• Non ci sono risultati.

3 «Quasi scenam facere»: per una lettura recitata

Già nell'ormai lontano 1958, in un breve ma denso articolo apparso sul Giornale

storico della letteratura italiana, Luigi Firpo, dialogando con Giovanni Aquilecchia,

aveva scritto che Bruno «sembra preferire una notazione quasi musicale di pause più o meno prolungate» a un'articolazione concettuale della punteggiatura.165 Un'intuizione importantissima – per la prima volta, infatti, veniva posto all'ordine del giorno il problema della difficoltà di individuare un'interpungendi ratio nelle stampe bruniane, difficilmente reperibile nell'ottica di una considerazione puramente sintattica dei segni di interpunzione –, che Firpo non approfondì ulteriormente, ma che è stata ripresa e fondata su solide basi testuali da Michele Ciliberto e Nicoletta Tirinnanzi ne Il dialogo

recitato.

Grazie a un'analisi accurata del sistema paragrafematico, Tirinnanzi mostra come la punteggiatura dei dialoghi londinesi sfrutti strategie già messe in atto nel Candelaio e come dunque il corpus volgare delle opere del Nolano debba essere considerato come un insieme unitario: non vi sono da un lato una commedia, nella quale sono rinvenibili

165 L. FIRPO, Per l'edizione critica dei dialoghi italiani di Giordano Bruno, «Giornale storico della

spunti teoretici di indubbio interesse, che contengono in nuce alcuni sviluppi-chiave della «Nolana filosofia», ma che tuttavia rimane un testo 'letterario', e dall'altro sei dialoghi che, nonostante con la sfera del comico cinquecentesco abbiano innegabili punti di contatto, in primis la presenza in alcuni di essi del personaggio del pedante, sono a tutti gli effetti opere filosofiche. In entrambi i casi si può parlare di 'filosofia in commedia', di scritti letterariamente elaboratissimi in cui il dipanarsi della tessitura speculativa non è mai disgiunto dalle tecniche rappresentative. Della natura della sua Musa, d'altronde, ha parlato lo stesso Bruno negli Eroici furori: conclusasi ormai l'esperienza in terra inglese con un doloroso insuccesso, il filosofo, per bocca di Tansillo, afferma di aver attraversato un momento in cui «traendolo da un canto la tragica Melpomene con più materia che vena, e la comica Talia con più vena che materia da l'altro, accadeva che l'una suffurandolo a l'altra, lui rimanesse in mezzo più tosto neutrale e sfacendato, che comunmente negocioso», ma di essersi infine risolto ad accettare l'invito delle Muse, dedicandosi a comporre un'opera che «più riluce d'invenzione che d'imitazione».166 Che sia guidato da Melpomene o Talia, dunque, il Nolano è mosso da una Musa teatrale: la sua scrittura – almeno quella in volgare, ma non solo – è costitutivamente drammatica. Un punto, questo, che non sfuggì al Cavalier Poet Thomas Carew che, nel 1633, ricavò dallo Spaccio de la bestia trionfante un

masque dal titolo Coelum Britannicum, sfruttando al meglio l'argomento mitologico del

dialogo bruniano e la presenza in esso di personaggi allegorici per renderlo un testo rappresentabile sulla scena – i medesimi elementi che, più di tre secoli dopo, nel 1993, hanno indotto Allì Caracciolo, nella sua ricerca di testi filosofici dotati di 'praticabilità drammatica', a scegliere proprio lo Spaccio per tentarne un adattamento teatrale.167

166 BRUNO, Dialoghi filosofici italiani, cit., p. 782.

Vi era, insomma, nelle opere bruniane una ricercata ambivalenza, ben compresa dai contemporanei: esse erano poste, consapevolmente, sul limen, allora labilissimo, che separava i testi destinati alla recitazione da quelli concepiti per una lettura silenziosa. Bruno in tal modo intendeva rivolgersi non solo ai filosofi, ai dotti, ma a un pubblico più ampio, composto da gentiluomini e gentildonne capaci di apprezzare gli esiti più raffinati dell'arte drammatica cinquecentesca.

Questa acquisizione di fondo è avvalorata da un'osservazione sostanziale: nella maggior parte dei casi – mette in evidenza Tirinnanzi – nei dialoghi londinesi il lemma 'lettore' compare affiancato a 'spettatore', 'auditore' o 'ascoltatore'. Si tratta del medesimo procedimento che abbiamo rilevato ne L'arte di puntar gli scritti di Lombardelli, in cui il grammatico si riferiva indifferentemente a lettori e ascoltatori, e nel Discorso intorno

ai contrasti, dove l'identificazione diveniva a tal punto concreta da rendere, nella foga

dello scrivere, sbadatamente intercambiabili occhi e orecchi.

