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Le questioni tecniche nel diritto dell’ambiente secondo la Corte costituzionale Profili problematic

prova, peraltro, la lettura del Codice dell’ambiente, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ove la parola “tecnica” compare più di trecento volte e ove è facile rinvenire il ruolo cruciale assegnato alle conoscenze tecnico-scientifiche e agli organi di supporto tecnico-scientifico.

Orbene, assumendo il punto di vista dello studioso del diritto ammi- nistrativo, la lettura delle decisioni della Corte Costituzionale evidenzia alcune questioni di sicuro interesse.

In via preliminare va osservato come si manifesti una tensione, per così dire strutturale, tra la norma giuridica e la regola tecnica, fenomeno certamente di portata generale, ma che nel campo delle questioni am- bientali pare particolarmente enfatizzato. Diritto e tecnica si “muovo- no”, per così dire, a due differenti velocità, rappresentando due esigenze sostanzialmente confliggenti: da una parte, la certezza (e la connessa durevolezza nel tempo, rispetto alla quale sono funzionali i caratteri di generalità e astrattezza, e a cui, sul piano del diritto amministrativo, si ricollega tra l’altro il legittimo affidamento degli operatori, in particolare, delle imprese produttive che devono poter fare appunto affidamento su coordinate tecnico-normative certe nel momento in cui costruiscono o modificano un impianto) e, dall’altra, la flessibilità, ossia la necessaria adeguabilità e aggiornabilità in tempi stretti, propria appunto della re- gola tecnica, atteso che l’efficace protezione dell’ambiente non può che “passare per” regole di comportamento espressione di aggiornate acqui- sizioni tecnico-scientifiche.

Nel diritto dell’ambiente questo aspetto è, tra l’altro, complicato per- ché, oltre che dell’evoluzione scientifico-tecnica, occorre altresì tenere presente che gli stessi equilibri ambientali sono mutevoli a fronte di cambiamenti e/o interazioni degli elementi dell’ecosistema che non ne- cessariamente dipendono direttamente dalla mano dell’uomo (es. fattori climatici) e che possono generare situazioni non sempre prevedibili.

Pare comunque possibile affermare che esista una diretta proporzio- nalità tra la misura dell’ibridazione della regola di comportamento e la regola tecnica, da una parte, e la velocità di trasformazione del diritto stesso, dall’altra.

2. Le norme tecniche nel confronto tra competenze legislative statali

e regionali

In ogni caso, è inevitabile osservare che il diritto, proprio in quanto connesso all’evoluzione tecnico-scientifica, è necessariamente un diritto

in perenne trasformazione. Da ciò l’esigenza di costante adeguamento che provoca necessariamente la messa in campo di strumenti di adatta- mento del diritto all’evoluzione tecnico/scientifica.

Sotto il profilo normativo, questo comporta principalmente la ricer- ca di fonti più “agili”, segnatamente quelle di rango secondario. La que- stione, semplice e ben nota nelle sue linee teoriche ed essenziali, pone tuttavia qualche delicato problema qualora si versi in materie di com- petenza concorrente Stato/Regioni, posto che ci si deve chiedere se la specifica tecnica possa, essa stessa, costituire “principio fondamentale” ai sensi dell’art. 117, c. 3, Cost.

Proprio in materia ambientale, la questione è stata portata all’atten- zione della Corte Costituzionale, la quale ha rimarcato in più occasioni come le fonti di rango secondario costituiscano un “corpo unico” con la normativa primaria che le prevede. Esemplificativamente, è quanto affermato dalla sent. 5 aprile 2018 n. 69, in materia di regimi abilitativi degli impianti per la produzione di energia rinnovabile (materia pacifi- camente ascritta a quella della “produzione, trasporto e distribuzione na- zionale dell’energia”, ex art. 117, c. 3, Cost.) regolati dalle Linee guida di cui al decreto interministeriale 10 settembre 2010, adottate in attuazione dell’art. 12, c. 10, d.lgs. n. 387/2003, e richiamate nel d.lgs. n. 28/2011. In merito la Corte ha affermato espressamente che trattasi di atti di nor- mazione secondaria, che “costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il

completamento della normativa primaria e rappresenterebbero un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad essi affida il

compito di individuare le specifiche tecniche che mal si conciliano con il contenuto di un atto legislativo e che necessitano di applicazione uni- forme in tutto il territorio nazionale”, con la conseguenza che si porrebbe in contrasto con l’art. 117, c. 3, Cost, la legge regionale che non le rispet- tasse (nel caso di specie si trattava della l.r. Veneto, 30 dicembre 2016, n. 30, che aveva fissato le distanze minime per la collocazione di nuovi aerogeneratori).

