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N . 11, PAG. 4 6

FRANCO MINGANTI,

Modula-zioni di frequenza. L'immagi-nario radiofonico tra letteratu-ra e cinema, Campanotto,

Udi-ne 1997, pp. 190, Lit 25.000.

Coerente con lo spirito della col-lana "Zeta cinema", che si interroga sulle trasversalità e le contaminazio-ni tra il sistema cinematografico contemporaneo e altri linguaggi, il

volume di Franco Mingand analizza l'universo narrativo radiofonico cercando di coglierne il ruolo nella creazione dell'immaginario sociale e i collegamenti con il cinema e la

let-C L U E B

M. Bischofsberger

Sguardi lessicali. Ricerche di Semantica storica su postmoderno e fine della storia

pp. 252, L. 28.000 R. Mullini

Mad Merry Heywood. La drammaturgia di John Heywood fra testi e riflessioni critiche

pp. 284, L. 35.000

R.M. Bollettieri Bosinelli, C. Heiss (a cura di) Traduzione multimediale per il cinema, ia televisione e la scena pp. 508, L. 55.000 FOTOGENIA Oltre l'autore II pp. 204, L. 49.000

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V

modo in cui negli anni trenta si è creato negli Stati Uniti un modello di entertainment popolare fondato sulla radio e sulla pubblicità. Parti-colare attenzione è posta all'analisi dei principali generi, ai formati più diffusi e alle conseguenze della se-rializzazione dei programmi.

Il capitolo successivo analizza i legami tra i diversi media dello spettacolo, approfondendo in particolare il rapporto tra radio e cinema. Se la tecnologia radiofo-nica ha sicuramente agevolato il passaggio dal cinema muto a quel-lo sonoro, vanno anche ricordati i frequenti passaggi di star hol-lywoodiane in rotocalchi e adatta-menti radiofonici e le influenze di generi radiofonici su quelli cine-matografici. La vetta della fusione tra narrazione radiofonica, riferi-menti letterari e universo cinema-tografico è legata al nome di Or-son Welles, cui Minganti dedica un capitolo, analizzando le carat-teristiche della sua voce profonda-mente radiofonica e la sua capa-cità di far vedere ciò che racconta-va o leggeracconta-va, creando una forte in-timità e suggestione tra narratore e ascoltatore.

I due capitoli finali indagano le principali ricorrenze nella messa in scena dell'universo radiofonico e più in generale del broadcasting, non solo in ambito letterario e ci-nematografico, ma anche televisi-vo, musicale e ovviamente radiofo-nico. Minganti analizza in profon-dità The Dick Gibson Show, ro-manzo di Stanley Elkin del 1971, incentrato sull'omonima trasmis-sione radiofonica e sulle molteplici identità del dj, óra confessore, ora analista, ora divino ora nullità. Tra gli esempi letterari, l'autore segna-la anche Miss Lonelyhearts (1933) di Nathanael West (Signorina Cuo- <

rinfranti, e/o, 1988), mentre in

campo cinematografico spiccano

Un volto nella folla (Elia Kazan,

1957), Talk Radio (Oliver Stone, 1988) e La leggenda del re pescatore (TerryGilliam, 1990).

Michele Marangi

schede

teratura. L'autore si concentra sul caso statunitense, che diventa però paradigmatico rispetto a una rico-gnizione dell'estetica sonora e delle sue modalità di produzione e perce-zione, poste in relazione con quella "civiltà dell'immagine" che sembra dominare il nostro secolo.

Ricchissimo di dati e di spunti per ulteriori approfondimenti, il li-bro dedica i primi due capitoli al

EVAN HUNTER ( E D MCBAIN), Hitch e io. Scrivere film per Alfred Hitchcock, Pratiche, Parma

1997, trad. dall'inglese di Fran-cesca Matera, pp. 113, Lit 16.000.

È opinione condivisa un po' da tutti che Gli uccelli e Marcie, tra i film di Alfred Hitchcock, siano i me-no immediatamente leggibili e inter-pretabili. Per cercare di svelare le ragioni della misteriosa inquietudi-ne che sembra assalire lo spettato-re di fronte a queste opespettato-re, ci si può accostare alle testimonianze dello scrittore americano Evan Hunter (un maestro del romanzo poliziesco e di suspense fin dagli anni cin-quanta) che, per l'occasione, la-vorò a stretto contatto con il grande mago del brivido. Attraverso graf-fiarti ricordi che ritornano a vivere soprattutto in virtù di precisi e spe-cifici riferimenti ai testi filmici in que-stione, il discorso di Ed McBain (questo lo pseudonimo adottato dallo scrittore per la maggior parte dei suoi "gialli") apre nuovi percorsi all'interno dell'opera di Hitchcock, in relazione ai problemi della messa in scena, della scelta e della dire-zione degli attori, e al decoupage fi-nale elaborato con il contributo e l'approvazione dello stesso regista. Contribuisce inoltre a illustrarne la complessa personalità, animata da grandi capacità ideative e creative ma anche da comunissime debo-lezze umane.

