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QUESTIONI ECONOMICHE E SOCIALI

Nel documento La politica europea dell'Italia (pagine 58-80)

P

RIMA

S

ESSIONE

TOMMASO PADOASCHIOPPA

se di apprendistato di questo sistema di alternanza politica e quin-di si pone il quesito quin-di che cosa deve essere partisan e cosa bipar-tisan nelle politiche. L’opposizione critica l’azione del governo, ma poi la eredita e spesso la deve continuare, e quindi la combinazio-ne tra accordo e disaccordo è uno degli elementi più problemati-ci e vitali per il buon funzionamento della politica di un paese.

Il documento nasce da questa idea e affronta il tema nei tre cam-pi delle tematiche economiche e sociali, delle tematiche della proiezione internazionale e della sicurezza e in quelle istituziona-li, cercando per ciascuna di queste di delineare brevemente: qual è l’agenda europea in quel particolare campo, quali sono le prin-cipali alternative che si presentano nello scenario europeo al di fuori dell’Italia e, infine, di individuare i vincoli e le linee di una posizione italiana.

L’ambizione massima del documento e di questa iniziativa – po-trebbero essere questi quindici individuati dallo IAI o una loro va-riante – è che si formi un consenso bipartisan su alcuni punti stra-tegici che è opportuno mantenere fermi.

Nella parte economica del documento si osserva innanzitutto che le grandi tematiche dell’agenda europea in materia di questioni economiche e sociali sono due. La prima è quella della stabilità e della crescita, con una particolare attenzione alla seconda, perché in questo decennio il problema cruciale che l’Europa sta affron-tando è quello della crescita avendo vinto da molti punti di vista la battaglia della stabilità nel corso dei due decenni precedenti. La seconda è quella del bilancio e delle politiche dell’Unione. Si po-trebbe dire molto brevemente che la prima è una tematica in lar-ga parte affidata alle politiche economiche dei paesi e alle forze spontanee dell’economia, mentre la seconda riguarda che cosa de-ve fare concretamente l’Unione, in particolare in quel campo in cui ha enunciato la volontà di praticare politiche proprie: l’ener-gia, la ricerca, i trasporti e il fatto che tale volontà non si è mai tra-dotta in fatti perché sono mancate le risorse e perché la parte na-zionale di queste stesse politiche ha preso il sopravvento sull’in-tenzione di avere anche una parte comunitaria.

Nel documento troverete che nel campo della stabilità e della cre-scita i temi caldi nell’agenda sono il mercato unico, l’agenda di Li-sbona, la politica commerciale, il patto di stabilità e crescita, l’a-genda sociale europea. Sottolineo quest’ultima solo perché può sembrare strano a qualcuno che sia parte di questa piccola lista.

L’agenda sociale europea fa parte della lista sia perché esiste una dimensione sociale della politica economica dell’Unione Europea, sia perché esiste un pregiudizio secondo il quale l’Unione Europea è caratterizzata da uno spietato darwinismo di mercato.

L’attuale situazione europea è caratterizzata da un duplice scena-rio. Da un lato una evidente incertezza, sia per la situazione eco-nomica, sia per la stasi politica che si è creata con il voto in Fran-cia e in Olanda. In secondo luogo l’aspettativa di una ripresa di iniziativa da parte dei paesi che tradizionalmente l’hanno avuta, come la Germania e la Francia.

Il secondo elemento è l’alternarsi e l’eterno confrontarsi dell’ani-ma liberista e dell’anidell’ani-ma interventista, che nel documento viene chiamato contrasto minimalismo/attivismo. E infine il fatto che probabilmente l’Unione Europea è in una fase in cui gran parte del dinamismo viene dalla competizione fra i paesi, dalla compe-tizione fra le politiche. Si può guardare tutta la storia della co-struzione europea come storia di un passaggio dalla guerra allo sport, cioè dalla competizione violenta alla competizione civile, benefica e anche economica. La competizione tra i paesi nella co-struzione europea è qualche cosa di perfettamente previsto, fisio-logico e sano, purché sia competizione vera, ovvero non sia né guerra economica né collusione per non competere, che molto spesso è la forma perversa di pace economica che gli stati e i go-verni decidono di stipulare fra loro.