Il discorso, invero, si inserisce in quello, ben più ampio, della facoltà delle regioni di dettare “standard tecnici” differenti da quelli stabiliti a livello statale in materia ambientale.

La questione si pone, in particolare, nel momento in cui la materia viene configurata a livello di giurisprudenza costituzionale, come mate- ria a vocazione “trasversale”.

È quanto stabilito dalla ben nota sent. n. 407/2002, ove il Supremo Consesso aveva appunto affermato che, poiché la “tutela dell’ambiente” sarebbe da intendersi non già come materia in senso stretto, bensì come

un valore costituzionalmente protetto integrante una sorta di “materia trasversale”, ben potrebbero sussistere competenze diverse anche regio- nali, fermo restando che allo Stato rimarrebbe comunque riservato “il potere di fissare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazio- nale, senza peraltro escludere la competenza regionale alla cura di inte- ressi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali”.

Il principio è stato riconfermato altresì da una parte della giurispru- denza più recente, pur a fronte di una sorta di revirement della giuri- sprudenza costituzionale ove l’ambiente è stato diversamente ricostruito come “materia unitaria”. A partire dalla decisione n. 367/2007, infatti, la Consulta pare rivedere l’orientamento precedente, affermando che l’am- biente sarebbe da configurarsi, oltre che come «valore» costituzionale «primario e assoluto», altresì come «materia in senso tecnico», giuridica- mente oggetto di attività di tutela (conservazione e miglioramento) e di uso (fruizione), che indica un complesso unitario, sistemico, dinamico diverso dalle sue componenti (in cui sarebbe da ricomprendersi anche il paesaggio, che ne costituisce la forma visiva e che non è espressamente menzionato nel nuovo titolo V), che rientra nella competenza esclusiva dello Stato, e che dunque «precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali».

La ricostruzione dell’ambiente come materia unitaria affidata dall’art. 117, c. 2, Cost., alla competenza legislativa esclusiva statale, pareva poter mettere in crisi l’esistenza di ambiti di competenza regionale in materia, analoghi a quelli riconosciuti nel periodo immediatamente precedente e di cui si è detto.

Tuttavia, parte della giurisprudenza costituzionale non ha mancato di riaffermare l’orientamento anteriore. Esemplificativamente, si legga la decisione n. 387/2008, resa in materia di rapporti tra lo Stato e le Re- gioni a statuto speciale, la quale tuttavia afferma un principio, che per espressa affermazione della Corte, vale sia per le regioni speciali sia per quelle ordinarie: “spetta pur sempre allo Stato la determinazione degli standard minimi ed uniformi di tutela della fauna, nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’eco- sistema, secondo quanto prescrive l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (ex plurimis, sentenze n. 391 del 2005, n. 311 del 2003, n. 536 del 2002). Il fondamento di tale competenza esclusiva statale si rinviene nell’esigenza insopprimibile di garantire su tutto il territorio nazionale so-

che costituiscono un vincolo rigido sia per lo Stato sia per le Regioni – ordinarie e speciali – a non diminuire l’intensità della tutela. Quest’ul- tima può variare, in considerazione delle specifiche condizioni e neces- sità dei singoli territori, solo in direzione di un incremento, mentre resta esclusa ogni attenuazione, comunque motivata”. Analogamente, Corte Cost. 20 ottobre 2017, n. 218, richiamando espressamente la sentenza n. 407/2002, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della l.r. Veneto 26 marzo 1999 laddove prevedeva l’assoggettamento alla procedura di veri- fica della valutazione di impatto ambientale dei soli progetti relativi alla realizzazione di strade extraurbane secondarie di lunghezza superiore a 5 km, ponendosi, ad avviso del rimettente, in contrasto con la disciplina statale dell’art. 23, comma 1, lettera c), e relativo allegato III, elenco B, punto 7, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che impone di sottoporre alla detta procedura tutti i progetti di strade extraurbane secondarie, senza consentire alcuna esclusione a priori fondata su criteri meramente dimensionali.

