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Il quadro storiografico: il colonato

Il quadro storiografico: il colonato

Nella documentazione relativa alle campagne toscane dei secoli XII e XIII sono attestati diversi tipi di legami di dipendenza personale (o almeno formalmente tali) attraverso i quali dei coltivatori erano subordinati ai proprietari. La storiografia ha dedicato molta attenzione a uno di questi, cioè quello colonario, ma ve ne sono altri due: uno è quello che si può chiamare ‘feudalità rustica’, cioè la definizione in termini feudali della subordinazione di un concessionario coltivatore nei confronti del concedente, mentre l’altro è la comandisia, cioè il rapporto che si instaura fra un signore e una persona che viene a stabilirsi in un territorio soggetto al suo dominio signorile, chiedendone la protezione in cambio di un tributo, in genere in pepe o in cera. Come vedremo meglio a cominciare dal colonato, tutte queste tre forme vengono utilizzate come strumenti del dominio signorile. Mi sembra opportuno evidenziare subito la differenza principale che distingue i primi due legami dal terzo: consiste nel fatto che i primi due comportano sempre una concessione fondiaria, che è invece in genere assente nella comandisia. Nella documentazione che ho esaminato per questa ricerca le

comandisie sono poche e tutte concentrate nella signoria guidinga di Loro, per cui mi

occuperò quasi esclusivamente del colonato e della ‘feudalità rustica’. Poiché, come ho appena detto, fra queste tre forme di dipendenza la storiografia si è occupata soprattutto del colonato, in questo paragrafo farò riferimento solo agli studi dedicati a questo fenomeno.

71 I

1 – I contenuti istituzionali del colonato

A partire dal secolo XII compaiono in Toscana delle testimonianze di relazioni fra concessionari e proprietari che non consistono semplicemente in rapporti di locazione, ma comportano degli obblighi di dipendenza personale dei primi nei confronti dei secondi: mi riferisco a quelle situazioni in cui il concessionario è chiamato

colonus, manens, villanus, o con qualche altro termine che risulta in pratica sinonimo di

questi.72 Voglio precisare subito che riferendomi ad una persona che si trova in questa condizione io userò sempre il termine generico ‘colono’, e con il termine ‘colonato’ indicherò sempre e soltanto questa medesima condizione; in questo modo intendo evitare tutte le ambiguità legate alle espressioni ‘servo della gleba’, ‘servitù’ e ‘servaggio’, il cui uso renderebbe opportuno un ampio discorso introduttivo sulla collocazione del colonato dei secoli XII e XIII all’interno del quadro complessivo delle forme di dipendenza personale nel corso dell’intero Medioevo, cosa che mi porterebbe troppo lontano dai problemi specifici che mi interessano. Il tratto distintivo più evidente del colonato consiste nel fatto che il colono è un concessionario il quale, pur essendo giuridicamente libero, è legato in modo perpetuo ed ereditario alla terra ricevuta in concessione, e non può abbandonarla legittimamente di propria iniziativa. Ma gli studi di Wickham e di Collavini hanno messo in evidenza il fatto che in Toscana fra i doveri che definiscono il colonato vi sono anche degli obblighi di natura pubblica nei confronti del concedente, che dunque si presenta come il signore del colono: si tratta del placitum, del districtum, dell’albergaria e, in alcuni casi, di servizi militari. È importante chiarire bene un punto: secondo Wickham e Collavini, questi obblighi signorili che essi hanno rilevato gravare sui coloni non sono elementi giustapposti ai loro doveri caratteristici, ma al contrario, almeno in certe aree della Toscana, sono parte dei fattori costitutivi della loro condizione di dipendenza. Questo accade soprattutto nel territorio lucchese, in quello fiorentino e in quello aretino (in quest’ultima area assumono particolare rilievo gli obblighi militari).73 E proprio in uno studio sui coloni della Lucchesia nel secolo XII

72

SIMONE M. COLLAVINI, Il ‘servaggio’ in Toscana nel XII e XIII secolo: alcuni sondaggi nella

documentazione diplomatica, in «Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge», CXII (2000), II: La servitude dans les pays de la Méditerranée occidentale chrétienne au XIIe siècle et au-delà: déclinante ou renouveleé?, Actes de la table ronde de Rome (8 et 9 octobre 1999) pp. 775-801. Questo testo è stato

pubblicato anche in rete: <http://fermi.univr.it/RM/biblioteca/scaffale/Download/Autori_C/RM- Collavini-Servaggio.zip> (letto in data 14/10/2004; URL controllato in data 21/10/2006). Per i termini usati in Toscana nella designazione di questo tipo di concessionari si veda a p. 6 del testo nella versione in rete. Tutte le citazioni che farò si riferiranno all’edizione in rete.