Umberto Mosca

A B E L FERRARA. La tragedia oltre il noir, a cura di Giona A.

Naz-zaro, Sorbini, Roma 1997, pp. 160, Lit20.000.

Con Fratelli-The Funeral, vincito-re morale del Festival di Venezia 1996, e con l'ultimo film, ancora ine-dito in Italia, The Addiction, Abel Ferrara si impone alla critica e al pubblico come cineasta di culto per pochi intimi: una platea curiosa e amante dei percorsi altri del cine-ma americano contemporaneo ("Me ne frego àfferma il regista -se i miei film turbano le casalinghe di Beverly Hills"). Il vivace volume curato da Nazzaro entra nelle pie-g h e dell'universo poliedrico, in-quietante, "nero" .(nella più ampia accezione del termine) del quasi cinquantenne regista newyorkese, affidando l'analisi di alcune delle componenti peculiari del suo cine-ma a critici come Bruno Fornara, Giacomo Manzoli, Giuseppe Ga-riazzo, Fabrizio Liberti. A partire dall'analisi dei singoli film firmati da Ferrara (tra gli altri, Paura su

Manhattan, Il cattivo tenente, Occhi di serpente), scaturisce ii ritratto di

un autore che, attraverso una rilet-tura del genere noir permeata d a una forte tensione morale, opta per la messa in scena di personaggi al

limite, sempre proiettati verso

un'impossibile ricerca di salvezza o vendetta (e pensiamo ai killer di King

of New York, piuttosto che al

gang-ster di Fratellio ancora ai vampiri di

The Addiction). Un cinema infettato,

virale, insopportabile a molti, quello di Ferrara, coadiuvato da sempre nel suo lavoro dall'amico-sceneg-giatore-filosofo Nicholas St. John.

Sara Corte/lazzo

FRANCESCO FALASCHI, Jonathan Demme, Il Castoro, Milano

1997, pp. 136, Lit 16.000.

Il cinema di Jonathan Demme è segnato da sempre d a una dose ro-busta di selvaggia imprevedibilità e da un'attitudine spiccata a temi e si-tuazioni spiazzanti. C'è una sequen-za particolarmente emblematica della sua poetica: i titoli di coda di

Qualcosa di travolgente, in cui una.

donna di colore interpreta il celebre brano rock Wild Thing, che è anche il titolo originale del film, con un mo-do di fare e cantare provocatorio, in un'interpellazione diretta nei con-fronti dello spettatore. Ed è proprio a partire da un'indagine intorno ai tra-scorsi alla corte di Roger Corman (da cui il regista di New York ha ap-preso le preziose ricette per conci-liare il cinema spettacolare con l'ur-genza dèi temi trattati, l'azione pura con il messaggio sociale), attraverso le evidenti suggestioni hitchcockia-ne, fino alla sensazionale irruzione1 sulla più ampia ribalta internazionale con II silenzio degli innocenti ( 1990) e Philadelphia (1993) che si muove questo lavoro su Demme. Senza di-menticare uno sguardo obbligato e attento sull'attività di documentarista e sulle molte collaborazioni con la scena rock contemporanea, da The Feelies ai Talking Heads, da Bruce Springsteen a Suzanne Vega.

(u.m.)

A N T O N I O BERTINI, Ettore Scola. Il cinema e io, Officina, Roma

1997, pp. 215, Lit 30.000.

Nuovo esempio di libro-intervista, formula che ha incontrato grande fortuna in seguito ai successo del volume di Truffaut dedicato a Hitch-cock, il testo di Bertini segue minu-ziosamente tutto l'itinerario biografi-co e professionale di Ettore Sbiografi-coia ed è il frutto di conversazioni raccolte nell'arco di circa un anno e mezzo. Dopo alcuni capitoli dedicati ai

ricor-di ricor-di infanzia e giovinezza, all'ap-prendistato prima come disegnatore e umorista, poi come sceneggiato-re, l'intervista si concentra sulla tren-tennale carriera registica di Scola, con ricostruzioni, aneddoti, riflessio-ni stilistiche legate a ciascun film, da

Se permettete parliamo di donne

( 1964) a Diario di un giovane povero (1995). Ne emerge un ritratto com-posito, con riflessioni sui temi domi-nanti del regista - dalla politica all'importanza dei sentimenti, dal viaggio alle relazioni tra uomo e sto-ria - che rilegge in controluce alcuni decenni della storia italiana, non so-lo cinematografica, e ricorda eventi e personaggi chiave per la sua poe-tica e il suo stile. L'assenza della fil-mografia con dati tecnici e trame per ogni film, che peraltro sono richia-mate lungo l'intervista, è compensa-ta dalla presenza di disegni, realiz-zati dallo stesso Scola, che introdu-cono molti film e sintetizzano visiva-mente i temi dominanti e le situazioni chiave dell'opera.

(m.m.)

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