fastens
Per campi di velocit`a che vanno oltre i 500 s−1 si ricorre ad una macchi-
na di prova costituita da una o due barre snelle che sollecitano assialmente un provino, detta macchina di Hopkinson. Lo schema di queste macchine `e riportato in 1.16.
Esistono due configurazioni fondamentali, a singola e a doppia barra. Tipi- camente il provino viene sollecitato a compressione, ma ne esistono varianti per valutare il comportamento a flessione, torsione e trazione.
Nella prova base a compressione la barra viene eccitata dinamicamente con un impulso che genera un’onda di pressione che si propaga elasticamente lun- go di essa, fino a raggiungere il provino all’altra estremit`a.
A questo punto le onde in parte vengono riflesse ed in parte attraversano il provino e raggiungono la seconda barra. Rilevando i segnali di deformazione tramite due sensori estensimetrici collegati ad un sistema di acquisizione di- namico, `e possibile ricostruire la caratteristica del materiale del provino. Va
Figura 1.16: Macchina di Hopkinson
notato come, in virt`u della forma dell’onda generata, la velocit`a di defor- mazione del provino risulta costante per tutta la prova e pu`o essere fatta variare regolando il precarico che genera la forza impulsiva. Si risale cos`ı al comportamento del materiale del provino sollecitato.
L’analisi con queste macchine, essendo basata sullo studio della propagazione delle onde elastiche, ha il grande vantaggio di non risentire dei fenomeni neg- ativi che le stesse possono generare nelle altre attrezzature di prova.
Tuttavia, l’interpretazione dei risultati sperimentali pu`o non essere cos`ı im- mediata ed occorre perci`o valutare attentamente ci`o che viene ottenuto.
1.4.2
Prove d’impatto
Come descritto precedentemente, alle prove di caratterizzazione del materi- ale vengono affiancate quelle di impatto. Queste sono ampiamente diffuse e in bibliografia si pu`o trovare una ampia casistica nei quali vengono presi in esame, di volta in volta, l’influenza di parametri come la punta ed il materi- ale del proiettile, l’angolo d’impatto, il materiale del bersaglio. In figura 1.17
viene illustrato un tipico schema di un apparato di prova [32].
Questo si compone di una camera di pressione che contiene il gas che fornir`a poi la forza impulsiva al proiettile, una canna che guider`a il proiettile nella camera d’impatto, all’interno della quale `e presente il bersaglio e tutta l’even- tuale strumentazione di misurazione delle grandezze d’interesse, tipicamente la velocit`a prima e dopo l’impatto.
Il vantaggio nell’uso di armi a gas, piuttosto che di tipo convenzionale, con- siste nella possibilit`a di settare la pressione del gas e di variare in questo modo la velocit`a del proiettile.
Figura 1.17: Banco di prova sperimentale
Il rilevamento delle velocit`a viene fatto con due coppie di generatori luminosi e relativi ricevitori. Quando il proiettile attraversa il fascio luminoso (posto ortogonalmente alla traiettoria) il ricevitore invia un segnale al sistema d’ac- quisizione; `e cos`ı possibile calcolare l’intervallo di tempo che intercorre nel passaggio tra le due stazioni e, nota la distanza, ricavare cos`ı la velocit`a. Le due coppie sono tipicamente posizionate prima e dopo il bersaglio.
Una possibile alternativa per la misurazione della velocit`a residua del proi- ettile consiste nell’uso di due lastre in alluminio sacrificabili, su ognuna delle quali `e montato un acceleromentro. Quando il proiettile, dopo aver pen- etrato il bersaglio, attraversa le lastre, gli accelerometri rilevano un picco. Calcolando la distanza temporale tra i due picchi e nota la distanza tra le due lastre, `e possibile risalire alla velocit`a del proiettile.
In queste prove, vengono inoltre spesso impiegate sofisticate telecamere ad elevata frequenza di acquisizione, in grado di catturare gli istanti dell’impat- to che, opportunamente elaborati, in seguito forniscono misure di posizione, velocit`a ed accelerazione.