3. Evoluzione della tecnica e provvedimenti amministrativi

Rappresentando il punto di vista dell’amministrativista, occorre evidenziare come uno dei temi più affascinanti in materia si riferisca all’intervento della Corte Costituzionale su scelte legislative dettate dalla necessità di tener conto della tecnica, ossia relative alla conformazione dei poteri amministrativi a fronte di una normativa a forte contenuto tecnico. Il problema dell’adeguamento e dell’aggiornamento investe, in effetti, anche i provvedimenti amministrativi già adottati.

Il fenomeno è interessante e vale la pena rimarcarlo.

In effetti proprio a fronte della forte componente tecnica che ca- ratterizza il contenuto conformativo dei provvedimenti amministrativi autorizzativi in materia ambientale, essi sono rilasciati con una durata temporale limitata e determinata, alla scadenza della quale sarà neces- saria una nuova valutazione circa la sussistenza dei requisiti tecnici. In questo modo, la durata temporale limitata assume la veste di strumento di composizione degli interessi delle imprese a proseguire l’attività in- trapresa con quello della protezione dell’ambiente e, segnatamente, del contenimento dell’inquinamento che impone che le autorizzazioni ten- gano comunque sempre conto delle più aggiornate metodologie tecnico- scientifiche di contenimento delle emissioni e dei dati aggiornati sugli impatti di queste su ambiente e salute.

Di sicuro rilievo sotto questo profilo, Corte Cost. 24 luglio 2009 n. 250, in materia di autorizzazioni alle emissioni in atmosfera per gli sta- bilimenti. Per quanto qui di interesse, la Regione Piemonte aveva impu- gnato l’art. 269, c. 7, t.u. ambiente, per la parte in cui stabiliva l’efficacia temporale dell’autorizzazione suddetta in quindici anni – ritenendo- la «assolutamente sproporzionata» alla luce dell’accelerato «processo di rinnovamento tecnologico degli impianti» – senza disciplinare nel contempo alcun potere decentrato, già attributo in materia dall’art. 11 del d.P.R. n. 203/1988, di modificare le prescrizioni dell’autorizzazione in seguito all’evoluzione della migliore tecnologia disponibile, nonché all’evoluzione della situazione ambientale, compromettendo le attribu- zioni regionali in punto di rilascio del titolo, in violazione dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione. In tale caso la Corte ha tuttavia dichiarato infondata la questione proposta, chiarendo quale debba essere la corretta interpretazione della norma censurata e fornendo un fonda- mentale contributo per la comprensione del significato della “tempora- neità” delle autorizzazioni alle emissioni. Afferma infatti la Corte che, ancorché la Direttiva del Consiglio concernente la lotta contro l’inquina- mento atmosferico provocato dagli impianti industriali 28 giugno 1984, n. 84/360/CE (vigente al tempo della promulgazione del d.lgs.152/2006 e poi abrogata con effetto dal 30 ottobre 2007) comportasse l’adozione, a livello nazionale, di misure adeguate per adattare progressivamente gli impianti esistenti alla migliore tecnologia disponibile, e pur tenuto conto dell’opportunità di evitare costi eccessivi per gli impianti, in ogni caso avrebbe dovuto ritenersi manifestamente irragionevole «il congelamen- to delle condizioni dell’autorizzazione, quanto alle prescrizioni relative all’impianto, per un periodo di quindici anni, quando la sempre più rapida evoluzione della tecnologia avrebbe invece consentito, nel frat- tempo, di ricorrere ad adattamenti tecnici idonei ad una più efficace sal- vaguardia dell’ambiente, senza nel contempo implicare costi sproporzio- nati rispetto all’utilità conseguita»; d’altro canto, a giustificazione di una durata così lunga, non avrebbe potuto invocarsi neppure la tutela dell’af- fidamento dell’impresa circa la stabilità delle condizioni fissate dall’au- torizzazione, posto che tale interesse avrebbe dovuto senz’altro ritenersi recessivo rispetto ad un’eventuale «compromissione del limite assoluto e indefettibile rappresentato dalla tollerabilità per la tutela della salute umana e dell’ambiente in cui l’uomo vive» e, conseguentemente, non avrebbe potuto «prevalere sul perseguimento di una più efficace tutela di tali superiori valori, ove la tecnologia offra soluzioni i cui costi non siano sproporzionati rispetto al vantaggio ottenibile». Un certo grado di fles-