73 Per un’ampia sintesi su tutto il problema della dipendenza personale dei contadini nel Medioevo si veda

(indicati nelle fonti con il termine manentes), in considerazione degli obblighi signorili che gravano su di loro in quanto coloni, Wickham ha definito la loro condizione come “un tipo di rapporto signorile a piccolissima scala”;74 quest’idea è stata ripresa da Collavini nel suo studio sul colonato in Toscana, nel quale egli afferma che la presenza di questo tipo di rapporto nella regione era “frutto in primo luogo dell’applicazione dei rapporti signorili a singoli individui e gruppi famigliari, autonomamente dai quadri più ampi costituiti dalla signoria fondiaria e da quella territoriale”.75 Non si tratta peraltro di un fenomeno esclusivamente toscano: Sandro Tiberini ha osservato che anche nell’Umbria settentrionale la categoria di dipendenti definita in termini colonari è soggetta al datium e all’albergaria.76

Wickham attribuisce dunque un ruolo qualificante alla presenza degli oneri signorili nel quadro generale degli obblighi colonari, e Collavini mostra come questi doveri di tipo pubblico non siano una peculiarità lucchese ma si trovino in varie parti della Toscana: si tratta dunque di un’interpretazione del colonato che mette questo fenomeno storico in stretta relazione con la signoria, e che mi pare sufficientemente convincente per poter essere assunta come uno dei punti di riferimento concettuali della mia ricerca. È però necessario segnalare subito una difficoltà che non può essere in alcun modo aggirata: l’esame della documentazione rivela che non per tutti i coloni sono attestati obblighi di natura pubblica nei confronti del proprietario concedente, e se è vero che vi sono casi in cui appare ragionevole supporre che tali obblighi comunque esistano, è però altrettanto vero che quest’ipotesi non è generalizzabile in modo aprioristico. Quindi, si può affermare che la condizione di un colono è una forma di soggezione signorile soltanto quando gli obblighi signorili del colono stesso (come

Torino, Paravia, 1999: sul colonato v. pp. 111-115, pp. 203-240 (tutte dedicate alla Toscana), e pp. 271- 275. Di Wickham si veda CHRIS WICKHAM, Manentes e diritti signorili durante il XII secolo: il caso

della Lucchesia, in Società, istituzioni, spiritualità. Studi in onore di Cinzio Violante, 2 voll., Spoleto,

Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 1994, vol. II, pp. 1067-1080: per l’indicazione degli obblighi signorili v. p. 1068; e ID., La sign. rur. in Toscana, cit.: sui coloni si vedano le pp. 396-401; l’elenco degli oneri signorili è a p. 396; per gli obblighi militari in particolare v. p. 398. Si veda anche COLLAVINI, Il

‘servaggio’, cit., pp. 9 e 12; Collavini fa riferimento agli oneri signorili in modo generico, ma menziona

gli obblighi militari (p. 12). Si osservi che Wickham, nel saggio sui manentes della Lucchesia, indica gli obblighi signorili come tipici di questa categoria di dipendenti, mentre Collavini, nel testo appena citato, dichiara che sono pochi i casi in cui tali obblighi sono attestati per i manentes lucchesi (p. 12). Non ho il tempo di indagare il motivo di questa discordanza, e dunque mi limito a segnalarla.

74 W

ICKHAM, Manentes, cit., p. 1079.

75 C

OLLAVINI, Il ‘servaggio’, cit., p. 9.

