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tra psicologia, estetica e psicanalis

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C

APITOLO

I

Le prime indagini su memoria e psicologia: gli studi di Binet, Bergson e Séailles

Il quadro storico–letterario fin qui tracciato ha consentito di presentare il sogno nel suo significato e nell’uso che se n’è fatto dall’antichit| fino al Novecento. È necessario ora procedere a un’analisi sistematica del sogno mettendo a frutto le sollecitazioni che la psicologia, l’estetica e la psicanalisi hanno offerto alla interpretazione del sogno, un tema estremamente suggestivo e ricco di affascinanti implicazioni. Un imprescindibile termine di confronto sono le teorie psicologiche e psicanalitiche, a partire dai primi studi di Binet e fino alle ricerche di Freud e Jung, indagini che hanno avuto notevoli ripercussioni nel corso del Novecento, con risvolti di carattere artistico e filosofico. La materia onirica è stata per altro oggetto di studio anche da parte della corrente fenomenologica ed esistenzialista che, come vedremo, ha applicato al sogno una indagine di tipo ermeneutico-ontologico gi| riservata ad altri settori del sapere e della conoscenza.

Durante l’Ottocento e, soprattutto sul finire del secolo, hanno preso consistenza alcune discipline che hanno analizzato, con

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strumenti sempre più raffinati, la coscienza, lo spirito, la psiche e le manifestazioni ad esse strettamente connesse, come il sogno o la creazione artistica. Ed importanti filosofi, tra cui Hegel, Dilthey o Schopenhauer, hanno dato un considerevole impulso alle scienze, indagando sui fenomeni più propri dell’individuo, ormai liberato da una visione puramente cogitante di stampo cartesiano, positivista e materialista. Una lettura che ha suggestionato la fervida fantasia di Pirandello è il saggio di Alfred Binet, Les altérations de la personnalité (1892) in cui, secondo i metodi dell’osservazione scientifica, si enucleano i comportamenti e i fenomeni della mente1.

Tra i vari concetti elaborati vi è una compiuta indagine sul mondo ‘altro’, studio che conferma l’esistenza dell’inconscio, talvolta denominato subconscio. Di forte impatto è la riflessione che Binet sviluppa attorno al tema della «disgregazione dell’io», che suggestionò particolarmente Pirandello. Binet afferma:

Alla base di numerosissimi fenomeni della vita psichica, vi è un’alterazione della personalit|, uno sdoppiamento, o piuttosto uno spezzamento dell’io. Si nota che in un gran numero di persone *<+ vengono generate parecchie coscienze distinte, tra cui ognuna può avere la propria percezione, la propria memoria, e finanche il proprio carattere *<+. È possibile trovare

1 Lo stesso Pirandello nel saggio Arte e scienza pubblicato per i tipi di Modes (Roma, 1908) citò esplicitamente Binet e

il suo studio sulle alterazioni della personalità (Cfr. L. PIRANDELLO, Arte e scienza, in Pirandello. Saggi e interventi, a

cura di F. TAVIANI, Meridiani-Mondadori, Milano, 2006), mostrando sicuro interesse per le sollecitazioni offerte dallo

studioso francese. Il saggio di Binet è stato per altro attentamente studiato negli anni Settanta da Graziella Corsinovi, la quale nel saggio Pirandello e l‟Espressionismo (1979) ha messo in luce la forte impronta psicologista che sostiene la scrittura pirandelliana anche nell‟approccio con cui Pirandello si relaziona ai suoi personaggi. Gli apporti scientifici che mettono in evidenza le consonanze tra gli studi di Binet e l‟approccio psicologista di Pirandello (che ben si differenzia da quello psicanalista di Freud per le ragioni che saranno esposte in queste pagine) si sono infittiti negli ultimi decenni del Novecento e fino ad oggi. Tra i numerosi contributi non si può trascurare il volume Pirandello e la stanza della

tortura (1981) di Giovanni Macchia, lo studio di Giancarlo Mazzacurati su Pirandello nel romanzo europeo (1987) e

80 in condizioni molto diverse dei frammenti di vita psicologica

che hanno come caratteristica essenziale di possedere una memoria propria; questi stati non sono percepibili durante la veglia e dunque non lasciano ricordi, ma il ritorno dello stesso stato riconduce i ricordi delle sue manifestazioni anteriori, e l’individuo si ricorda allora tutti i fatti che egli aveva dimenticato durante la vita normale2.