Infine ci sono i 5 punti che si suggeriscono come parte condivisa della politica economica italiana, ovvero “Consolidare la nostra partecipazione all’euro”, “Osservare la disciplina di bilancio”,

“Completare il mercato unico”, “Sviluppare il bilancio comunita-rio” e “Far crescere l’Eurogruppo”.

MARCO BUTI

Sulle questioni economiche, lo scenario più verosimile evocato nel rapporto presentato dall’Istituto Affari Internazionali, è l’assenza di grandi iniziative nei prossimi due o tre anni. Molto corretta-mente, a mio avviso, si individuano le elezioni francesi come un momento chiave prima del quale non è verosimile, e per certi aspetti neppure auspicabile, che ci siano iniziative di alto profilo come sono state nei decenni passati il lancio del Sistema moneta-rio europeo, il completamento del mercato unico o la creazione

dell’Unione economica e monetaria. Ciò non significa che non si debbano utilizzare al meglio i prossimi anni. Al contrario, come dice il documento IAI, grandi passi avanti nell’integrazione comu-nitaria sono di solito preceduti da una fase di decantazione utiliz-zata per sgombrare il tavolo negoziale dalle questioni aperte. Cre-do sia importante utilizzare al meglio la fase presente di ripresa economica per l’attuazione degli impegni presi in sede comunita-ria. Questo non è evidente, anche perché spesso in passato fasi di rilancio congiunturale sono state sostanzialmente sprecate invece di essere utilizzate per scelte che si rivelano più difficili quando la crescita stagna.

Coerentemente con i punti proposti nel documento, tre sono le priorità da perseguire a livello comunitario e nazionale: primo, il completamento del mercato unico; secondo, l’applicazione rigorosa del nuovo Patto di Stabilità e Crescita (Psc); terzo, l’attuazione della cosiddetta Agenda di Lisbona.

La questione fondamentale sul primo punto è l’approvazione rapida della direttiva sui servizi. È dal settore dei servizi che ci possiamo at-tendere la creazione di occupazione nei prossimi anni. È in questo settore che le distanze fra Europa e Stati Uniti sono più marcate.

Il secondo e terzo punto sono collegati: il Psc riformato permette maggiore flessibilità nel caso di riforme strutturali coraggiose, pur mantenendo un forte accento sulla disciplina di bilancio. La mes-sa in opera dell’Agenda di Lisbona dipende in modo cruciale dal comportamento dei grandi paesi dell’Unione.

È interessante notare il parallelo con il Psc: il Patto, prima della ri-forma, è stato tenuto in vita dai piccoli paesi, mentre i grandi pae-si - Francia, Germania, Italia - hanno fatto di tutto per seppellirlo.

Insieme alla Commissione Europea, i piccoli paesi, consapevoli che la prudenza fiscale è cruciale per avere una politica moneta-ria favorevole, hanno permesso una riforma del Psc che combina flessibilità e rigore. Tuttavia, non si può sperare che i piccoli paesi tengano a galla l’Agenda di Lisbona, se non c’è una volontà poli-tica dei grandi paesi. Due sono le motivazioni di tipo economico.

La prima è che, avendo i piccoli paesi dell’Unione, in generale, me-no bisogme-no di riforme strutturali dei grandi paesi, i loro incentivi a spingere per l’attuazione dell’Agenda di Lisbona possono rive-larsi deboli. La seconda motivazione è che non è chiaro che i pic-coli paesi abbiano veramente un incentivo per un approccio coor-dinato sulle riforme strutturali di Lisbona; infatti, essendo paesi

più aperti è possibile che per loro i guadagni di competitività sia-no più importanti se le riforme strutturali sosia-no attuate isolata-mente piuttosto che in modo coordinato.

Il completamento del mercato unico, l’applicazione rigorosa del nuovo Psc e dell’Agenda di Lisbona hanno bisogno di un forte “prin-cipal” che sostenga il ruolo di “agent” della Commissione. Viste le difficoltà politiche della transizione francese, questo ruolo non può che essere giocato dalla Germania. I segnali provenienti dalla Ger-mania del dopo-elezioni sono incoraggianti, dopo un lungo periodo nel quale i suoi impegni e responsabilità comunitari lasciavano si-stematicamente il passo a priorità puramente domestiche. Il ruolo della Germania è chiave nel perseguire gli obiettivi indicati nel do-cumento, in particolare l’applicazione rigorosa del nuovo Psc, il raf-forzamento dell’Eurogruppo e la riforma del bilancio comunitario.

