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Il quadro normativo di riferimento sui minori stranieri non accompagnat

2.1 Definire il “minore straniero non accompagnato”: un percorso in salita

La condizione giuridica del minore straniero non accompagnato è caratterizzata da una serie di norme non del tutto chiare, ambigue e variegate che hanno indotto a diverse interpretazioni. Gli operatori che si trovano a lavorare con questa categoria di minori riscontrano numerose difficoltà e dubbi sulla normativa da applicare e sulle sue modalità60. La confusione interpretativa, caratteristica della produzione normativa, è stata generata dalla presenza di molteplici disposizioni che non sono state raccordate in un’unica normativa e alcune volte sono state ritenute in contrasto tra loro. La complessità della materia, inoltre, è data dall’esistenza e dall’applicazione di numerose circolari, emanate da diverse autorità, utilizzate nella prassi, che facilitano, a livello nazionale, una serie di pratiche e politiche diversificate sia dal punto di vista giuridico che amministrativo.

Al fine di illustrare ed esplicitare meglio le criticità di una disciplina, ad oggi, carente in organicità, è necessario partire dall’analisi della definizione di minore straniero non accompagnato, la quale non è esente da interrogativi ed incertezze che riguardano principalmente l’individuazione della categoria stessa, cioè di chi è compreso nella definizione e chi ne è, invece, escluso. Come illustrerò più avanti, questa dinamica di inclusione/esclusione comporta il venir meno di alcune garanzie per una parte di minori che non appartenendo a tale categoria non godono degli stessi diritti di altri. Tale meccanismo iniquo, che volge a discapito di alcuni, non dovrebbe essere permesso, in quanto tutti i minori dovrebbero beneficiare di uguali tutele. Tuttavia, il fatto ulteriore che non esista una definizione univoca di minore straniero non accompagnato sia a livello nazionale che internazionale dimostra quanto la loro condizione sia articolata.

In ambito internazionale troviamo l’indicazione contenuta nel SCEP, Programma a favore dei minori separati in Europa, documento promosso da Save the Children e dall’ACNUR, in cui vengono definiti in questo modo:

“… i minori separati e adolescenti sono minori al di sotto di 18 anni di età, che sono fuori dal loro paese d’origine separati da entrambi i genitori o da un adulto che, per legge o per consuetudine, sia responsabile della sua cura e della sua protezione. Alcuni minori sono completamente soli, mentre altri potrebbero vivere con membri della famiglia allargata. Tutti questi sono minori separati ed hanno diritto ad una protezione

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internazionale sulla base di una vasta gamma di strumenti regionali ed internazionali. I minori separati potrebbero richiedere asilo per paura di persecuzioni, di conflitti armati o di disordini nel proprio paese, o potrebbero essere vittime di traffico sessuale o di altro tipo di sfruttamento, o potrebbero aver intrapreso il viaggio in Europa per sfuggire a situazioni di grave deprivazione.” 61

In questa definizione, tra le più diffuse in Europa, si parla per l’appunto di minori “separati” dai genitori, intendendo in questo modo che essi possono essere accompagnati da un adulto che non corrisponde al genitore e che potrebbe non essere in grado o non volersi assumere la responsabilità della cura dello stesso, lasciando il minore in una potenziale condizione precaria e rischiosa, bisognosa di protezione. Invece, secondo la Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 26 giugno 1997, essi vengono considerati

“….cittadini di paesi terzi di età inferiore ai 18 anni che giungono nel territorio degli Stati membri non accompagnati da un adulto in base alla legge o alla consuetudine e fino a quando non ne assuma effettivamente la custodia un adulto per essi responsabile”

oltre che i

“minori, cittadini di paesi terzi, rimasti senza accompagnamento successivamente al loro ingresso nel territorio degli Stati membri.”62