sibilità del regime di esercizio dell’impianto, è dunque connaturato alla particolare rilevanza costituzionale del bene giuridico che, diversamen- te, ne potrebbe venire offeso, nonché alla natura inevitabilmente, e spes- so imprevedibilmente, mutevole del contesto ambientale di riferimento. Ne consegue che la disposizione censurata non andrebbe interpretata quale divieto per l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione di modificare, durante il periodo quindicennale di validità del titolo, le pre- scrizioni della stessa concernenti gli impianti, in base all’evoluzione della migliore tecnologia disponibile e della situazione ambientale.

4. La tutela dell’ambiente tra tecnica e politica

Il sistema complesso genera infine tensioni irrisolte tra tecnica e po- litica, particolarmente evidenti in taluni procedimenti, quali, soprattutto quello di valutazione di impatto ambientale da sempre terreno di con- flitti tra quelle.

Corte Cost. 3 maggio 2013 n. 81, affronta proprio tale delicata que- stione, scrutinando la l. r. Sardegna 12 giugno 2006, n. 9, in materia di conferimento di funzioni e compiti agli enti locali, con la quale si prevede che le procedure in materia di valutazione di impatto ambientale si con- cludano, sulla base dell’attività istruttoria, con atto deliberativo assunto dalla Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale della difesa dell’ambiente». Ad avviso del giudice rimettente, l’attribuzione alla Giun- ta regionale, anziché ai dirigenti della Regione, del potere decisionale in ordine alla valutazione di impatto ambientale (ma «sulla base dell’attività istruttoria» svolta dai dirigenti), avrebbe violato il principio di separa- zione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni di gestione ammini- strativa, in quanto la valutazione di impatto ambientale costituirebbe un «atto amministrativo di gestione, di natura tecnico discrezionale, senza che nell’espressione di tale giudizio rilevino profili di programmazione, o valutazioni di indirizzo politico», ponendosi così in violazione diret- ta dei principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione sanciti dall’art. 97 della Costituzione. Piuttosto articolata la risposta della Corte che dichiara infondata la questione. A parere del supremo giudice, infatti, pur a fronte del principio di separazione tra funzioni di indiriz- zo politico-amministrativo, spettanti agli organi di governo, e funzioni di gestione amministrativa, proprie dei dirigenti, introdotto dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle ammi- nistrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico

impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) – e fatto proprio dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdi- zione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) e, poi, dal d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) – al fine di porre i dirigenti (generali) “in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto dei principî d’im- parzialità e buon andamento della pubblica amministrazione”, deve ri- levarsi che l’individuazione dell’esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell’organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa spetterebbe al legislatore, il cui potere incontrerebbe però un limite nello stesso art. 97 Cost., nel senso che esso non può compiere scelte che, contrastando in modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l’imparzialità della pubblica amministrazione. Orbene, il ragionamen- to della Corte “piega”, tuttavia, verso una soluzione in cui politica e am- ministrazione non vengono nettamente tenute distinte, proprio a causa del fatto che si versa in materia di tutela ambientale, ed in particolare, di procedimenti di valutazione di impatto ambientale che, come si è detto, costituiscono tradizionalmente terreno di confronto, e spesso, di scontro, tra questi. La Corte afferma infatti che sebbene il legisla- tore regionale abbia attribuito alla Giunta il potere di decidere sulla valutazione di impatto ambientale di interesse provinciale o regionale, tuttavia, tale potere decisionale deve tener conto, per espressa previ- sione legislativa, dell’attività istruttoria svolta dai dirigenti regionali. Conseguentemente la scelta legislativa non apparirebbe irragionevole, proprio a fronte della particolare complessità della VIA, ove «a verifi- che di natura tecnica circa la compatibilità ambientale del progetto, che rientrano nell’attività di gestione in senso stretto e che vengono realiz- zate nell’ambito della fase istruttoria, possono affiancarsi e intrecciarsi complesse valutazioni che – nel bilanciare fra loro una pluralità di inte- ressi pubblici quali la tutela dell’ambiente, il governo del territorio e lo sviluppo economico – assumono indubbiamente un particolare rilievo politico».