Ciò che maggiormente giova sottolineare ai fini della nostra indagine, però, è che la studiosa non si limita a notazioni di carattere generale, ma ad esse affianca una serie di preziosissime considerazioni puntuali, veri e propri affondi testuali che permettono di guardare alle cinquecentine con occhi nuovi, con una rinnovata consapevolezza della funzione che in esse svolge l'ars punctandi.

Come abbiamo anticipato, Lombardelli assegna al punto e virgola una valenza retorica, raccomandandone l'utilizzo per conferire energia al discorso e commuovere l'uditorio: esso è previsto tra i membri dei parallelismi, nelle similitudini, prima delle subordinate causali e relative appositive, prima delle congiunzioni causali o consecutive. Tutte queste modalità di impiego sono accomunate dalla necessità di

de la bestia trionfante di Giordano Bruno, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Macerata», XXV-XXVI, 1992-93, pp. 59-119.

marcare un punto di svolta nell'articolazione concettuale: è qualora il «parlare sia concitato»,168 scrive Lombardelli, che il punto e virgola deve essere adoperato, per segnalare i momenti di passaggio più rilevanti, evitando ogni rischio di confusione.

Nei testi bruniani il punto e virgola ricorre con minore frequenza e svolge una serie di compiti più ristretta: lo rinveniamo in particolare nelle coordinate per segnalare una contrapposizione, nelle comparazioni, negli elenchi e prima delle subordinate concessive. È ai due punti, invece, che il Nolano assegna la variegata gamma di funzioni riservate da Lombardelli al punto e virgola: essi sono nelle enumerazioni, nei parallelismi, nelle comparazioni, prima delle congiunzioni avversative, prima delle subordinate concessive, temporali, relative, causali e consecutive, nei periodi ipotetici, dopo una serie di subordinate a introduzione della principale e, soprattutto, al termine di un'argomentazione per enfatizzare la conclusione, che precisa o stravolge quanto affermato precedentemente. In vista di una lettura recitata, i due punti tracciano sulla pagina stampata una partitura: come in uno spartito la notazione delle parti vocali e strumentali è disposta in modo tale che l'occhio possa rinvenire immediatamente le indicazioni di esecuzione, così nella pagina bruniana i segni di interpunzione – e in particolare i due punti – forniscono al lettore precise istruzioni, che lo agevolano sia nella comprensione sia nella recitazione del testo. Un'altra strategia di particolare impatto visivo è la distinzione tra due punti seguiti da minuscola e due punti seguiti da maiuscola: nel secondo caso Bruno intende mostrare come, malgrado sia strutturata in periodi separati, la riflessione abbia una sua continuità e coerenza interna, tessendo una trama unitaria.

È in relazione alle pause intermedie tra punto e virgola, dunque, che si gioca la

partita della lettura recitata: nell'uso del punto, infatti, il Nolano, come ha acutamente rilevato Aquilecchia sin dalla nota al testo dell'edizione del 1955 della Cena de le

Ceneri, pare persino più vicino al modello di scansione concettuale presentato da

Salviati negli Avvertimenti della lingua sopra 'l Decamerone.169 E Bruno si cimenta in questa operazione in modo consapevolmente eversivo rispetto agli orientamenti cinquecenteschi in materia interpuntiva, tendenti «ad una riduzione degli elementi in gioco e, in particolare, ad una limitazione dell'uso, prima ben altrimenti esteso, dei due punti».170

Lo studio condotto da Tirinnanzi ha mostrato l'importanza dei due punti in testi scritti per essere recitati, individuando un dato di indubbio interesse, che è stato sottovalutato dagli storici della filosofia ma non dagli storici della lingua, tanto che Nicoletta Maraschio conclude il capitolo dedicato al secondo Cinquecento della Storia

della punteggiatura in Europa rilevando come il merito de Il dialogo recitato sia stato

quello di aver individuato «un legame molto stretto tra una certa modalità interpuntiva e una precisa tipologia testuale che può avere contribuito a determinare il cambiamento funzionale dei due punti».171

Un'ulteriore conferma del ruolo 'drammatico' svolto dai due punti è data dal confronto tra il sistema interpuntivo delle opere in volgare e quello degli scritti latini: nei trattati, infatti, la punteggiatura segue criteri di ordine sintattico e i due punti sono più rari. Una considerazione, questa, che non si attaglia però, ad esempio, alle sezioni dialogiche paratestuali dei trattati parigini di arte della memoria: nei passi in cui torna in primo piano il ritmo serrato dell'andamento dialogico, il sistema paragrafematico – e

169 Cfr. G. BRUNO, La cena de le Ceneri, a cura di G. AQUILECCHIA, Torino 1955, p. 243, nota 1. 170 Trattati di fonetica del Cinquecento, cit., p. 58.