76

SANDRO TIBERINI, Le signorie rurali nell’Umbria settentrionale. Perugia e Gubbio, secc. XI-XIII, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi, 52, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1999, pp. 194-196. Tiberini ha studiato le dinamiche dello sviluppo e dell’evoluzione della signoria, nonché le condizioni di dipendenza personale, in un contesto che presenta forti analogie con l’area subregionale in cui si trovano i castelli che ho preso in esame, ragione per cui farò più volte riferimento al suo libro.

elementi della sua condizione di dipendenza personale) sono documentati o ipotizzabili sulla base di fondamenti solidi. Le affermazioni di Wickham e di Collavini circa il rilievo degli obblighi signorili nella condizione dei coloni, sebbene fondate su una documentazione consistente, costituiscono dunque delle generalizzazioni che devono essere verificate caso per caso. Questa constatazione impone la massima attenzione per le differenze che si possono rilevare nell’ambito delle condizioni di dipendenza dei coloni; mi pare dunque che sia il caso di riformulare in relazione all’intero problema del ruolo degli obblighi signorili, in quanto elementi della condizione dei coloni, il dubbio che Collavini ha espresso circa i loro oneri militari, ben documentati per i coloni del territorio aretino ma in genere non presenti nel resto della Toscana, cioè se vi siano delle differenze reali o se quelle che la documentazione presenta come tali siano soltanto il prodotto delle caratteristiche della documentazione stessa.77

2 – Le origini del colonato e il rapporto con la signoria

Attualmente vi è consenso fra gli studiosi circa l’idea che la condizione dei coloni dei secoli XII e XIII non rappresenti l’evoluzione di quella dei servi (nel senso specifico di dipendenti giuridicamente non liberi) dell’alto Medioevo, nonostante il fatto che entrambe queste categorie di persone siano accomunate da un elemento di importanza primaria, e cioè il fatto di essere soggette a un vincolo di dipendenza personale perpetuo ed ereditario; pare infatti che in Toscana i dipendenti non liberi siano sostanzialmente scomparsi all’incirca all’inizio del secolo XII, e che il colonato costituisca un fenomeno storico nuovo.78 E sono proprio la soluzione di continuità rispetto ai non liberi del periodo precedente e la presenza degli obblighi signorili fra gli oneri imposti ai coloni che inducono a considerare il colonato dei secoli XII e XIII come un aspetto dello sviluppo signorile; Wickham infatti osserva che “se manentes e

villani erano semplicemente ex servi, il loro status dev’essere considerato parte delle

condizioni della dipendenza rurale in generale; mentre se la loro soggezione era in qualche maniera il prodotto della localizzazione del potere signorile, allora essi possono essere visti come un fattore direttamente indicativo della natura di tale potere”, e conclude appunto affermando di ritenere che “gli obblighi imposti a questo strato

77 C

OLLAVINI, Il ‘servaggio’, cit., p. 12.

78 P

ANERO, Schiavi, cit., pp. 111 e 236; WICKHAM, Manentes, cit., pp. 1070-1074 e ID., La sign. rur. in

sociale siano derivati dalla signoria”.79 Vi è un sostanziale accordo anche sulle cause che hanno prodotto questa nuova forma di dipendenza personale: Wickham ha sintetizzato questi motivi scrivendo che la dipendenza colonaria fu imposta “sia come misura per contrastare la frammentazione della proprietà fondiaria attraverso l’aggravamento del controllo sugli individui, sia per impedire loro di trasferirsi nelle città, sia come mera conseguenza della politica di potere signorile”.80 L’ultimo dei motivi menzionati da Wickham richiama ancora una volta il ruolo del colonato come forma di signoria. Secondo Collavini questo elemento ha addirittura un ruolo primario nella creazione dei vincoli colonari: egli infatti dichiara che “è anzi probabile che l’imposizione del ‘servaggio’ risulti normalmente funzionale all’esercizio dei poteri signorili”.81

Ritengo che a questo punto sia opportuno accennare brevemente al rapporto fra il colonato e lo sviluppo signorile considerato nel suo complesso, dato che l’esame di questo rapporto avrà un certo rilievo nel corso della mia ricerca. Si tratta di un problema sul quale le posizioni di Wickham e di Collavini non coincidono perfettamente. A questo proposito Wickham scrive:

“sembra che l’introduzione di un controllo stretto e prepotente su questo specifico strato di coltivatori dipendenti sia stata un’alternativa al potere territoriale signorile, o anche alle più comuni forme di signoria fondiaria, che avrebbero incluso tutte le categorie di dipendenti ma che non sarebbero state necessariamente così autoritarie: i contadini sottoposti ad un generalizzato controllo signorile, in

particolare, non erano obbligatoriamente vincolati alla terra”.82

Egli aggiunge inoltre che in Toscana le zone nelle quali si diffonde il colonato sono quelle in cui i poteri signorili risultano più forti,83 il che significa che almeno in certe aree quei poteri assumono prevalentemente la forma della dipendenza colonaria. Anche Collavini concepisce il colonato come un’alternativa alle altre forme di signoria, e in particolare alla signoria territoriale, ma afferma che i signori ricorrono al colonato

79 W

ICKHAM, La sign. rur. in Toscana., cit.; entrambe le citazioni sono tratte da p. 398. Quest’idea di Wickham è recepita in PROVERO, L’Italia, cit., p. 188.