In primo luogo, l’accettazione da parte della Germania dell’appli-cazione delle regole del Psc a sé stessa è una conditio sine qua non per il superamento della crisi fra Commissione e Consiglio del no-vembre 2003 e per la credibilità del nuovo Psc. Se questo atteggia-mento politico si conferma, la Commissione potrà contare sull’ap-poggio della Germania all’implementazione rigorosa del Psc. Il do-cumento dello IAI dice in maniera chiara che è interesse dell’Italia spingere per un’applicazione rigorosa delle regole di bilancio. È uti-le ricordare che nei mesi scorsi i mercati finanziari hanno identifi-cato l’Italia come la prima vittima di un’eventuale diluizione dei vincoli comunitari di bilancio. Superando un atteggiamento a mio avviso miope, l’Italia dovrebbe spingere per applicare rigorosa-mente anche il criterio del debito e non solo quello del deficit.

In secondo luogo, la Germania ha un ruolo chiave nel migliorare il funzionamento e l’efficacia dell’Eurogruppo. È essenziale che tale rafforzamento non sia puramente difensivo. Cosa vuol dire rafforzamento non difensivo? Primo, l’area dell’euro e l’Eurogrup-po non devono divenire un club chiuso, ma debbono essere aper-ti ai nuovi paesi; la Germania può dare questa garanzia soprattut-to verso i paesi dell’Est; secondo, il rafforzamensoprattut-to dell’Eurogrup-po deve dell’Eurogrup-portare ad un più forte dialogo con la Banca Centrale Eu-ropea e non essere interpretato come contraltare politico all’indi-pendenza della Bce; infine, un Eurogruppo più forte non deve contrapporsi alla Commissione, sminuendone il ruolo, come è a volte implicito in alcune proposte. Anche su questo punto, il tra-dizionale approccio pro-comunitario della Germania è

importan-te per non alimportan-terare l’equilibrio istituzionale. Come rafforzare l’Eu-rogruppo? C’è nel documento la proposta di utilizzare lo stru-mento della “cooperazione rafforzata”. Personalmente, vedrei que-sto come lo sbocco di una serie di iniziative concrete (penso alla sincronizzazione dei calendari di bilancio o ad un coordinamento più forte nella messa in opera di Lisbona) piuttosto che come il punto di partenza.

Terzo punto, il ruolo della Germania è importante anche nella ri-forma del bilancio comunitario. Il nuovo cancelliere Angela Mer-kel ha dimostrato un alto grado di generosità nelle trattative fina-li sul bilancio europeo nel dicembre 2005. Spero che queste aper-ture siano di buon auspicio per riaprire i giuochi attraverso la clau-sola di revisione del 2008-2009. Sarà quello il momento chiave per rivedere la struttura delle spese comunitarie e riesaminare la proposta di un’imposta europea per finanziare il bilancio Ue, scar-dinando quindi una volta per tutte la logica del giusto ritorno.

DANIEL GROS

Provenendo da un istituto di ricerca indipendente che opera da appena 20 anni, apprezzo gli sforzi che indubbiamente devono es-sere stati fatti per sostenere istituzioni che sono in vita da 40 an-ni, per questo vi faccio i miei complimenti.

I punti centrali che ci sono stati illustrati riguardano gli aspetti economici e a mio parere si tratta di ciò che molti economisti di-rebbero che è indispensabile, non solo in Italia, per garantire la so-pravvivenza e la prosperità all’interno dell’area dell’Unione Euro-pea, ma è ciò che occorre anche all’Unione stessa.

Vorrei evidenziare uno degli elementi che mancano, un’analisi che non avrà implicazioni politiche, nel senso che non contiene indicazioni precise su cosa dovrebbe essere fatto, ma che po-trebbe spiegare alcuni degli aspetti specifici che l’Italia a mio av-viso deve affrontare.

