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Ramadan e Atamir

Nel documento NEL MONDO DELLA LUNA (pagine 93-102)

Vivevano in Arabia. nei tempi andati, due fratelli che non s'assomiglia.vano neppure, come si suol dire, nel bianco degli occhi.

Si chiamavano Ramadan e Atamir; e tanto era maci-lento e triiste l'uno quanto gaio e paffutello l'altro.

Ramadan, nato nei giorni delle grandi feste che i maomettani chiamano appunto ·Ramadan, aveva un volto a pallottola sempre pronto al riso e un animo lieto sempre pronto alla burla. Chi non 1o conosceva nel quartiere?

Chiassone e f aocend.iere, prestava volentieri i suoi servri.gi a tutti, si accontentava di gualnnque compenso, trovava tutto buono e il sudore che gli rigava la fronte durante il rude lavoro somigliava alla linfa generosa che stilla dalle piante troppo rigogliose.

L'avevano soprannominato c. cuor contento » e i ra-gazzi del vicinato, quand'egli rincasava, lo salutavano in coro:

<t Cuor contento, ·1;iso tondo

sei padron di tutto il mondo ».

CESARINA LUPATI vigilare, nemici da temere. Sono leggero come l'aria. Quan-do ho mangiato, mi sento gran signore. E forse che il mio -dare i passanti. Era smilzo e allampanato, Atamir, con la factj.a ulivigna e gli occhi obliqui, nei quali si leggeva la pigrizia e l'uggia.

Viveva miseramente d'un tozzo di pane gettatogli in elemo.sina, d'un frutto fradicio raccattato, ma non c'era verso che si piegasse al lavoro.

- A che mi servirebbe? - chiedeva a sè stesso, sco-ragg·iato. - Povero sono e povero resterei anche lavorando.

E non si moveva dal suo cantuccio, se non proprio mo-riva di fame o di sete.

- Che fatica il vivere! - mormorava allora, stiran~

do pigramente le ossa indolenzite dall'immobilità.

RAMADAN E ATAMIR

Per hlii, tutto era fatica, enorme fatica : il muovere i passi tiome il tendere la µiano, il curvarsi a immergere l'anfora nella fontana, come l'alzarsi sulla punta dei piedi per cogliere un frutto che un albero sembrava offrirgl~,

spenzolando sovra il suo capo un ramo tentatore.

- Oh, se avessi questo ... se avessi quest'altro! ... ---I suoi occhi socchiusi, come offesi dal troppo sole o pesanti

di sonno, non esprimevano più altro che la scontentezza e l'invtidia.

Tutti, al mondo, erano più fortunati dò. lui; tutti gli destavano invidia, per un motivo o per l'altro,; non con-tento di invidiar gli uomini., roso da una vera mania d'infe-licità, odiiava anche le bestie.

Fu così che un giorno, osservando certe formiche che facevan lauto pasto d'una spina di pesce e, più in là, alcune libellule che sfioravano il chiaro specchio della fon-tana, quasi per rinfrescarsi e dissetarsi, gli accadde dii invidiare anche gli insetti.

- Se Allah mi avesse creato formica, ecco, troverei il cibo sul mio cammrino, a portata di bocca. Se mi avesse creato farfalla o -calabrone, l'avrei succhiato dai fiori e mi sarei dissetato di rugiada, d'una goccia di pioggia, d'uno spruzzo di fontana... Ah, che spensierata e f aoile vita, allora !

Allah lo udì; mai, forse, gli era capitato di ascoltare dagli uomini una preghiera tanto sciocca, e, trovandosi in un momento di buonumore, volle esaudirla.

*"'

*

Atamir si trovò, d'un tratto, trasformato iin un insetto.

Un insetto strano, dal corpo di velluto verde striato d'oro,

CESARINA LUPATI

dalle alucce brevi, un insetto che poteva volare e strisciare a suo piacimento.

Per qualche momento, si credette l'essere più feli-ce de1la <lreazfone. Una briciola, un nonnulla gli ba-stava per nutrirsi; beveva a. tutte le pozzanghere, e l'om-bra d'una foglia gli era rti.covero. Librarsi a volo gli costava già troppa fatJica e preferiva strisciare. Ma, ahimè, qui incominciarono i guai! Tanto era piccolo, che la gente non lo vedeva; e, anche scorgendolo, non badava nè aschi-varlo nè a dirgli : - .ti' atti in là!

Ad ogni momento, correva dunque il pericolo di venir calpestato.

Il piccolo cuore gli tremava dii spavento e i grossì occhi a capocchia di spillo di cui la natura lo aveva for-nito, non erano grossi abbastanza per vedere - da un lato e dall'altro - tutte le insidie della via. Altro che fa ti ca, questa di procedere continuamente con tanto studio, fra tante minacce! Megliio era. rimaner Atarnir, che almeno non vedeva, da mane a sera, 18 propria vita in pericolo!

E l'indolente insetto ritornò Atamir, accoccolato al sole, con la faccia ulivigna come l'hanno gli itterici, con gli occhi socchiusi pieni di noia e di diffidenza.

* * *

- Oh, chi si rivede! Dove Bei .stato tutto questo tem-po 1 - lo salutò, con la solita gaiezza, Radaman che giusto allora attraversava la via, curvo sotto il peso d'un sacco di caffè, da portare al negozio vicino.

Atamir non rispose neppure. RamadaJl. non avrebbe avuto tempo d'ascoltarlo, del resto; doveva scaricare nel negozfo cinquanta sacchi di caffè prima del tramonto e s'affrettava, sudando forte sotto il sole del meriggio.