80 W

ICKHAM, La sign. rur. in Toscana, cit., p. 397. Sulle cause si vedano anche PANERO, Schiavi, cit., pp. 111-115, 220 e 234-240 e COLLAVINI, Il ‘servaggio’, cit., p. 4: Collavini fa riferimento, come fattore che metteva in pericolo la soggezione dei contadini, al più generale “contesto dei sommovimenti dovuti alla crescita economica complessiva e allo sviluppo dei centri urbani”.

81 C

OLLAVINI, Il ‘servaggio’, cit., p. 12; sulla Toscana centrale in particolare v. p. 14. Sul colonato come forma di signoria si veda anche PANERO, Schiavi, cit., pp. 113, 114, 214-215.

82 W

soltanto laddove non riescono a instaurare delle signorie forti;84 quando invece questo accade il colonato non si sviluppa, come nel caso della Maremma, nella quale Collavini constata “uno stretto nesso tra forza della signoria territoriale e scarsa incidenza del ‘servaggio’”.85 In un altro saggio poi egli dichiara in modo più generale, citando come esempio un caso laziale della metà del secolo XIII, che “nelle situazioni in cui il potere signorile, soprattutto se territoriale, era invece pienamente egemonico, perché fondato su un’oggettiva e indiscutibile superiorità economica e sociale, non era necessario sottolineare lo status di manentes di contadini che non pensavano neppure a emigrare o evadere dalla struttura signorile”,86 ammettendo comunque che “nelle aree di signoria forte […] manentia e colonato, in quanto figure giuridiche precisamente definite, potevano avere un ruolo secondario”.87 Nonostante questa sfumatura l’idea di Collavini è chiara: se vi è una signoria territoriale veramente forte, i signori non hanno bisogno della dipendenza colonaria. Dunque le posizioni di Wickham e di Collavini non coincidono del tutto, ma in effetti non mi sembra che siano opposte come potrebbe apparire a prima vista. Credo che questa differenza derivi dal fatto che Wickham non ha preso in considerazione in modo abbastanza approfondito la Maremma, e tanto meno ha effettuato paragoni con le signorie laziali, mentre Collavini ha condotto studi specifici proprio sulla Maremma. Se si tiene conto di questo, è evidente che le affermazioni di Wickham e di Collavini risultano integrabili in un’unica conclusione che può essere formulata in questo modo: nella situazione generale della Toscana (a parte la Maremma) il colonato è stato lo strumento che ha consentito di imporre dei diritti signorili con una certa forza, ma se si esce da quel quadro di signoria mediamente debole, allora si osserva che una signoria territoriale forte si impone senza ricorrere al colonato.

Wickham e Collavini hanno dunque mostrato in maniera convincente come il colonato possa rappresentare una forma di signoria. Si deve però ricordare che, come ho detto sopra, vi sono casi di coloni per i quali la presenza di obblighi signorili come elementi della loro condizione di dipendenza è quanto meno dubbia, ragione per cui è

83 Ivi, p. 400. Quest’idea è già presente, sebbene in modo meno esplicito, in I

D., Manentes, cit., p. 1080.

84

COLLAVINI, Il ‘servaggio’, cit., p. 8

85 Ivi, p. 14. 86 I

D., La condizione dei rustici/villani nei secoli XI-XII. Alcune considerazioni a partire dalle fonti

toscane, in La signoria rurale in Italia nel medioevo, Atti del II Convegno di studi (Pisa, 6-7 novembre

1998), Studi Medioevali, 11, Pisa, ETS, 2006, pp. 331-384: p. 371. Nella sua forma definitiva, questo saggio è stato completato nel luglio 1999 (v. p. 383).

87 Ivi, p. 382. Nel caso delle signorie laiche dell’Umbria settentrionale, Tiberini afferma che il ricorso al

necessario affrontare il problema storico del colonato con una particolare attenzione alle differenze rilevabili fra i vari complessi di obblighi che definiscono la situazione dei singoli coloni.