5. Il procedimento amministrativo costituisce davvero la sede ottimale

per perseguire un’efficace tutela dell’ambiente?

Il tema appena affrontato, impone di volgere lo sguardo verso altra delicata questione.

La complessità delle valutazioni deputate a garantire la protezione dell’ambiente è, infatti, altresì all’origine di una sorta di favor della giuri- sprudenza costituzionale nei confronti del procedimento amministrati- vo quale sede ottimale ove perseguire il bilanciamento tra i vari interessi di volta in volta in gioco.

Il tema è evidente in alcune pronunce della Suprema Corte.

A titolo esemplificativo può citarsi, tra le più recenti, Corte Cost. 28 febbraio 2019, n. 28. In tale caso, il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva promosso questione di costituzionalità dell’art. 2, l.r. Abruzzo 23 gennaio 2018, n. 5, Norme a sostegno dell’economia circolare – Adegua-

mento Piano Regionale di Gestione Integrata dei Rifiuti, sostenendo che la

Regione, nel provvedere all’adeguamento del piano mediante legge anzi- ché mediante atto amministrativo, avrebbe leso la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema nonché il principio generale di «primarietà dell’ambiente». In punto, la Corte ha dichiarato fondata la questione. Il ragionamento della Corte parte dalla considerazione (invero costante nella giurisprudenza costitu- zionale) che nelle materie, come quella de qua, riconducibili alla compe- tenza legislativa esclusiva dello Stato, il legislatore nazionale ha titolo per vietare che la funzione amministrativa regionale venga esercitata in via legislativa – posto che «[i]n tale area riservata di competenza, per quan- to la funzione amministrativa debba essere allocata al livello di governo reputato idoneo ai sensi dell’art. 118 Cost., il compito sia di individuare questo livello, sia di disciplinare forma e contenuto della funzione, non può che spettare al legislatore statale» –; con specifico riferimento al caso deciso, deve tuttavia osservarsi come l’art. 199 del Codice dell’Ambiente non ponesse un vincolo esplicito in tal senso, limitandosi a prevedere che per l’approvazione (e l’adeguamento) dei piani di gestione integrata dei rifiuti si applichi la procedura in materia di VAS. A parere della Cor- te, tuttavia, detta disposizione andrebbe interpretata come prescrittiva di un atto amministrativo di pianificazione atteso che «nei casi in cui la legislazione statale, nelle materie di competenza esclusiva, conformi l’attività amministrativa all’osservanza di criteri tecnico-scientifici, lo slit- tamento della fattispecie verso una fonte primaria regionale fa emergere un sospetto di illegittimità» (sentenza n. 20/2012 e n. 90/2013, in materia

di calendari venatori, e quindi di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ex art. 117, c. 2, lett. s), Cost; nello stesso senso sent. n. 143/1989, in ma- teria urbanistica).

A livello generale, in effetti, la Consulta ha affermato in più occasio- ni, che il passaggio dal provvedere in via amministrativa alla forma di legge sarebbe più consono alle ipotesi in cui la funzione amministrati- va impatta su assetti della vita associata, per i quali viene avvertita una particolare esigenza di protezione di interessi primari «a fini di maggior tutela e garanzia dei diritti» (sent. n. 143/1989); diversamente, le norme in cui la legislazione statale, nelle materie di competenza esclusiva, con- formi l’attività amministrativa all’osservanza di criteri tecnico-scientifici (e tra essi devono ricomprendersi le norme che rimettono la definizione di interventi regionali ad atti di pianificazione), devono intendersi pre- scrittive della forma dell’atto amministrativo, poiché, solo così è possi- bile assicurare le «garanzie procedimentali per un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco, da soddisfare anche attraverso l’acquisizione di

pareri tecnici»; ne conseguirebbe, in tali casi, il divieto per la regione di

ricorrere ad una legge-provvedimento (sentenza n. 174/2017; nello stes-