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Quali proposte di Pinker e Bloom sono accettate da Chomsky

Il primo passo innovativo di Chomsky è quello di accantonare l’idea generale dell’origine del linguaggio come un unico “grande balzo in avanti” e accettare la possibilità dell’evoluzione graduale. Questo, tuttavia, non si traduce in un abbandono definitivo della posizione di Gould, bensì in un tentativo di conciliare entrambe le letture. Invece che contrapporre frontalmente naturalismo e selezionismo, unificarle in un’unica teoria evolutiva è la miglior soluzione per unificare ulteriormente la biologia con le teorie linguistiche. Conseguentemente, se con ogni evidenza la classica versione di Darwin è corretta, e dunque spesso il cambiamento adattativo è un processo lento e faticoso in azione per milioni di anni, d’altro canto bisogna pur riconoscere che questa non è la sola modalità in cui le specie raffinano la proprià capacità di sopravvivenza: si deve ammettere al contempo anche la possibilità di adattamenti rapidi e repentini. Tali adattamenti non sono semplicemente frutto di un’accelerazione improvvisa, quasi una contrazione, del normale percorso adattativo, ma rappresentano un tipo di strategia evolutiva del tutto differente (dunque davvero il gradualismo da solo non può spiegare l’intera storia evolutiva delle specie). Per esempio, si parla di adattamento in senso darwiniano nel caso della comparsa di un apparato per l’apprendimento vocale cronologicamente antecedente sia gli esseri umani sia gli uccelli: secondo le più recenti indagini, infatti, lo sviluppo di questo apparato avrebbe coinvolto centinaia di migliaia di generazioni nel corso di milioni di anni. Non si può parlare invece di niente di simile per quanto riguarda, ad esempio, una delle più note e recenti svolte adattative della specie umana, la capacità di digerire il lattosio anche dopo l’infanzia: questo processo è stato completato infatti in un tempo breve, ossia alcune migliaia di anni, coinvolgendo soltanto diverse centinaia di generazioni, e rientra perciò negli adattamenti evolutivi del secondo tipo. In questo genere di casi è bene parlare di slittamenti, spostamenti genomici e fenotipici repentini, che «spostano il punto di partenza da cui agisce la selezione»94; l’adattamento non subisce un’accelerazione, ma altri fattori intervengono affinchè esso si trovi ad agire su di una condizione

dell’organismo già “slittata” molto in avanti lungo il naturale percorso evolutivo che avrebbe seguito, probabilmente a causa della comparsa di mutazioni estremamente vantaggiose. Possiamo distinguere queste due modalità evolutive parlando nel primo caso di vero e proprio adattamento e, nel secondo, di una sorta di salto genetico.

Come è evidente, dunque, Chomsky accetta le tesi di Pinker e Bloom per metà: il linguaggio si è evoluto, deve aver avuto delle fasi intermedie di qualche genere (cosa, questa, che prima di Linguaggio naturale e selezione darwiniana non avrebbe mai ritenuto ammissibile), il suo sviluppo deve essere stato determinato da un incremento di modifiche localizzate e in costante aumento, ma deve comunque essersi trattato di un cambiamento evolutivamente parlando estremamente breve, dunque molto intenso e molto peculiare.

Casi come questo evidenziano l’importanza centrale del caso, della contingenza e del contesto bio-chimico in cui caso e contingenza si collocano. Di conseguenza, vi è un altro aspetto del neo-darwinismo che Chomsky continuerà a non accettare, cioè il determinismo: la selezione naturale non ha un fine preciso o particolarmente articolato se non l’incremento della possibilità di sopravvivenza degli organismi (e mai un fine specializzato come un’intelligenza superiore o un linguaggio ricorsivo), ma lavora alla cieca, ragion per cui salti genetici di varia natura possono scombinare i vaghi progetti secondo cui essa procede. Ne è la prova il fatto che la storia della vita su questo pianeta è caratterizzata da eventi evolutivi epocali che accadono una volta sola e non paiono potersi ripetere, come a dimostrare che le condizioni casuali che li hanno permessi non sono più riproducibili: l’origine delle cellule con nuclei e mitocondri, la riproduzione sessuata, e così via. Rispettivamente alla nascita delle capacità cognitive dell’essere umano, Chomsky condivide il pensiero del biologo evoluzionista Ernst Mayr:

Nulla dimostra l’improbabilità dell’origine dell’intelligenza superiore meglio dei milioni di stirpi che non riuscirono a raggiungerla. Ci sono stati miliardi, forse addirittura cinquanta miliardi di specie fin dall’origine della vita. Soltanto una di queste ha raggiunto il tipo di intelligenza necessario per fondare una civiltà […] Riesco a immaginare soltanto due ragioni possibili di questa

eccezionalità. Una è il fatto che l’intelligenza superiore non è affatto favorita dalla selezione naturale, contrariamente a quanto ci aspetteremmo. In effetti, tutti gli altri tipi di organismi viventi, milioni di specie, se la cavano bene senza un’intelligenza superiore. L’altra ragione possibile dell’eccezionalità dell’intelligenza è la straordinaria difficoltà di acquisirla. […] Un cervello di grandi dimensioni, che consenta un’intelligenza superiore, si è sviluppato in meno dell’ultimo 6% della vita sulla linea degli ominidi. A quanto pare, ci vuole una combinazione complessa di rare circostanze favorevoli per produrre un’intelligenza superiore95.