Lo scritto ebbe vasta eco fino a suscitare un vivo interesse da parte di Freud. Negli studi di Binet Pirandello trovò una conferma a ciò che egli, da attento studioso ed osservatore delle dinamiche esistenziali, aveva gi| intuito. E ciò è chiarito anche da alcune riflessioni di Orsini che, ripercorrendo la linea interpretativa della Corsinovi, riconosce in Pirandello una «sussistenza di forze inconsce nel modo di agire degli uomini e la conseguenza capitale che ne deriva, ossia il relativismo delle loro conoscenze»3.

Binet fu tra i primi studiosi a decodificare il potenziale della mente: sua, infatti, è la paternit| del «quoziente intellettivo» e della misurazione dell’intelligenza. La tipologia di indagine che egli propone non si attiene ad uno modello puramente quantistico, ma presenta ripercussioni anche di tipo filosofico. Il suo ragionamento si sviluppa intorno alla questione della «personalit|» e dei «fenomeni» con cui essa si mostra nel tempo. Come Bergson, ritiene che la memoria contribuisca alla creazione di «fatti di coscienza», situazioni che possono restare anche separate, simultanee o succedanee, con l’esito di formare personalit| multiple. Circa la

2 A. BINET, Les altérations de la personnalité, (1892); trad. it. Le alterazioni della personalità, a cura di C. TAVAGNINI,

Fioriti, Roma, 2011, pp. 128-129.

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personalit| Binet scrive:

La nostra personalit| si modifica col tempo; la personalit|, infatti, non è un’entit| fissa, permanente e immutabile; è una sintesi di fenomeni che varia cogli elementi che la compongono e che è in via di continua e incessante trasformazione. Nel corso di una esistenza si succedono numerose personalit| distinte; ed è solo per artificio che noi le riuniamo in una sola *<+. Ciascuno di noi non è uno, ma contiene numerose persone che non hanno tutte lo stesso valore. *<+ In una stessa persona diversi fatti di coscienza possono vivere separatamente senza confondersi e dare luogo all’esistenza simultanea di diverse coscienze, e in certi casi, di diverse personalit|4.

Pirandello si rif| molto agli studi di Binet, e in più opere, come Uno, nessuno e centomila, l’Umorismo e in varie novelle, egli ‘rappresenta’ i suoi personaggi forgiandoli sugli assunti psicanalitici dello studioso francese; nel saggio Arte e scienza5, gi| dalle prime righe, ne dichiara esplicitamente l’engagement. La lacerazione provocata dal perenne conflitto tra la necessit| di un’identit| da esibire e una ‘personalit|’ fatta di impulsi e istinti, crea individui reali o personaggi letterari che risultano sottoposti all’azione disgregatrice di pulsioni caotiche. Aspetti che sono ben illuminati dagli studi di Calabrese allorquando riconosce che «per meglio rappresentare questi personaggi eterodiretti, assenti da sé e in cerca di radici ontologiche, Pirandello sceglie spesso figure brutte o deformi , «sconciate» sia nel fisico, coinvolte in vicende paradossali,

4 A. BINET, op. cit., p. 140.

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mendaci verso sé stesse e gli altri»6.

Proprio la scomposizione dell’io, dilacerato in frammenti multipli, proprio in quanto espleta una funzione di assoluta necessit|, innesta l’atto del volgersi, del ri-volgersi verso sé stesso e al mondo esterno con atteggiamento indagatore e osservatore: ogni individuo tenta con instancabile fatica di ricucire i tratti dell’esperienza per ristabilire il senso del vissuto nella sua cornice esistenziale7. La presenza di alcuni dati ci d| una spia del margine di

collimazione tra l’io razionale e quello misterioso, e tra l’io e l’altro. L’«esperienza» stessa si tramuta in atto, mostrandosi con i segni di quel flusso incessante che la vita ripropone, arbitrariamente e secondo leggi non attribuibili alla (sola) ragione, in forma di ricordi, ora riproposti dal grande archivio umano dei vissuti che è la memoria. Contenitore di sensazioni e di percezioni, essa è formata da tracce che il tempo registra e accumula. E a proposito del rapporto tra percezione e memoria appare utile la riflessione di Bergson secondo cui:

Noi speriamo precisamente di mostrare che gli accidenti individuali si innestano su questa percezione impersonale, che