Vi sono invece posizioni radicalmente diverse sulla questione del modo in cui si acquisiva la condizione di colono, cioè se questo legame di dipendenza derivasse necessariamente da un contratto scritto (è l’idea di Francesco Panero) o dalla consuetudine (come afferma Collavini). Iniziamo dalla posizione di Panero. Egli sostiene che all’origine della condizione colonaria vi è sempre un contratto scritto, che definisce la dipendenza dei coloni dei secoli XII e XIII riprendendo i termini di quella dei coloni tardoantichi, codificata dal Corpus iuris civilis. Nel suo libro del 1999, Panero dedica ampio spazio alla posizione dei giuristi che nel secolo XIII hanno riflettuto sui coloni del loro tempo, ed è evidente che egli ritiene che la necessità di un contratto per sancire la dipendenza colonaria, affermata in genere dai civilisti – ma i canonisti erano di parere diverso – sia stata pienamente recepita dalla società, fino al punto di realizzare, su questo punto, una totale coincidenza fra teoria giuridica e realtà pratica.88 Di diversa opinione è invece Collavini, il quale ritiene che la condizione dei coloni sia in genere il prodotto non di un contratto scritto ma della consuetudine, anche se poteva accadere che in alcuni casi all’origine della dipendenza di un colono vi fosse effettivamente un contratto di questo tipo.89 Anche Emanuele Conte, che ha studiato in particolare gli aspetti specificamente giuridici del colonato dei secoli XII e XIII, condivide l’idea che il diritto romano giustinianeo sia stato usato per formalizzare una dipendenza consuetudinaria;90 del medesimo parere è inoltre Carmelo Tavilla, che ha condotto uno studio sull’hominicia, una condizione personale i cui contenuti non sono determinati in modo chiaro e univoco, ma che ha in comune con il colonato il carattere nell’impossibilità di costruire delle dominazioni territoriali: si veda TIBERINI, Le signorie rurali, cit., p. 66.

88 P

ANERO, Schiavi, cit., pp. 112, 184, 216-221 e 230-240. Il medesimo concetto è espresso inID., Le

nouveau servage et l’attache à la glèbe aux XIIe et XIIIe siècles: l’interprétation de Marc Bloch et la documentation italienne, in «Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge», CXII, (2000), II: Les formes de la servitude: esclavages et servages de la fin de l’Antiquité au monde moderne, Actes de la

table ronde de Nanterre (12 et 13 décembre 1997) pp. 551-561: in particolare v. p. 556.

89 C

OLLAVINI, Il ‘servaggio’, cit., pp. 2-3 e 10.

90 E

MANUELE CONTE, Servi medievali: dinamiche del diritto comune, Ius nostrum, 21, Roma, Viella, 1996, pp. 98, 104-111 e 149. Quest’opinione è ribadita in ID., Declino e rilancio della servitù: tra teoria e

pratica giuridica, in «Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge», CXII, (2000), II: La servitude, cit., pp. 663-685; riferendosi a una disputa relativa alla condizione di un uomo che negava di

essere un colono, circa il fatto che il proprietario fondiario non aveva atti scritti utilizzabili per provare la condizione colonaria del suo dipendente Conte scrive: “è naturale che l’attore non disponesse di queste duplici scritture, né tantomeno i suoi antenati avevano pensato a farle redigere dagli antenati del convenuto” (p. 670).

perpetuo ed ereditario e che, secondo Tavilla, “raccoglie all’interno della sua figura, senza esaurirle, le molteplici forme di dipendenza personale attive nella complessa realtà agraria della metà del sec. XIII” (quindi anche il colonato).91 Va comunque osservato che l’hominicia, sebbene possa associarsi a una concessione fondiaria e, in questo caso, comportare l’obbligo della residenza, differisce dal colonato in quanto “si caratterizza per l’assenza di quell’elemento reale che è la concessione di un terreno”.92

A me sembra che da un rapido esame della struttura della documentazione diplomatica si possano ricavare forti indizi a favore della posizione di Collavini, Conte e Tavilla, pur con tutti i rischi che derivano dal fatto di basarsi soltanto sulle pergamene (o sui regesti medievali di pergamene). Innanzitutto, se si prendono in considerazione gli archivi di alcuni enti ecclesiastici delle diocesi di Firenze, Fiesole e Arezzo, si nota che gli atti che istituiscono un legame di dipendenza colonaria sono decisamente pochi.

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