Utilizzando in questo caso l’attributo “non accompagnati”, il documento vuole comunque intendere che non tutti i minori non accompagnati arrivano da soli, bensì sussistono situazioni in cui essi passano il confine in compagnia o dei propri genitori o parenti considerati irregolari, per cui come inesistenti, oppure di adulti coinvolti nella tratta di minori. In verità, nessuno dei ragazzi solitamente si sposta completamente da solo, in quanto esiste quasi sempre una rete di relazioni che aiutano e in qualche modo sostengono il minore. Per cui queste definizioni cercano di considerare anche la situazione sociale del ragazzo non solo quella giuridica, prestando attenzione alle reali dinamiche e spostamenti intrapresi dai minori e ai corrispettivi bisogni che ne conseguono. Dall’ampiezza di tali definizioni, è possibile constatare come non esista tuttavia una sola che congiunga i vari pensieri. Inoltre notiamo che in queste definizioni sono compresi anche i minori stranieri richiedenti asilo, a differenza, come verrà chiarito in seguito, della legislazione italiana in cui questi invece vengono esclusi.

61 O. Salimbeni, op. cit., pp. 34-35. 62 Ibidem, p.35.

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Riguardo all’ambito nazionale, la condizione giuridica dei minori non accompagnati può essere tratta principalmente dall’art. 1. Comma 2 del DPCM 535/1999, decreto che istituisce, attraverso l’art. 33 del Testo Unico sull’Immigrazione n. 286/1998, il Comitato Minori Stranieri e ne definisce le sue funzioni; esso intende per minore straniero non accompagnato:

“il minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri Stati della Unione Europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano”

La definizione, ispirata alla stessa Risoluzione dell’Unione Europea del 1997, è stata oggetto di varie interpretazioni che hanno reso problematiche le procedure e le pratiche delle politiche locali e nazionali pensate a favore di questi minori. La situazione è stata complicata da una serie di circolari, che ricordiamo non hanno valore giuridico, e dalle Linee guida, emanate entrambe dal Comitato Minori Stranieri, che hanno creato dubbi ed incertezze su quali soggetti appartengono a tale categoria e si possono definire “non accompagnati”.

Il dubbio interpretativo ha riguardato principalmente la questione dell’affidamento dei minori a parenti entro il quarto grado, affidamenti che secondo la legislazione italiana63 vengono attuati in modo spontaneo, senza provvedimento formale ai Servizi Sociali e all’autorità giudiziaria, sempre che si tratti di un parente entro il quarto grado regolarmente soggiornante in Italia e che l’affidamento sia stato voluto e pattuito con i genitori titolari della potestà. Si suppone, dunque, che in questo tipo di affido l’esercizio della responsabilità genitoriale rimanga in capo ai genitori originali e di conseguenza il minore diviene “accompagnato”.

In conclusione, una prassi consolidata in giurisprudenza64 ha stabilito che i minori stranieri privi di genitori ma sottoposti a tutela o destinatari di un affido familiare, consensuale o giudiziale, oppure affidati dai genitori a parenti entro il quarto grado, e infine minori che abbiano genitori in Italia ma irregolari, di fatto sono da intendersi come non rientranti in questa categoria, dunque da considerarsi “accompagnati”.

Appartenere o meno alla definizione suddetta implica delle differenziazioni tra minori che, invece di essere trattati tutti allo stesso modo, vengono discriminati in base a dei criteri stabiliti da questo

63 E. Fiorini, I minori stranieri non accompagnati, tra diritto e prassi amministrative in Nuove esperienze di giustizia minorile, numero

unico, 2013, p. 67.

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articolo. Ad esempio, nella disposizione analizzata ora non vengono inclusi i minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo, dal momento che tali minori godono di un trattamento diverso, seguendo un percorso a parte: la loro competenza spetta ad un organo diverso dal Comitato Minori Stranieri e inoltre ricevono un differente permesso di soggiorno.