6 S. CALABRESE, L‟idea di letteratura in Italia, Mondadori, Milano, 1999, p. 181.

7 Raffaele Cavalluzzi, analizzando uno dei testi del teatro dei miti, La nuova colonia, mostra come sia fortemente

presente nella scrittura pirandelliana il concetto della disgregazione dell‟io (non soltanto soggettivo ma anche sociale) e il valore utopico dell'egualitarismo. Secondo lo studioso l‟opera di Pirandello rivaluta la prospettiva junghiana dell'antropologia della giustizia e della pace, considerata nell'ambito della Weltanshaung nichilistica della modernità. La

pièce infatti, mostrando la condizione di disgregazione sociale, allegoricamente tenta l‟integrazione di un gruppo di

reietti che si risolve in utopia e in fallimento, sotto l'azione di irrefrenabili forze di potenza distruttiva e di pulsioni irrazionali. In una modernità vittima dei fascismi si aspira ad un riscatto pur nella consapevolezza dell'impossibilità della libertà e dell'uguaglianza. Potere, autorità, forza e violenza sono insiti nel comportamento umano ma ciò non impedisce l'affermarsi di un sogno, quale quello della rigenerazione della carne, in una catena di motivi mitografici e di modelli archetipici che caratterizzano, difatti, tutta l'ultima fase della carriera letteraria pirandelliana. Cfr. R. CAVALLUZZI, La nuova colonia di Luigi Pirandello, in «Italianistica», anno 2013, n. 3, pp. 81-86.

83 questa percezione è alla base della nostra conoscenza delle cose,

e che è per averla misconosciuta, per non averla distinta da ciò che la memoria vi aggiunge o vi toglie, che si è fatto della percezione tutta intera una specie di visione interiore e soggettiva, che non si differenzierebbe dal ricordo se non per la sua maggiore intensit|8.

Ma la citazione risulta interessante anche per un’altra fondamentale questione: Bergson pone l’accento sui concetti di «ricordo» e di «memoria» e sulla loro pregnanza semantica. Differenza che deriva da fattori di qualit|, determinati proprio dall’esperienza e dalla percezione del mondo sensibile. Se il ricordo si limita a riportare alla mente il passato e le sensazioni che esso evoca, la memoria assolve perennemente a una funzione di integrazione, acclimatandosi in una sintesi temporale, fatta di frammenti che nascono dalla differenziazione di elementi. Se così non fosse, del resto, se il passato non illuminasse il presente, noi vivremmo costantemente nell'istante e le nostre azioni sarebbero sempre e solamente arbitrarie, sganciate da motivi esistenziali.

Tuttavia è necessario, secondo il parere di Civita, «separare idealmente il lato soggettivo della percezione, che inerisce alla memoria e allo spirito, da quello oggettivo, impersonale, che fornisce la base di ogni concreto percepire»9. Fatta questa

distinzione, il dato puramente oggettivo andr| tendenzialmente a coincidere con la realt|, con la cosa in sé. Ma qual è l’origine e la

8 H. BERGSON, Matière et mémoire. Essai sur la relation du corps à l‟esprit (1896), trad. it. Materia e memoria. Saggio

sulla relazione del corpo allo spirito, in H. BERGSON, Opere. 1889-1896, a cura di P. A. ROVATTI, Mondadori, Milano,

1996, pp. 244-245.

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natura della memoria? Perché a parit| di condizioni iniziali il processo rievocativo conduce a risultati diversi?

L'esplorazione percettiva dell'oggetto esibisce aspetti sempre nuovi di sé, mediante una progressiva modificazione del suo senso complessivo, del suo sistema: arricchimento dell'oggetto che avanza di pari passi con una progressiva riemersione dei luoghi abissali della memoria e della coscienza. All’intelletto giungono immagini-ricordo di eventi gi| vissuti, che si manifestano in modo diverso e in forma articolata. I vari livelli della memoria non sono sede di ricordi diversi; quel che muta è solo il grado di tensione e dilatazione dei sensi e della loro percezione: più si procede verso il profondo, più la tensione si allenta. Così facendo, ogni ricordo tende ad arricchirsi di particolari, tornando poi in forma rinnovata alla sua essenza originaria: «Le varie fasi della percezione distinta corrispondono a livelli diversi di coscienza, e ogni livello, possiamo dire, corrisponde a una certa disposizione, a un certo atteggiamento di coscienza»10

.

La coscienza allora non può che essere composta

anche dalla memoria che conserva il passato in cui gi| esistono i germi della proiezione futura. Per Pirandello la memoria, affascinante quanto primario alveo dell’esistenza, non può essere materialistica, perché materialistica non è la coscienza. La memoria non si limita a rappresentare, o ricordare, il passato, le sue sensazioni e i suoi oggetti, ma riusa questa materia, anche in modo

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‘giocoso’, sempre incontrollato e per arbitrarie associazioni, non interrompendo mai il flusso vitale che dura per tutto l’arco dell’esistenza stessa.

