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Capitolo II La regolamentazione della sharing economy

2.4.2 Questioni fiscali nel contesto della sharing economy

Quello della tassazione è un ambito in cui le piattaforme di condivisione della sharing economy pongono diversi problemi regolativi. Le imprese consolidate sono sottoposte ad una grande varietà di imposte, così come i lavoratori dipendenti, mentre molte delle imprese della sharing economy evadono illegalmente le tasse, senza dichiarare i propri guadagni effettivi, che possono diventare anche molto consistenti nel corso degli anni, in luce del fatto che queste piattaforme sono in continua crescita. Inoltre, anche laddove sia presente un quadro normativo fiscale destinato a disciplinare le attività commerciali di questa nuova forma di economia, le imprese della sharing economy hanno mostrato la propensione a scegliere il regime fiscale più favorevole, nel caso in cui si presenti un’ambiguità nella scelta di quale regime applicare. Oei e Ring (2016) definiscono questa propensione con il termine di opportunismo fiscale, il quale denota la volontà da parte delle piattaforme di condivisione di trarre vantaggio dalle opportunità presentate dall’ambiguità normativa.

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Le sfide presentate dalla sharing economy in materia di fiscalità sorgono principalmente a causa di tre questioni: prima di tutto, la distinzione tra provider professionali di servizi, definiti dalla letteratura economica con il termine di micro business, e gli utenti impegnati in queste pratiche solo sporadicamente, che avranno di conseguenza meno incentivi a rispettare le normative fiscali applicate. La tassazione applicata sui redditi dipende spesso da come il sistema giuridico classifica le persone fisiche e i soggetti commerciali, tuttavia nel contesto della sharing economy, questa differenza risulta spesso confusa. La soluzione a questa questione dipende quasi interamente dalla frequenza e dal livello di professionalità con le quali queste attività sono condotte. La classificazione delle attività della sharing economy entro le preesistenti categorie fiscali prevede che fino a quando un individuo è impegnato in attività di condivisione solo in modo occasionale, il reddito derivato da queste attività non può essere considerato reddito imponibile e l’individuo in questione avrà un carico fiscale limitato. Al contrario, se un individuo è impegnato in diverse attività di condivisione allo stesso tempo, il reddito derivato dalle attività di sharing economy può essere considerato equivalente al reddito derivato dalle tradizionali attività commerciali e perciò imponibile allo stesso modo.

La seconda questione posta dalla sharing economy in materia di tassazione riguarda l’uso commerciale o privato dei beni e dei servizi offerti. Nella sharing economy, gli individui condividono tra loro beni di proprietà privata, come automobili, case e vestiti. Il problema sorge nel momento di ripartire le spese effettuate per le attività di condivisione tra usi commerciali e privati, in luce del fatto che, in base alle normative preesistenti, solo le spese per le attività corrispondenti alla prima categoria possono essere detratte dal reddito lordo. La soluzione a questa questione non è sicuramente una soltanto, ma dipende dalle specifiche disposizioni riguardanti la detrazione delle spese che variano da paese a paese. In realtà, per coloro che utilizzano spesso le piattaforme di sharing economy ovviare a questo problema può rivelarsi molto semplice, attraverso la registrazione di tutte le spese rilevanti che possono essere detratte dal reddito lordo. Ad esempio, un autista full-time di Uber può detrarre le spese per l’ammortamento della sua automobile secondo le specifiche disposizioni fiscali della piattaforma, nello stesso modo di un autista professionale. Gli utenti delle piattaforme di home-swapping possono detrarre le spese sostenute allo stesso modo dei locatori privati. In Italia, ad esempio, i proprietari privati che affittano le loro proprietà ad uso abitativo hanno diritto ad una riduzione forfettaria

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del 5% sulla dichiarazione dei redditi, a meno che il locatore non opti per una tassa sostitutiva, la cedolare secca, che viene applicata al canone annuo di locazione in sostituzione dell’Irpef e delle relative addizionali, ad un tasso base del 21%. Difficoltà maggiori sorgono, invece, per coloro che conducono attività di sharing economy in maniera più occasionale, poiché potrebbe rivelarsi poco conveniente tenere conto di tutte le spese rilevanti, data l’assenza di obblighi di contabilità per questo tipo di attività. A fronte del limitato guadagno derivato dalle pratiche di sharing economy, gli individui che svolgono queste attività solo in modo occasionale potrebbero sentirsi scoraggiati a condividere le loro proprietà o in alternativa inclini a non riportare la fonte di guadagno nella dichiarazione dei redditi nel caso in cui il peso fiscale si rivelasse troppo alto. Infine, un altro elemento che aumenta la difficoltà per i policy makers di implementare normative fiscali adeguate per queste pratiche è la tipologia di sistema fiscale adottato nei vari paesi. Alcuni sistemi fiscali presuppongono che il reddito imponibile venga tassato su base globale, ad esempio quello degli Stati Uniti, dove ogni fonte di reddito è considerata imponibile, salvo specifiche eccezioni. Altri sistemi fiscali, come quello italiano, presuppongono che il reddito imponibile sia tassato su base schedulare, ovvero che una fonte di reddito non è da considerarsi reddito imponibile se non indicato specificatamente dal quadro giuridico. Inoltre, il settore della sharing economy include diversi tipi di transazione, ad esempio transazioni monetarie, accordi di scambio, accordi di ripartizione dei costi e donazioni. Di conseguenza, il fatto che le pratiche di condivisione debbano essere sottoposte a tassazione dipende essenzialmente dal modello di transazione considerato e dalla definizione di reddito imponibile all’interno di un certo sistema fiscale.

2.4.3 Approcci adottati dai vari paesi per regolamentare fiscalmente la sharing