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La pubblicità comparativa: la Direttiva 97/55/CE e decreti attuativi.

Nel documento Regolamentazione della pubblicità online (pagine 46-49)

LA DISCIPLINA GIURIDICA APPLICABILE ANCHE ALLA PUBBLICITA’ IN RETE.

3.3 La pubblicità comparativa: la Direttiva 97/55/CE e decreti attuativi.

La pubblicità comparativa rappresenta quella modalità di comunicazione pubblicitaria che identifica e confronta le caratteristiche essenziali, pertinenti e verificabili, come ad esempio il prezzo, di almeno due prodotti o servizi che sono offerti da due o più imprese concorrenti e che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi.

L’esigenza di limitare il raffronto di aspri contenziosi tra imprese in situazione di concorrenza, basati su affermazioni prive di fondamento riguardanti le caratteristiche dei beni e/o servizi dalle medesime offerti, ed il bisogno di consentire l’uso della comparazione di beni o servizi allocati sul mercato nell’interesse dei clienti finali, ha indotto il legislatore comunitario prima ed il legislatore nazionale poi a stabilire la liceità di questa tecnica pubblicitaria.

Attraverso la pubblicità comparativa, quindi, un’impresa promuove beni o servizi confrontandoli con quelli di imprese concorrenti che possono essere identificati genericamente o specificamente

47 nell’ambito dell’azione pubblicitaria.

Quando il riferimento è generico, siamo nel caso della pubblicità comparativa indiretta: ad esempio, l’azienda afferma che le caratteristiche qualitative che caratterizzano i suoi prodotti non sono possedute da quelli delle aziende concorrenti.

Quando vi è uno specifico riferimento, invece, si è nel caso della pubblicità comparativa diretta: ad esempio, l’azienda nel messaggio pubblicitario fa esplicitamente riferimento ad una azienda concorrente, o inserisce elementi che sono inequivocabilmente riconducibili alla stessa. Da ciò si evince il carattere esplicito o implicito della pubblicità comparativa.54

Prima di essere introdotta in Italia con il d.lgs. del 25 febbraio 2000, n.67, questo tipo di pubblicità aveva creato non pochi problemi al legislatore nazionale. Una sua possibile disciplina era ravvisabile nell’art. 2598, n.2, che si riferisce al comportamento di chi “diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sulle attività di un concorrente, idonei a demeritarne il discredito”.

Infatti nell’ipotesi in cui il messaggio pubblicitario venga divulgato tramite un confronto con prodotti e servizi di uno o più concorrenti al fine di esaltare, sotto il profilo qualitativo ed economico, i propri rispetto agli altri, attribuendosi dei pregi esclusivi.

In mancanza di una normativa specifica, quindi, la pubblicità comparativa veniva considerata una tipologia di concorrenza sleale per denigrazione; per molto tempo l’opinione prevalente sia a livello di dottrina che a livello di giurisprudenza è stata quella di ritenere questa forma di pubblicità completamente inammissibile, perché, essendo stata ideata con l’obiettivo di far emergere dal confronto la superiorità dei propri prodotti rispetto a quelli dei concorrenti, la conseguenza era la denigrazione nei confronti di quest’ultimi, di cui peraltro venivano utilizzati i marchi e gli altri segni distintivi.55

Nel frattempo, negli Stati Uniti si era fatta largo una corrente di pensiero di stampo liberista-concorrenziale secondo la quale per poter

54GHIDINI G., LIBONATI B., MARCHETTI P., GHEZZI F., Concorrenza e Mercato, 2010, Milano, p.203.

48 accedere al mercato, il nuovo entrante aveva bisogno di far sapere al

suo target di riferimento quali fossero le caratteristiche dei prodotti che commercializzava rispetto a quelle dei prodotti già presenti nel mercato. Alla pubblicità di tipo comparativo veniva quindi riconosciuta la tutela del Primo Emendamento.

Questa tendenza influenzò profondamente il contesto europeo e la Commissione Europea, emanò la direttiva 97/55 del 6 ottobre 1997 con la convinzione, ormai divenuta comune, che : “La pubblicità comparativa può anche stimolare la concorrenza con i fornitori di beni e servizi nell’interesse dei consumatori”.56

E poi ancora, la stessa direttiva n. 97/55/CE sottolinea “ l’Obiettivo della pubblicità comparativa è quello di distinguere i prodotti ed i servizi dell’inserzionista da quello del suo concorrente………. inoltre essa può anche stimolare la concorrenza tra i fornitori di beni e servizi nell’interesse dei consumatori.”57

La direttiva, quindi, che è il frutto di una travagliata procedura elaborativa, ha lo scopo, di favorire questa forma pubblicitaria anche oltre i singoli mercati nazionali, contribuendo ad integrare ed a far funzionare efficientemente il mercato unico.

Essa ha come obiettivo sostanziale la trasparenza del mercato considerando sia la tutela degli interessi dei consumatori nel momento in cui stanno per acquistare un prodotto o usufruire di un servizio, che l’interesse delle imprese che vogliono difendersi da eventuali attacchi parassitari e denigratori che comprometterebbero l’immagine del brand aziendale.

Tutto questo viene perseguito fissando dei paletti quanto alle condizioni di liceità della pubblicità comparativa, destinati a valere uniformemente in tutto il mercato unico, escludendo, secondo quanto sancisce l’art. 7.2, che gli Stati Membri possano in alcun modo decretare condizioni di ammissibilità diverse, sia nel senso restrittivo che in quello permissivo. La direttiva muove dalla convinzione che la

56 considerando n. 6 della direttiva n. 114 Cfr. AUTERI P., La pubblicità

comparativa secondo la direttiva n. 97/55/CE.

57 FRIGNANI A., CARRARO W., D’AMICO G., La Comunicazione Pubblicitaria

49 pubblicità comparativa sia utile e possa essere ammessa in quanto

fornisca ai consumatori informazioni dotate di un certo grado di rilevanza per ciò che riguarda la scelta dei prodotti o dei servizi e non si risolva esclusivamente in un attacco ingiustificato ai concorrenti o in uno sfruttamento della loro notorietà. Essa, perciò, permette solo quel tipo di pubblicità che sia “trasparente” e contribuisca al corretto funzionamento del mercato e della concorrenza; così facendo, la direttiva ammette e considera lecita solo la pubblicità che rispetti quanto stabilito nell’art. 3 bis, che è rivolto ad assicurare che la comparazione non solo non nasconda tratti ingannevoli, ma si riferisca a caratteristiche di prodotto o servizio omogenei, che siano rappresentativi degli indici di gradevolezza del pubblico, e che debba essere condotta obiettivamente e in modo leale.58

Questa direttiva è stata attuata nel nostro paese attraverso il d.lgs. 25 febbraio 2000, n.67 che ha integrato il d.lgs. n. 74 1992 che faceva riferimento alla sola pubblicità ingannevole, dando luogo ad una legge comprensiva ora entrambe le fattispecie di pubblicità che prendono il titolo di “pubblicità ingannevole e comparativa.”

Tale legge dopo aver affermato che quando si parla di pubblicità si fa riferimento a “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualunque modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale”, finalizzata alla vendita di beni o alla prestazione di servizi, precisa che per pubblicità comparativa deve intendersi qualsiasi forma di pubblicità che identifichi esplicitamente o implicitamente un concorrente o bene o servizio offerti da un concorrente.59

Nel documento Regolamentazione della pubblicità online (pagine 46-49)