È possibile trovare un riscontro a simili concetti ad esempio ne Il fu Mattia Pascal allorquando il protagonista afferma:

Ogni oggetto in noi suol trasformarsi secondo le immagini ch’esso evoca e aggruppa, per così dire, attorno a sé. Certo un oggetto può piacere anche per sé stesso, per la diversit| delle sensazioni gradevoli che ci suscita in una percezione armoniosa; ma ben più spesso il piacere che un oggetto ci procura non si trova nell’oggetto per sé medesimo. La fantasia lo abbellisce cingendolo e quasi irraggiandolo d’immagini care. Né noi lo percepiamo più qual esso è, ma così, quasi animato dalle immagini che suscita in noi o che le nostre abitudini vi associano. Nell’oggetto, insomma, noi amiamo quel che vi mettiamo di noi, l’accordo, l’armonia che stabiliamo tra esso e noi, l’anima che esso acquista per noi soltanto e che è formata dai nostri ricordi11.

La memoria riattiva l’esperienza, ripropone quanto l’individuo ha vissuto in un suo momento storico, riattualizzando le immagini attraverso i ricordi e le sensazioni, che misteriosamente si trasferiscono al livello agente del «qui ed ora». Come la madelaine proustiana, i sensi coadiuvano la memoria, che risale dal fondo ed emerge nella sfera tangibile e corporea, reale e concreta. La memoria è un dialogo con sé stessi, la funzione organizzatrice di un’esistenza che ritrova una sintesi nel divenire dell’esistenza

Una suggestiva sintesi che fonde vissuto e memoria in

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Pirandello è stata certamente tracciata da uno dei suoi conterranei, Leonardo Sciascia il quale emblematicamente vede nella conclusione (forse mancata) dei Giganti della montagna, proprio il senso più alto di un testamento artistico, spirituale ed umano, raffigurato da un oggetto specifico. Alla scelta di Pirandello di inserire in mezzo alla scena un grande olivo saraceno, Sciascia dice che esso olivo trasmigra semanticamente «da simbolo di un luogo a simbolo della Memoria, *<+ che in quel ‘luogo di metamorfosi’ si è trasformata in olivo: terragna, profondamente radicata, liberamente stormente ora ai venti acri che vengono dalla zolfara, ora a quelli salmastri (anche di sale comico) che vengono dalla marina»12.

Il rapporto tra memoria, vissuto e opera d’arte era stato gi| ampiamente affrontato da Gabriel Séailles in Essai sur le génie dans l'art13, studio che influenzer| non marginalmente, tra gli altri,

anche Bergson e Delacroix. La psicologia della creazione costituisce il punto d'avvio e il campo prediletto delle ricerche. Riconoscendo la particolarit| del senso dell’arte, Séailles ritiene che il genio non debba essere considerato come un «mostro»; esso è un fatto umano, una differenza di grado fra le facolt| soggettive individuali e non di natura o essenza14. Con una certa acribia,

Séailles avvia una discussione tra umanit| e personalit| geniale: tra le due sfere non si verifica tanto una frattura quanto una

12 L. SCIASCIA, Alfabeto pirandelliano, Adelphi, Milano, 1989, pp. 49-50.

13 Cfr. G. SÉAILLES, Essai sur le génie dans l'art, Paris, Alcan, 1883; sull‟influenza di Séailles in Pirandello, cfr. anche

C. VICENTINI, L‟estetica in Pirandello, Mursia, Milano, 1970.

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contiguit|, che consente al genio di ‘mostrarsi’ come se fosse un naturale «a priori della realizzazione», insito in tutte le facolt| dell'uomo, con la capacit| di condurle al massimo grado della loro espansione.

Il genio è oggettivo, «e la bellezza vivente nelle sue leggi è divenuta potenza, una potenza regolata, capricciosa e feconda, capace di tutte le metamorfosi»15 e sottomessa alle sole leggi della

natura. Il genio è un fenomeno caratteristico dell'uomo ed è dunque necessario «studiare questa potenza creatrice in tutte le sue forme, sottolineare il suo ruolo nei diversi atti dell'intelligenza *<+ e della natura; mostrare infine come l'immagine gli permetta di affrancarsi, di esprimersi liberamente in una materia che non più gli resiste»16. La vita interiore delle immagini permette la

creazione del mondo spirituale che è l'universo dell'arte; essa si sostanzia nella sintesi geniale dei movimenti vitali e multiformi dello spirito. «Il genio, vivente unione fra lo spirito e le cose», conferma Franzini, «mostra dunque il passaggio incessante e insensibile della natura allo spirito e dello spirito alla natura, il legame fra soggetto e oggetto, fra la bellezza in noi e quella che realizza l'universo sensibile»17.