171 N. MARASCHIO, Il secondo Cinquecento, in Storia della punteggiatura in Europa, cit., pp. 122-

l'uso dei due punti in particolare – ricorda infatti da vicino quello delle opere volgari. Che Bruno, in questi casi, non abbia in mente una lettura esclusivamente silenziosa è avvalorato poi dalla presenza di quello che abbiamo constatato essere lo 'stigma' della concezione 'drammatica' della lettura: l'equiparazione di lettore e ascoltatore. In apertura al De umbris il Nolano scrive: «Similmente altri uomini, ripieni di spirito aristotelico [...], dopo aver letto o udito Le ombre delle idee, subito si attaccheranno alla parola, dicendo che le idee sono sogni o mostri».172 Persino un'opera di impianto mnemotecnico, almeno nelle sue parti dialogate, può prestarsi alla recitazione e ciò vale,

a fortiori, per i dialoghi sul compasso di Fabrizio Mordente, gli unici scritti in latino

concepiti da Bruno in forma dialogica.

La storia editoriale di queste operette fu, come abbiamo ricordato nel primo capitolo, molto travagliata, riflesso dei complicati rapporti tra il filosofo e il geometra. A seguito della rottura con Mordente, tra la seconda metà di aprile e gli inizi di giugno del 1586, infatti, Bruno premise ai Dialogi duo i polemici Idiota triumphans e De

somnii interpretatione. L'analisi comparata delle due stampe pervenuteci – l'una

custodita presso la Biblioteca Nazionale di Torino e contenente solo i Dialogi duo e l'altra, scoperta da Aquilecchia alla Bibliothèque Nationale di Parigi, in cui sono presenti tutti i dialoghi – ha rilevato in quest'ultima l'esistenza di due varianti, a correzione di due errori che erano nei Dialogi duo stampati in precedenza.173 Si tratta di aggiustamenti che difficilmente avrebbe potuto proporre il tipografo e che, data anche l'abitudine del Nolano di seguire la composizione e la stampa delle sue opere, possiamo

172 BRUNO, Opere mnemotecniche, II, cit., p. 37. Di seguito il passo originale latino: «Isti similes,

cum fuerint Aristotelico repleti spiritu, [...] ubi audierint vel legerint De umbris idearum, iam verbo haerebunt dicentes ideas esse somnia vel monstra».

173 Alla carta Aij verso riga 24 del Mordentius troviamo «appulerint» al posto dell'insostenibile

«appulerent», mentre la figura sulla carta Bij recto riporta la lettera C, mancante nell'esemplare torinese, e la sequenza di lettere BIH, scorretta, risulta cancellata. Su queste questioni, cfr. G. AQUILECCHIA, Nota ai

testi, in G. BRUNO, Due dialoghi sconosciuti e due dialoghi noti, cit., pp. 59-64. L'attuale segnatura

considerare autoriali.174 Questo ci autorizza a ritenere che, come nel caso dei dialoghi londinesi, anche l'ars punctandi sia d'autore e ad avanzare alcune proposte. Nell'Idiota

triumphans, quando l'argomentare è più incalzante, riscontriamo infatti lo stesso uso dei

due punti che caratterizza il corpus volgare. Trascrivo, a titolo esemplificativo, due passi, rispettando integralmente le caratteristiche grafiche e interpuntive dell'esemplare parigino:

Mitte igitur vbi Methodicos tantum alloquitur eosque solum interpellat: in hac enim diuina reuelatione distribuenda non debet ita auarus esse caeteris, qui quamuis sine methodo sint melius tamen vel non minus benè rei substantiae capaces esse possunt et intellectores: multos enim methodicé res tractare constat qui interim tractata male intelligunt, iudicant, atque discernunt. Ad haec non doctores instituendi sed auditores, non est ad propositum methodicos appellare, querere, citare, aduocare: sed seipsum methodicum illis offerre consentaneum est.