Un’altra criticità riscontrata consiste nella definizione del concetto di “minore età”, sottoposto anche in questo caso a diverse interpretazioni talora fuorvianti. La questione consiste nel stabilire in base a quale legislazione, quella del paese di appartenenza del minore o quella del paese di destinazione, il soggetto debba considerarsi di minore età. L’art. 42, comma 2, della legge 218/95 che richiama la Convenzione dell’Aja sulla Protezione dei Minori del 1961, stabilisce in definitiva che “debbono essere considerati minori anche quei soggetti, che pur avendo compiuto il diciottesimo anno di età sono ancora considerati minori dalla legge del loro paese di provenienza”65. Nel caso contrario in cui il soggetto in questione venga considerato maggiorenne in base alla sua legge nazionale ma non ha ancora 18 anni, per il nostro sistema normativo egli continua ad essere ritenuto minorenne.

Come si può rilevare, quella del minore straniero non accompagnato è una categoria caratterizzata e connotata da diverse condizioni: quella di essere minore, quella di essere straniero e quella di essere non accompagnato. Quando si parla di “minore” ci si riferisce a un soggetto che necessita di una tutela, cura particolare e di una guida adulta, mentre con il termine “non accompagnato” si delinea un soggetto privo di riferimenti familiari in Italia, che non possiede la protezione di un adulto che si assuma la responsabilità del suo accudimento. Quest'ultima condizione implica, per il minore, il fatto di prendere delle difficili decisioni in autonomia senza il supporto, l’aiuto e il confronto con una figura adulta e matura che teoricamente può indirizzarlo verso una scelta più giusta. I rischi a cui sono esposti questi minori possono essere molto elevati, in quanto lasciano il minore in una situazione di vulnerabilità, dal momento che si dovrà confrontare e dovrà risolvere problemi di quotidiana sussistenza in solitudine. Il carattere di “straniero” invece richiede di dirigere la posizione del minore verso un contesto per certi versi estraneo alla sua condizione principale.

Queste tre diverse componenti formano una definizione frammentata ed ambivalente dal momento in cui ad ogni componente, e soprattutto le prime due, corrisponde una disciplina diversa, rendendo di fatto la condizione del minore molto complessa. Infatti il trattamento giuridico del minore straniero non accompagnato è la soluzione della combinazione di due principali legislazioni: la prima è la condizione giuridica di essere minore, la quale comporta il diritto ad una serie di garanzie che

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tutelano il minore riconoscendo la sua figura come bisognosa di maggiore protezione. La seconda, di segno opposto, è la normativa inerente gli stranieri, improntata maggiormente ad una logica securitaria e di controllo, che viene applicata soprattutto dal momento in cui questo tipo di fenomeno rientra nella sezione dell’immigrazione irregolare poiché molti di questi minori entra in Italia in modo clandestino. La disciplina dell’immigrazione non concepisce il soggetto straniero come meritevole di tutele ma tende verso politiche repressive, soprattutto al fine di controllare e gestire la clandestinità. Questa doppia condizione che si sovrappone è composta da un primo registro considerato di favore e l’altro ritenuto di sfavore: essi non sono compatibili, dal momento che il primo implica il godimento di diritti universali, mentre il secondo tende verso l’esclusione da una serie di diritti considerati fondamentali, quali quelli civili e sociali, discendenti dal possesso di una determinata cittadinanza. Esiste un confine sottile e labile tra l’inclusione e l’esclusione di tali soggetti e tale dinamica si riversa poi a livello sociale in quanto nella quotidianità e nella prassi i loro diritti non sempre prevalgono.

Dunque la posizione giuridica del minore straniero non accompagnato si complica ulteriormente dal momento che manca una disciplina unica in materia, composta da principi condivisi e fortemente improntati alla protezione del minore e viene meno un’armonizzazione tra la normativa sull’immigrazione e quella relativa la minore, riguardante principalmente la sua cura e assistenza. In teoria l’interesse del minore dovrebbe prevalere sulla sua condizione di straniero; nella pratica, tuttavia, riscontriamo situazioni in cui l’autorità competente privilegia il trattamento giuridico del minore in quanto straniero e di conseguenza i diritti garantiti al minore vengono continuamente messi in discussione. Ad esempio nel caso del “rimpatrio assistito” o nel caso del rilascio del permesso di soggiorno alla maggiore età. Affronteremo queste questioni più avanti.