Séailles insiste sul concetto di genio come fecondità dello spirito; esso è capace di organizzare idee, produrre immagini,

15 G. SÉAILLES, op. cit., pag. VII. 16 Ivi, p. 3.

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decodificare segni in modo spontaneo, senza impiegare le strutture del logos, del pensiero riflessivo. L'attivit| spirituale costruttiva si impone, in primo luogo nella presenza sensibile, in quella sintesi di sensazioni tattili, visive, che costituiscono la vera e propria sensazione attraverso il corpo senziente. Il genio non è prerogativa specifica dell'arte ma appartiene a tutte le manifestazioni della vita: è un «bisogno d'essere» che viene espresso da tutte le metafisiche e da tutte le religioni, una neoplatonica identificazione fra armonia e bellezza che rivela un substrato metafisico. L'arte nasce da una sensazione che si origina nel nostro spirito attraverso immagini. L'immaginazione, quale facolt| «riproduttiva», generata dalla fusione con la memoria, testimonia la durata dello spirito e la continuit| temporale della vita.

Un ulteriore aspetto di considerevole importanza è che l'immagine non è una realt| inerte ma si prolunga in movimento; interviene, cioè, nel mondo delle forze attraverso azioni semoventi in cui confluiscono le energie proprie dello spirito. La vita stessa è caratterizzata dal movimento, dall'azione fisiologica, dal muoversi del corpo e dei suoi organi: in questo rapporto fra l'immagine, lo spirito e il movimento è contenuto il germe dell'arte. Grazie alle sue propriet| cinestetiche, l’arte crea immagini attraverso il movimento percettivo che si muove tra i segni e i simboli, rintracciabili nel vissuto e nell’esistente. Non si

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riduce, l’immagine, a «riproduzione passiva» delle cose: ha in sé la vita psicologica e sociale di chi immagina, le sue abitudini e le sue profonde emozioni in corrispondenze simboliche: le «cose» sono cariche di immagini e di metafore involontarie, «l'oggetto che contempliamo non è mai solo ma vive su uno sfondo, compreso in un quadro la cui bellezza dipende dalle ricchezze interiori e dal genio poetico che le ordina»18.

Così definita, l'immaginazione consente di allargare gli orizzonti della sensibilit|, costruendo realt| spirituali oggettive e autonome; è creativit| che possiede un Lebensgefühl, un «sentimento della vita» che si incardina con l’Erlebnis, il vissuto e i suoi oggettivi processi di formazione spirituale, seguendo una definizione esposta gi| da Dilthey19.

18 Ivi, p. 102.

19 Il concetto di Erlebnis, che approfondiremo più innanzi, era stato ampiamente trattato anche dal filosofo tedesco

Wilhelm Dilthey. Il «vissuto» è un‟esperienza interiore che consente all‟individuo di conoscere gli eventi, l‟oggetto e gli accadimenti storici secondo una esplicita finalità. Non atto conoscitivo isolato ma componente della vita psichica individuale che rimanda alla totalità, collegandosi organicamente con tutti gli altri atti e gli altri vissuti, in un rapporto di tipo dinamico: «La coscienza storica della finitudine di ogni fenomeno storico, di ogni situazione umana e sociale, […] è l‟ultimo passo verso la liberazione dell‟uomo. Con esso l‟uomo perviene alla sovranità di attribuire ad ogni

Erlebnis il suo contenuto e di darsi a esso completamente, con franchezza, senza il vincolo di nessun sistema filosofico

o religioso. La vita si libera dalla conoscenza concettuale e lo spirito diventa sovrano dinanzi alle ragnatele del pensiero dogmatico. Ogni bellezza, ogni santità, ogni sacrificio, rivissuti e interpretati, schiudono delle prospettive che rivelano una realtà. E così pure attribuiamo a tutto ciò che c‟è di malvagio, di temibile e di brutto in noi, un posto nel mondo, una realtà sua propria, che deve essere giustificata nella connessione del mondo: qualcosa su cui non ci si può illudere. E di fronte alla relatività si fa valere la continuità della forza creatrice come l‟elemento storico essenziale. Così

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