Mitte ubi professores mechanicarum sibi delegit auscultatores: aeque enim absurdè facit ac ille qui coram populo concionatur de ijs quae pari ratione ad omnes praesentes spectant haecque ad definitos quosdam dirigat inquiens: Audite haec vetulae vel audite haec pueri vel audite haec fabrilignarij, audite cerdones. quid ergo mechanicos solo interpellat vbi proferendam habet rationem matheseos omnibus speciebus generalem atque communem: geometris autem dumtaxat maxime propriam?175

Ignoscendum eidem est tanquam philosophiae prorsus imperito: dum quod mechanicè fecere nouit et ad sensum, se demonstratiue, rationaliterque facere potuisse vel posse credens, deducit ab axiomate philosophorum (sibi contrario vt sibi contrarium est) dicentium res naturales (vbi addit ipse et artificiales, ignorans rebus artificialibus ratione quantitatis continuae cui sunt vel intelliguntur adnexae idem conuenire: et ideò sufficere dixisse naturales, vt sufficit apud omnes qui intelligunt quod dicunt) respectu formarum suarum non esse in infinitum diuisibiles: Non intelligens quod dicit ratione respectuue formarum, declarare sensum illorum philosophorum non respicere minimum magnitudinis seu quantitatis continuae, quod nunquam credunt incurri posse: sed minimum subiectum in quo possit saluari forma cuiusque speciei: vtpotè quia non in quantacumque materia saluatur forma hominis, sed est minima moles intra quam, et maxima extra quam non est forma hominis: similis ratio est in formica, in pomo, in

174 Lo stampatore dei Dialogi duo è Pierre Chevillot, mentre non si conosce il tipografo di Idiota

triumphans e De somnii interpretatione, che costituiscono un opuscolo indipendente scritto in corpo

minore.

175 PHILOTEI IORDANI BRUNI NOLANI Dialogi Idiota triumphans, De somnii interpretatione,

omnibus aliis.176

Nel primo brano i due punti sono utilizzati per delineare la struttura del ragionamento – figurando, sintomaticamente, anche prima della congiunzione avversativa, come nei dialoghi in volgare – e per introdurre un discorso diretto, seguiti in questo caso da lettera maiuscola. Il punto che precede l'interrogativa conclusiva, invece, è seguito da una minuscola, indizio tangibile della volontà di non segnalare una discontinuità forte con quanto affermato in precedenza. Degno di nota, ancor più se intrecciato con queste osservazioni sull'ars punctandi, è poi il contenuto della citazione: Mordente infatti è accusato di rivolgersi soltanto ai «methodicos» e di indirizzare il suo insegnamento a un pubblico ristretto, composto da coloro che praticano le arti meccaniche («professores mechanicarum sibi delegit auscultatores»). In un contesto in cui, come vedremo a breve, il Nolano rileva tutte le carenze di una tecnica pedagogica fondata sull'ascolto passivo, queste parole assumono una valenza di non poco conto: il geometra salernitano non solo non supporta il suo insegnamento orale con un ricorso adeguato alla sfera della vista, ma è persino incapace di individuare il giusto uditorio cui rivolgersi.

Il secondo excerptum è uno dei più teoreticamente pregnanti dell'opera: in esso il Nolano accusa Mordente di non aver tenuto nella giusta considerazione il «minimum magnitudinis seu quantitatis continuae» e di essere incorso nell'errore degli aristotelici, che sostengono la divisibilità ad infinitum della materia. Anche in questo passo la pausazione è demandata ai due punti, che in un caso – proprio a metà del ragionamento, prima di giungere alla conclusione – sono seguiti da una lettera maiuscola, contrassegno visibile del sopravvenuto mutamento di direzione concettuale. La ratio punctandi operante nel corpus volgare è abilmente trasposta da Bruno anche in questi dialoghi in

latino per evidenziare gli snodi di uno svolgimento teorico spesso assai complesso e frastagliato.

Se l'Idiota triumphans esibisce un sistema di pausazione complesso, non assimilabile a quello dei trattati latini, è nel Mordentius, il primo dei Dialogi duo, che troviamo alcune importanti indicazioni sul tema dell'ascolto.