Questa complessità non favorisce una prassi omogenea tra le varie politiche locali e soprattutto non garantisce al minore la tutela a lui riconosciuta, in quanto viene a crearsi una situazione confusionaria e il diritto diviene uno strumento di protezione debole e distaccato dalle reali problematicità incontrate da questi ragazzi e dalle autorità operanti in questo settore.

Si formano così delle “appartenenze giuridiche multiple”66 che comportano un intervento “multiplo”, da parte di diverse autorità, quella giuridica e quella amministrativa, oltre al coinvolgimento opportuno dei Servizi Sociali. Il percorso di presa in carico, di protezione e

66 M. Giovannetti, Le politiche e le pratiche locali di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati in Italia in Minori Giustizia, 3,

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d’integrazione non è sempre del tutto efficace per il minore oggetto di tutela, dipendendo da vari partecipanti.

2.2 La legislazione internazionale e nazionale di riferimento

2.2.1 Gli accordi internazionali

A livello internazionale il minore è destinatario di diritti e tutele universali proclamati in diversi accordi e convenzioni.

La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia di New York del 1989, recepita in Italia con la legge n. 176/91, è di fondamentale importanza in questo ambito: in essa vengono proclamati e riconosciuti al minore una serie di diritti fondamentali; ad esempio, il diritto all’uguaglianza, alla salute, all’istruzione e alla formazione, al tempo libero, ad avere un nome e una cittadinanza, all’informazione. Questi diritti derivano da altrettanti principi di notevole importanza ed incidenza, come il principio di non discriminazione che afferma la tutela del minore senza distinzione alcuna di razza, religione, provenienza, età o genere (art.2); oppure il principio secondo il quale al minore deve essere riconosciuto pienamente il diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo (art.6). Difatti di notevole importanza è il principio in base al quale ogni Stato firmatario deve garantire ad ogni minori un buon sviluppo psicofisico e la possibilità di vivere e crescere all’interno della propria famiglia, considerata un nucleo positivo, sano e naturale per il suo sviluppo.

Il principio più rilevante contenuto in questa Convenzione si trova all’art. 3, comma 1 che recita:

“In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.”67

Preminente è l’interesse del minore ritenuto superiore a qualsiasi altro, dunque anche a quelli dello Stato, del potere economico o politico: ogni disposizione di legge deve dare peso necessariamente a

67 R. Ricciotti, M. Montanari, L. Ventaloro, La tutela e il controllo dei minorenni. Compendio ragionato delle disposizioni vigenti,

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questo principio e, perciò, provvedimenti riguardanti, ad esempio, l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato passano inevitabilmente in secondo piano.

Da quanto detto possiamo ricavare che l’interesse principale del minore corrisponde alla sua tutela, al suo diritto ad avere una famiglia e al suo benessere globale inteso come sviluppo di tutte le parti della sua persona, quindi dal punto di vista “fisico, mentale, spirituale, morale e sociale” (art. 27). Per questo ogni Stato è tenuto a portare avanti e a mettere in atto politiche e azioni che garantiscano ai minori i suddetti diritti definiti.

Tale principio viene ripreso dall’art. 28 del Testo Unico n. 286/98 che afferma al comma 3

“In tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'articolo 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176.”

Un'altra innovazione insita nella Convenzione consiste nel fatto che il minore non viene più considerato solo come oggetto e ricettore di tutela, garantito dal diritto, bensì come soggetto attivo poiché anche la sua opinione viene ritenuta meritevole di essere ascoltata e presa in considerazione; l’obbiettivo è quello di accompagnare il soggetto verso la partecipazione attiva e soprattutto verso l’autonomia, attraverso l’attribuzione del pieno diritto ad essere ascoltato, informato e ad esprimere liberamente la propria opinione, essendo considerato capace di tutto ciò. (art. 12)