Nell’ambito di questa analisi vorrei citare due aspetti che sono stati menzionati in precedenza anche da Marco Buti. Ovvero chiedersi quale sia l’importanza della stabilità e della crescita, e in cosa consiste la cosiddetta “Nuova Germania”. Queste due questioni sono collegate tra loro in modo diverso da quanto in ge-nere viene detto.

Vorrei fare una breve analisi delle nuove tendenze che l’Unione

Europea sta affrontando e il modo in cui si rapportano alla realtà oggettiva dell’Unione.

Come noto, fino ad ora l’Italia e la Germania hanno registrato i tassi di crescita più bassi nell’ambito dell’Unione Europea. Ma il punto è che questi risultati vicini tra loro derivano da due ten-denze fondamentalmente diverse all’interno dei due paesi. Anche queste tendenze sono ampiamente note: l’Italia ha continuato a perdere competitività anche rispetto ai suoi partner europei nel-l’arco degli ultimi dieci anni, mentre la Germania ha aumentato la sua competitività, soprattutto fin dall’avvio dell’Unione Europea.

I problemi sono legati alla competitività in materia di prezzi tra Ger-mania e Italia, ma anche Spagna e altri paesi dell’Europa meridionale.

La crescita della Germania è stata debole anche se le esportazioni si sono mantenute elevate, perché il mercato immobiliare è stato molto debole dopo il boom del settore edilizio successivo alla ri-unificazione e questo ha mantenuto la domanda interna tedesca a livelli molto bassi fino ad oggi. A mio parere siamo giunti a un punto di svolta. La debolezza del mercato immobiliare tedesco sta per finire, e pertanto la robustezza delle esportazioni sarà affian-cata da una domanda interna più forte.

In Italia, invece, la situazione sarà esattamente opposta. Fino ad ora il settore immobiliare italiano ha mostrato tendenze non mol-to solide. Un ulteriore indebolimenmol-to di quesmol-to setmol-tore rischiereb-be di sommarsi alla debolezza della domanda interna, determi-nando un ampliamento della forbice in termini di costi e di com-petitività. Per l’Italia torna dunque l’interrogativo di sempre: “co-me sopravvivere nell’Unione Europa?”

Il punto cruciale riguarda la competitività in termini di prezzi e costi imposta dalla moneta unica. Perché l’Italia fino ad oggi non è riuscita ad affrontare queste sfide? Perché ha perso così tanto in termini di competitività e di mercati di esportazione?

La considerazione di fondo consiste, a mio parere, nel notare che l’Italia è un paese molto meno aperto rispetto ai suoi partner, so-prattutto la Francia e la Germania oltre agli altri paesi principali dell’area dell’euro. È stato giustamente sottolineato che i paesi eu-ropei più piccoli hanno registrato un maggiore successo perché so-no più aperti, perché per quei paesi è più evidente l’esigenza di mantenere una elevata disciplina e lavorare sulla competitività.

Per altri paesi, invece, questa esigenza è meno ovvia e ciò li rende strutturalmente più chiusi.

Nella parte conclusiva del mio documento noterete la tendenza evolutiva della bilancia commerciale, le importazioni senza rap-porti con la competitività. Dati che servono solo a valutare il gra-do di apertura di un paese.

Osservando questi dati notiamo che nel 1995 i tre paesi principa-li, Francia, Germania e Italia, sono partiti da livelli più o meno uguali. Da quel momento in poi i dati hanno iniziato a divergere.

La Germania ha fatto un balzo verso l’alto sia per le importazio-ni sia per le esportazioimportazio-ni, e ciò indica che il paese è molto più in-tegrato. Nel caso della Francia e dell’Italia, invece, la tendenza ha mostrato un andamento più lento, che sottolinea come i paesi sia-no stati molto mesia-no “aperti”.

Ora la Germania è aperta verso l’estero come un paese di piccole dimensioni e si comporta come tale facendo registrare un forte au-mento di competitività. In altri paesi, come per esempio l’Italia, a questo aspetto viene data molta meno importanza. E questa è una delle spiegazioni alla base del fenomeno della cosiddetta “Nuova Germania”. Si tratta di una tendenza ormai in atto da circa dieci anni e non di un fenomeno legato alle recenti elezioni, anche per-ché il sistema tedesco non può essere facilmente cambiato da una sola persona.