La nozione di pennacchi ed effetti collaterali è forse troppo forte, ma l’idea che era alla sua base continua a rimanere sostanzialmente corretta.

In generale, il lento gradualismo darwiniano è ciò che Chomsky proprio non riesce a integrare nella sua filosofia del linguaggio, neanche nella sua versione meglio argomentata e aggiornata quale quella proposta da Pinker e Bloom. Per esempio, nel caso dell’emergere nella specie umana della sua caratteristica capacità simbolica, il dato più lampante è la totale assenza di testimonianze “intermedie” di questo processo: tecniche di costruzione di utensili, innovazioni quali l’uso del fuoco o l’arte figurativa non suggeriscono, per quanto se ne sa, stadi di sviluppo inferiore a quello in cui si sono presentate.

Nel caso specifico del linguaggio, Chomsky è ora concorde ai selezionisti nell’affermare che il linguaggio si sia evoluto attraverso una selezione sempre più fine di vari adattamenti già avvenuti: questi adattamenti precedenti costituiscono la base di partenza biologica da cui si è evoluto il linguaggio vero e proprio e alcuni di questi, a differenza del linguaggio come sistema complesso di comunicazione, non si possono spiegare con la semplice versione gradualista della selezione naturale. Gli adattamenti necessari di base sono i seguenti:

a) L’operatore combinatorio Merge e un insieme di elementi atomici che possiamo per ora identificare con i concetti. Sono le basi sintattiche imprescindibili del linguaggio, sulla cui preesistenza Chomsky rimane inamovibile. Nel loro caso, il neo-darwinismo continua a non garantire una spiegazione soddisfacente.

b) L’interfaccia sensomotoria necessaria all’esternalizzazione dei processi linguistici. Essa comprende anche l’apprendimento e la produzione vocale, ed è più plausibile immaginarsela come prodotto di un adattamento graduale più standard, esattamente come quello che ha portato alla nascita in generale delle abilità di vocalizzazione in un vasto numero di specie differenti.

c) L’interfaccia concettual-intenzionale, per le capacità di pensiero. Gli elementi certi disponibili attualmente sul modo in cui tale interfaccia funzioni sono ancora troppo vaghi e discordanti per consentire l’elaborazione di una proposta bioevolutiva sufficientemente sensata riguardo le sue origini.

Uno, se non probabilmente due di questi adattamenti non sono avvenuti in modo graduale. L’errore di Pinker e Bloom, secondo Chomsky, sta nel concludere che l’intero apparato linguistico dell’uomo sia il risultato dell’azione selettiva poiché il linguaggio esibisce con ogni evidenza una funzione (quella comunicativa, nella loro teoria) e, laddove c’è funzione biologica precisa, c’è anche il lavoro della selezione naturale. Anche su questo punto egli è inamovibile nel rinnegare qualsiasi lettura della facoltà linguistica che la assimili sostanzialmente alla comunicazione. Una prospettiva simile continua a restare agli occhi di Chomsky pura eresia, così come lo era cinquant’anni prima. È inoltre incredibilmente complesso determinare la funzione biologica di un organo basandosi sulla sua forma superficiale. Non è neppure scontato che ogni organo assolva una funzione sola. I motivi sono quelli che già lo avevano portato a rifiutare esternalismo e linguaggio pubblico in ambito filosofico: in primo luogo, il linguaggio può essere certo usato per comunicare, esattamente «come può esserlo qualunque aspetto di ciò che facciamo: modo di vestire, gesticolazione e così

via»96; in secondo luogo, l’uso prevalente del linguaggio è interno, ed è quello che comunemente chiamiamo pensiero. Non si vede su quali basi si possa sostenere che sia nato con lo scopo dichiarato di garantire la comunicazione tra gli individui di uno stesso gruppo.

Se non è possibile rintracciare la funzione biologica precisa dell’organo- linguaggio, per quanto esso sia complesso, non è neanche possibile imputare a un meccanismo puramente deterministico il suo intero sviluppo; per queste ragioni Chomsky conclude che Pinker e Bloom hanno ragione nel confutare la teoria del pennacchio nella sua forma più rigida e la teoria del “grande balzo in avanti”, ma sbagliano nell’individuare nella selezione naturale l’unico responsabile dell’evoluzione del linguaggio. Questa adesione soltanto parziale all’evoluzionismo neo-darwiniano lo porta a riconoscere pari importanza nei processi adattativi a due criteri evolutivi distinti: la selezione naturale e la variante stocastica delle modifiche casuali dei meccanismi evolutivi. Con quest’ultima si intende un approccio che tenga conto della probabilità statistica che interviene nei meccanismi regolatori degli organismi per attivare i geni: talvolta l’attivazione si verifica, talvolta no, in base alla combinazione di moltissimi fattori interni ed esterni all’individuo in questione e determinati in larga misura dal caso. In generale, l’idea di fondo è che oltre alla selezione, ciò che «rende conto della differenza tra una farfalla e un leone, tra un pollo e una mosca […] è il risultato di mutazioni che modificarono i circuiti regolatori dell’organismo, più che la sua struttura chimica»97.

96R.C. Berwick, N. Chomsky, Why Only Us. Language and Evolution, trad. it. di A. De Palma, Perché

solo noi. Linguaggio ed evoluzione, Bollati Boringhieri, Torino, 2016, p. 67.

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