La Convenzione dell’Aja sulla Protezione dei Minori del 1961, (per esteso Convenzione concernente la competenza dell’autorità e la legge applicabile in materia di protezione dei minori) aveva definito, in materia di minori, quali sono i soggetti istituzionali competenti e qual è la legge da applicare in questi casi. Secondo la legge italiana n. 742/80 di recepimento della Convenzione stessa, lo Stato ritenuto responsabile della tutela del minore, anche nei casi di urgenza, ad esempio quando il minore “è minacciato da un pericolo serio alla sua persona o ai suoi beni” (art. 8), è lo Stato di residenza abituale del minore, che opera sia attraverso le autorità amministrative che quelle giudiziarie. La Convenzione inoltre stabilisce che essa deve essere applicata a tutti i minori ritenuti tali dalla legislazione interna sia del loro Stato di appartenenza che dello Stato di abituale residenza

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(art. 12). Per cui con questa disposizione si intende comprendere anche quei minori stranieri non accompagnati che entrano e permangono nel territorio italiano in modo irregolare.

2.2.2 Le norme applicabili a livello nazionale

2.2.2.1 La Costituzione italiana

Nonostante l’ordinamento italiano garantisca il massimo della protezione e tutela, tuttavia, come già accennato in precedenza, il quadro normativo risulta piuttosto frammentato ed eterogeneo se si vuole applicare alla categoria trattata una serie di leggi e diritti, e se si vogliono portare avanti politiche ed interventi a loro favore. Ogni tappa dell’accoglienza del minore prevede una disciplina da applicare, così come ogni autorità ha la sua competenza, a volte con delle perplessità anche per questa corrispondenza.

La Costituzione italiana afferma e riconosce molteplici principi fondamentali ed appropriati ai minori stranieri non accompagnati, alcuni dei quali previsti in base alla loro condizione non di essere minori o stranieri, bensì di esseri umani a cui vengono riconosciuti diritti essenziali ed universali: principalmente, l’art.2 e 3 riconoscono a tutti diritti inviolabili, come ad esempio, l'eguaglianza e la libertà di ogni cittadino, principi che non possono passare in secondo piano neanche per esigenze di ordine pubblico. Oltre a questi, il documento stabilisce una serie di diritti specifici per la categoria dei minori che garantiscono al soggetto la sua protezione, lo sviluppo della sua personalità, il diritto a vivere in un ambiente sano, assegnando alla famiglia il compito di tutela e guida. Si sono previste, in questo caso, forme di assistenza e sostegno alla famiglia del minore da parte dello Stato italiano, al fine di favorire la crescita del minore all’interno del proprio nucleo, nei casi in cui quest’ultimo riscontrasse difficoltà dal punto di vista economico o fosse soggetto a situazioni di indigenza tali da compromettere lo sviluppo psicofisico del minore. L’identità, la formazione e lo sviluppo armonioso del soggetto in età evolutiva sono da preservare in ogni caso, per cui in situazioni in cui la famiglia non possiede le capacità per perseguire tale fine, devono essere presi dei provvedimenti che garantiscano la sua protezione.

La nostra Costituzione è un documento essenziale e di considerevole significato che necessita di essere maggiormente preso in considerazione ed applicato.

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Le basi non solo per la tutela dei minori stranieri non accompagnati ma anche per la loro accoglienza ed integrazione sono contenute in varie disposizioni legislative, in particolare nel Codice Civile e nel Testo Unico sull’Immigrazione n. 286 del 1998, e successive modifiche.

2.2.2.2 La legislazione inerente l’immigrazione dagli anni 1990 ad oggi

I primi accenni ai minori stranieri non accompagnati all’interno della normativa italiana si possono rinvenire a partire dagli anni 1990, nella legge Martelli n. 39/90 la quale contiene due sole norme destinate ai minori e nomina per la prima volta il termine “minore non accompagnato”. Tuttavia, manca una legislazione specifica per la categoria, in quanto il fenomeno in Italia sta appena emergendo, per cui la giurisprudenza non è preparata in merito e non è capace di definire, affrontare e gestire una presenza che comincia ad essere sempre più consistente. Non essendoci delle disposizioni specifiche e certe, le prassi giudiziarie ed amministrative non sono affatto omogenee e prevale la tendenza ad espellere i minori stranieri.

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