RAMADAN E ATAMI!?

- Buona cura quella di sudare! - pensava. - Salva dall'idropisia e guarisce dalla sciatica!

Così, come sempre, tutto era buono, tutto era, più che tollerabile, piacevole per Ramadan; e avevan ben ragione

j monelli della strada di saltargli fotorno cantando :

« Cuor contento, viso tondo sei padron di tutto il mondo H.

Intanto, per la sua buona volontà, Ramadan era ricer-cato come eccellente lavoratore.

Atamir vide, con invidia, ohe aveva una tunica nuova, una tasca ben fornita · e, quan.do la sera venne ospitato dal fratello in una modesta e pulri.ta capanna, comprese che il lavoro aveva procurato a Ramadan una certa agia-tezza.

Atamir, per orgoglio, non voleva dir grazie al fratello.

Il mattino dopo si allontanò senza neppur salutarlo, recan-dosi in un altro quartiere e là ricominciò la sua vita indo-lente. La fatica g1ri era sempre più intollerabile.

Guardava, affannato, la chioma ricca delle palme da dattero e pensava :

- Perchè Allah non mi ha dato una statura suffi-ciente a raggiungere, con la mano, quei frutti dorati ? Che bella cosa sarebbe l'esser alto tanto da mordere i datteri, senza bisogno di arrampicarci per coglierli o di chiinars1 per raccattarli! Con un passo attraverserei la strada; con un passo scavalcherei lo stecconato degli orti chiusi, procu-randomi erbaggi e respirando l'aria pura senza dover affa-t.O.carmi nella salita! Certo, 1'uomo toccherebbe la perf e-zione e potrebbe veramente dirsi il re dell'universo se fosse alto almeno come uno di questi alberi che ergono sovra

CESARINA LUPATI

la testa dei passantii e sopra le case, come un segno di dominio, il loro superbie pennacchio.

Anche quella volta Allah lo udì, e, divertendosi alla stolida invocazione, volle esaudirla.

Atarnir, cosi accoccolato . .:;i trovò 'li un tratto con camminando lungo il và.ale di pa1me,ìe belle ehiome lucenti -O.egli alberi gli frusciavan fra i capelli e sulle guance of · grida di meraviglia, con lazzi e con risa, quaSIÌ che Atamir -camminasse sui trampoli giusto per soJla.zzare la gente.

O troppo o nulla: prima., nessuno si occupa.va di lui e tutti lo evita.vano; ora, non poteva dar nn passo senz:i.

trovarsi intorno una folla.

E pazienza se gli inconvenienti della prodigiosa sta-tura fo. ~ero finiti lì! C'era ben di peggio: come entrare

RAMADAN E ATAMIR

per lui; sicchè preferiva sdraiarsi all'aperto, sotto la vasta

•cortina del cielo stellato. Ma certo non è sempre piacevole ,dormir sulla nuda terra, specialmente quando la cortina

stellata cede il posto a un molesto velario di pioggia.

Altre noie gli riserbava la 'Vlita; per attingere al fonte, per allacciarsi un calzare, per raccogliere un oggetto ca-,duto, è pur necessar~o curvarsi; e la schiena dri. Atamir

si fletteva a stento, più che mai dolorosamente. Sedeva dunque al sole, con le mani allacciate sotto le ginocchia e le ginocchia angolose davanti al mento, pigro e triste, mo-Tendo di fame e di noia com'~ prima.

Vedeva sovente Ramada.n. Il gaio fratello trafficava senza posa, e oon maggior profitto d'un tempo. Aveva assol-dato una schiera di portatori ch'egli comandava e

diri-·geva, assumendo importanti 1mprese di trasporto. Il mo-desto facchino, il povero parja cresciuto nella miseria al pari di Atamir, si era fatto appaltatore, possedeva una bella casa, un bel campo e l'opera sua era ricercata e ben -pagata in tutta la città.

Il lavoro non meno della spontanea allegrezza sem-bravano averlo reso più bello; o forse l'agiatezza, conce·

dendogli vesti dignitose, gli dava un'aria piacente 1 Ancora i fanciulli gridavano al suo passaggio:

«Cuor contento, viso tondo sei padrone di tutto il mondo ».

·ma stavolta con maggior rag.ione; chè, se Ramadan era ben lontano dal pretendere di dri.ventar padrone del mondo, si trovava però sul buon cammino per diventare fra breve

·uno dei più ricchi proprietari del paese.

- Quello è mto fortunato! E' nato nei giorni del

-CESARJNA LUPATI

Ramadan e tanto basta, - pensava con astiosa invidia.

Atamir.

E, incorreggibile, passava . la vita a desiderare una cosa e l'altra, una trasformazione e l'altra, senza tro-varsi content-0 mai. Finchè Allah si stancò di lui e non gli badò più.

Così fu che Atamir passò una vita triste e miserabile, restando indolentemente accucciato al sole dall'alba al tra-monto, fino a che l'anchilosi glri. indurì le membra come la pigrizia gli aveva indurito il cuore. Le sue gambe e le sue braccia, secche e scheletrite, somigliavano ai vecchi rami morti. Però i suoi occhi obliqui ancor seguivano con invidia Ramadan, che passava a cavallo, vestito d·. seta, salutato e 11iverito.

- Quello è nato fortunato! -- mormoravano le scarne labbra di Atamir.

Ma i suoi compaesani non la pensavano così. E ancor oggi, mentre tanti e tanti anm sono passati da allora, non la si pensa oosì nel mondo, che è sempre pieno di uomini come Ramadan e Atamir.

Nel documento NEL MONDO DELLA LUNA (pagine 93-102)