Discipulos ergo – leggiamo – tam caecos quam auritos sibi accersant alii, dum iste videntibus quantumcunque surdis plane satisfacit. Ego interea profundi huius acustici silentium rumpam, interloquutorem faciam, et ita graphice docentem quoad fieri potest introducam, ut et technice vidi operantem.177

In una situazione ancora (anche se per poco) distesa, Bruno scrive che, mentre gli altri si attorniani di allievi tanto ciechi quanto 'orecchiuti' («auritos»), Mordente appaga con le sue lezioni anche i vedenti. Ancora non si è consumata la crisi definitiva e dunque il filosofo pare avere parole di elogio per il geometra; nondimeno questi è poco dopo chiamato profundus acusticus, un'espressione che, per chi conosca le opere del Nolano, non può non apparire ironica e carica di sfumature negative. Vi è infatti uno stretto rapporto intertestuale tra questo brano del Mordentius e l'Asino cillenico del Nolano, breve dialogo al termine della Cabala del cavallo pegaseo in cui l'Asino mostra di voler entrare nell'accademia retta da Micco Pitagorico, ma si scontra con la resistenza di quest'ultimo, che afferma che è necessario che prima egli trascorra un periodo da 'acustico', ovvero soltanto come uditore. Una volta che un adepto è stato ammesso – sostiene perentoriamente Micco – «se gli dona termine di tempo (che non è men che di doi anni) nel quale deve tacere e non gli è lecito d'ardire in punto alcuno de dimandar, anco di cose non intese, non sol che di disputare et examinar propositi; et in quel tempo

177 Ivi, c. aiijr. In questo caso si è riportato il testo procedendo a una prudente modernizzazione,

si chiama "acustico"».178 Una condizione, questa, che l'Asino non accetta e che è osteggiata anche da Mercurio, che accorre in difesa dell'Asino, permettendogli di non ottemperare alle richieste di Micco; con un rivolgimento completo, questo è infatti l'invito che il dio rivolge all'Asino: «Parla dumque tra gli acustici».179 A manifestarsi con forza è l'avversione del Nolano per le forme di apprendimento passive che, non stimolando in alcun modo il discente, sono acritiche e pedantesche. Definire Mordente un 'acustico' non è dunque, nell'ottica bruniana, un complimento: al di sotto di una patina encomiastica d'occasione, covano già tutti i motivi di dissenso che proromperanno nell'Idiota triumphans.

Sarebbe però un errore pensare che in Bruno l'ascolto in quanto tale assuma una connotazione negativa: come sempre accade nella «Nolana filosofia», il quadro è più complicato. Il tema della voce, connesso alla possibilità di usare le parole e le loro cadenze nell'ambito dei processi umani, assume infatti nelle opere magiche un peso teorico rilevante. Dal paragrafo dedicato al vinculum «ex voce et cantu»180 presente nel

De magia naturali affiora come la modulazione del timbro della voce e l'impiego

accorto delle parole e dei momenti di pausa permetta l'elaborazione di discorsi e canti di grande efficacia, in grado di vincolare spiriti diversi. In una prospettiva ontologica interessata a porre in primo piano l'importanza della varietas nel piano dell'individuale e dell'esplicato, anche i vincoli che «trovano ingresso nell'anima attraverso l'udito»181 non possono essere applicati indiscriminatamente e il mago – il retore-mago – deve valutare prima «che cosa si addica e convenga a lui» e poi «che cosa piaccia e sia gradito a chi deve essere incantato e vincolato, valutando i suoi costumi, il suo stato, la sua

178 BRUNO, Dialoghi filosofici italiani, cit., p. 745. 179 Ivi, p. 750.

180 BRUNO, Opere magiche, cit., p. 262.

181 Ivi, pp. 263-265. Di seguito il passo originale latino: «per auditum [...] aditum nasciscuntur in

complessione, le sue abitudini».182 Egli deve strutturare il suo discorso in un orizzonte di senso affine a quello dell'uditorio, trattando un argomento a sé congeniale e allo stesso tempo coinvolgendo il pubblico: «gli oratori», sostiene Bruno nel De vinculis, «catturano la benevolenza con la loro arte, purché gli uditori e il giudice trovino in loro qualcosa di sé».183 Soltanto promuovendo un'identificazione, un'immedesimazione, tra sé e gli ascoltatori il retore-mago può generare un vincolo realmente incisivo e persuasivo e ciò può avvenire anche grazie alla vox. Malgrado infatti la vista – sulla scorta sia della tradizione platonica sia di quella aristotelica – sia considerata dal Nolano il più spirituale dei sensi, quello che accoglie i vincoli nel modo più perfetto, anche l'udito è atto a riceverli e può essere sottratto alla passività cui lo condannano i pedanti,