Il sistema tedesco è diventato un sistema aperto e molto compe-titivo, questo è un indicatore importante che si muove di pari pas-so anche con altri indicatori.

In termini di investimenti esteri diretti, basta osservare l’impor-tanza di questo elemento nell’economia e nel caso dell’Italia è evi-dente che il problema non è legato solo alla competitività, ma so-prattutto all’apertura del paese. Per l’Italia il valore risulta pari al 14%, mentre per la Germania è al 28%, pari al doppio, ed il dato francese risulta ancora più alto.

Alla luce di questo indicatore, l’Italia risulta il paese meno aperto tra i tre più grandi paesi dell’Ue.

Infine, sono stati realizzati recentemente degli studi basati su dati economici, in cui si è cercato di stabilire quanti cittadini stranieri risultavano rappresentati al comando delle 75 istituzioni più im-portanti dei singoli paesi.

Naturalmente è molto difficile stabilire quali siano le 75 istituzioni più importanti di un paese, e in ciascun paese questo insieme di isti-tuzioni sarà differente, ed è difficile stabilire esattamente cosa sia uno straniero ma, cum grano salis, il risultato appare molto semplice.

Lo studio ha evidenziato che in Italia solo una persona risultava al comando delle 75 istituzioni, mentre in Germania il dato era pari a due. In altri paesi, come per esempio nel Regno Unito, il dato era molto più alto. Ciò evidenzia ancora di più come un sistema poli-tico poco aperto al commercio e agli investimenti provenienti dal-l’estero - si potrebbe addirittura dire meno aperto alla presenza straniera - avrà più difficoltà ad adeguarsi alle sfide dell’Emu.

Questa è una delle ragioni per le quali fino ad oggi gli indicatori economici italiani non hanno mostrato segnali positivi, ed è la sfi-da principale anche per il sistema politico europeo.

Nell’ambito dell’area dell’euro lo scenario è più aperto, e non vi so-no più gli ostacoli che esistevaso-no in passato. Oggi, dunque, gli erro-ri commessi a livello nazionale hanno conseguenze ancora più seerro-rie, perché non ci si può più nascondere dietro le barriere del passato.

La sfida di oggi consiste dunque nell’adeguarsi ad un regime di concorrenza più intenso, che richiede ai sistemi politici di ogni paese un impegno e degli sforzi più intensi.

MARIOMONTI

Voglio rallegrarmi con lo IAI e con Tommaso Padoa-Schioppa per avere avuto l’idea di impegnarsi in questo esercizio e per la chia-rezza delle risposte che entro l’esercizio sono state fornite. Per quanto riguarda le questioni economico-sociali mi trovo sostan-zialmente d’accordo con il documento dello IAI, quindi ho solo da proporre qualche piccola variazione al margine. Alle cinque prio-rità indicate per il rilancio dell’economia italiana ed europea, io ne aggiungerei una sesta (che per attribuzione logica è stata inserita nella parte del documento riguardante le riforme istituzionali):

promuovere la ratifica del Trattato Costituzionale.

Questo punto è di grande importanza, oltre che per molte altre ra-gioni, anche per le questioni economiche e sociali. Mi sembra in-fatti sempre più chiaro osservando l’Europa di questi anni, che un sistema come l’Unione Europea non possa aspirare a migliorare la propria competitività sul piano globale se non si dota di meccani-smi decisionali ragionevolmente più snelli e più rapidi. Mi sembra infatti che la parte forse più grigia ma comunque più funzionale del Trattato Costituzionale non ancora entrato in vigore, sia con-dizione necessaria anche per una migliore competitività dell’U-nione Europea.

Fra i cinque punti economici enucleati nel documento, vorrei sof-fermarmi soltanto su un paio, primo fra tutti l’Agenda di Lisbona.

Nonostante sia ampiamente condiviso il giudizio che si tratti di un’ottima idea, essa fino ad oggi non si è ancora rivelata efficace nell’accrescere la competitività dell’Unione, e ciò contribuisce

Nonostante sia ampiamente condiviso il giudizio che si tratti di un’ottima idea, essa fino ad oggi non si è ancora rivelata efficace nell’accrescere la competitività dell’Unione, e ciò contribuisce

Nel documento La politica europea dell'Italia (pagine 58-80)

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